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Innamorata della realtà


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avatarjunior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 13:58

Appunti [analogici] di lettura.

Certificato di presenza, attestante il noema « È stato », innamorata della realtà. Quel che mi interessa in una fotografia è solo e soltanto che mi mostri qualcosa che c'è, e che quindi guardandola non mi venga da dire né più né meno che « Allora esiste! ».

W.Wenders

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 15:22

Significa tutto e niente.

avatarjunior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 16:33

A me sembra che ispirare nell'osservatore l'esclamazione "Allora esiste!" a commento di una fotografia sia uno ottimo traguardo o, almeno, per me lo sarebbe certamente.

Siccome ho solo brevemente citato W. Wenders, a corredo tento un'interpretazione più dettagliata sempre frutto di precedenti letture. La teoria fotografica di Barthes, che s'inserisce bene nel tema, ad esempio distingueva due elementi:

il primo, lo "stadium", riguarda il campo delle informazioni che registriamo osservando una fotografia. Si tratta del vastissimo campo del “gusto incoerente” fatto di I LIKE/I DON'T. Qui le informazioni visive possono ampiamente scuotere l'osservatore ma non lo feriscono. Manca, a questo livello, l'impetuosità. La percezione alla sua base è ancora estensiva e cumulativa. Dati, dati, dati.... Barthes chiama le fotografie che si esauriscono a questo livello "unarie" in quanto trasportano solo informazioni più o meno facilmente comprensibili.

Il secondo elemento, che Barthes definisce "punctum", interrompe e scavalla lo "stadium", lacerando il continuum informativo: idealmente è un luogo di massima intensità e densità in cui vi è insito “un che di indefinibile”. “L'impossibilità di definire” - dice Barthes - “è un buon sintomo di turbamento. L'effetto c'è, ma non è individuabile: è netto e tuttavia plana in una zona indefinita di me stesso”.

Nello "stadium" (scrive Barthes) lascio che la mia attenzione scivoli, disinvolta, sul vasto campo delle informazioni. Il "punctum" invece mi riduce in uno stato di assoluta passività, m'indebolisce, soffro una perdita di ego, sento che qualcosa mi punge in maniera pre-conscia, m'incanta e mi ferisce: TO LOVE, una singolarità mi tocca ma è senza nome.

Sintetizzando: laddove la positività del TO LIKE trasforma il mondo in un inferno dell'Uguale, nel disagio del TO LOVE è insita ogni esperienza intensa (= epifania dell'osservatore).

Tornando a bomba sulla citazione d'apertura, a me pare che l'esclamazione "Allora esiste!" di Wenders cada a fagiolo nel mondo dell'Oltre-LIKE già tratteggiato da Barthes.

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 17:10

Non mi é ben chiaro il discorso sinceramente
Mi fai un esempio concreto ?
Cioè mi spiego meglio intendi dire che per andare oltre il mi piace ti aspetti immortalato qualcosa che non sembri reale invece lo é e questo colpisce ?

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 18:07

Dopo il pippone sarebbe bello vedere qualche tuo scatto che rappresenti il pensiero

avatarjunior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 18:15

Se fotografí qualcosa e perche questa cosa esiste, da qui non se ne esce.

avatarjunior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 19:21

@MatteoGroppi

Il digitale, lo sostenevo ricapitolando altre letture in un precedente post del blog, ci ha traghettato dalla realtà “analogica” all'iper-realismo ma, a questo aumento di dati a disposizione, non necessariamente è corrisposta una maggiore libertà nell'espressione del reale (e del referente). Come se la digitalizzazione avesse assolutizzato lo “stadium” riducendo tutta la realtà ad informazione.

Quindi, nella mia interpretazione, combinando Wenders e Barthes, non si tratta di fare i funamboli alla ricerca d'un coup de théâtre cognitivo bensì di resistere alla tentazione (inflazionata dal digitale, perlopiù) di farsi sequestrare esclusivamente dagli aspetti comunicativi e di senso, infarcendo così la fotografia d'informazioni e discorsi (ergo una fotografia illustrativo-pornografica anziché erotico-seduttiva).

D'altro canto, l'essere in connessione non è sinonimo dell'essere in relazione, e questo lo sosteneva già Kafka quando diceva che si può toccare una persona vicina o pensare ad una persona lontana, mentre tutto il resto va oltre le nostre risorse. Il fatto è che la comunicazione digitale (espressa anche attraverso la fotografia) distrugge sia la vicinanza che la lontananza rendendo, in un certo senso, ogni cosa “priva” di distanza.

Da tutto ciò mi pare stimolante ottenere in risposta ad uno scatto un'esclamazione come “Allora esiste!” (che rimane, comunque, una citazione). Nella mia interpretazione vedo ristabilirsi tutte le opportune distanze: la prossimità del “puntcum” che colpisce pienamente l'osservatore, come la seppur distante “presenza” intatta del medium fotografico, non sovrastato dagli aspetti meramente digito-informativi.

Una fotografia, insomma, capace di imporsi come cosa-oggetto (avrebbe detto Freud), a questo punto concluderei: nonostante la sua natura digitale, che sembra essere più che un'opportunità un'intralcio ancora difficle da gestire, almeno visto in questa prospettiva speculativa.

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 19:54

Dopo il secondo pippone riusciamo a vedere una foto oppure no?

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 20:32

Te lo dico sinceramente secondo me assolutamente in disaccordo.
Basta vedere la fotografia contemporanea per accorgersi che la tua posizione é totalmente insensata.
Tu hai preso una teoria piegandola al : la pellicola é fica il digitale fa solo cose scadenti mischiando una frase estrapolata dal contesto con un testo che parla di contenuti non di mezzo e ho il vago sospetto che tu non lo abbia ben capito.
Ci sta citare fonti più autorevoli però piegare un discorso estrapolato per sostenere una teoria che sinceramente non ha né capo né coda... Puoi anche scriverla bene e fornita ma sempre di una sparata si tratta
In fotografia si impone chi ha qualcosa da dire punto il resto sono tutte cazzat.e che lasciano davvero il tempo che trovano
Possiamo raccontarci tante belle palle ma alla fine che conta sono le foto e i risultati il resto è fuffa

avatarjunior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 20:55

Non c'è nessun problema @MatteoGroppi
Mi faceva piacere lasciare testimonianza domenicale di una lettura, tutto qui, che poi ho cercato di argomentare seguendo la traccia di quanto letto. La farina è del mio sacco in minima misura, da cui le molte citazioni, ma per ulteriori approfondimenti e per un discorso più organico a questo punto rimando al libro "Le non cose: Come abbiamo smesso di vivere il reale" del noto filosofo tedesco coreano Byung-Chul Han (Einaudi), docente universitario a cui spesso piace trattare temi d'attualità "scottante", ivi compresa la fotografia digitale in ogni sua diramazione.
Personalmente lo ritengo molto valido, come divulgatore, anche se il suo approccio è sicuramente "conservativo" e talvolta apocalittico. Tuttavia molto stimolante qualora non si trovino del tutto convincenti gli entusiasmi della modernità.

p.s.
per inciso, non c'è da parte mia alcuna intenzione di demonizzare il digitale a favore dell'analogico ma semplicemente l'interesse ad analizzare, anche a titolo speculativo, i processi che coinvolgono tutti noi, volenti o nolenti. È vero che molte persone quanto si sentono dire "Salta!" rispondono chiedendo soltanto "Quanto in alto?" ma io non sono tra quelle. A me piace sapere perché mai dovrei saltare, e chi sei tu per dirmi che devo farlo, ecc... Ciò che per alcuni è "fuffa" per altri è assolutamente prioritario.

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 21:03

Sono più per un approccio simile a fontcuberta.
Ma non escludo una lettura, solo che non ho trovato un riscontro nella fotografia reale legato a quello che dici
A me piace parlare di fotografia attraverso le fotografie

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 21:13

Comunque una volta é un libro carino

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 21:47

Di Han ho letto uno dei suoi libricini blu (Nello sciame, visioni del digitale). Sulle analisi del contemporaneo può anche essere interessante, anche se in generale mi pare un Baudrillard appena più moderno.
Quello che non ho capito è come si collega il discorso barthesiano alla citazione iniziale di Wenders sul reale...

avatarjunior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 22:36

@Rombro

Han, nella sua analisi, collega l'auspicato “Allora esiste!” di Wenders al “È stato” di Barthes in seno alla veridicità della fotografia analogica in quanto “emanazione del referente”: realtà e sua rappresentazione impregnate dalla medesima sostanza, da cui l'innamoramento o, volendo esagerare, carnale connessione.

Un tema che, con l'avvento del digitale, viene messo in discussione, perché a partire dal digitale Han comincia a parlare di una iper-realtà (fotografica) oramai sganciata dal suo referente (se non come residuale "citazione") e pressoché totalmente auto-referenziale.

Il tema dell'auto-referenzialità nella fotografia digitale, così intrinsecamente presente secondo Han, lo induce a riprendere in mano la teoria barthesiana nel punto in cui esamina e differenzia “stadium” e “punctum”.

Han evidenzia quanto sia più complicato, nel digitale, arrivare al “punctum” non soltanto per una nostra incapacità o mancanza di volontà ma proprio per la sua stessa natura pressoché totalmente “informativa” (e quindi "stadium").

Dunque, sempre secondo Han, il passaggio dall'analogico al digitale, in fotografia, non è solo un fatto tecnologico che lascia inalterato il risultato finale ma un qualcosa che assomiglia al passaggio dallo scrivere a mano all'utilizzare una macchina da scrivere (a qui arrivano a suo sostegno anche Kafka, Heidegger & Co. laddove evidenziavano quanto fosse differente l'uso della mano nella sua interezza rispetto all'uso delle singole dita per battere dei tasti).

Personalemente non interpreto tutto ciò come una critica alla modernità ma come un'analisi delle sue possibili e non sempre evidenti criticità.

avatarsenior
inviato il 03 Settembre 2023 ore 23:42

Dovrei leggere il libro in questione per ribattere in modo adeguato. Così su due piedi direi che rimane una questione filosofica che non so quanto riscontro trovi nella fruizione effettiva dell'immagine fotografica.
Analogico e digitale sono comunque condannati alla rappresentazione di una realtà che viene in ogni caso elaborata ed interpretata. Uno sguardo "disinteressato" non si pone certe riflessioni ma anzi, viene catturato da processi di risonanza, associazioni affettivo-significative che prescindono dal mezzo di produzione (ma non dai codici e dalle strutture socio-culturali...che è un discorso a parte).
Mi pare comunque abbastanza ovvio che il "punctum" sia il terreno più fecondo per intensità/turbamento/indefinizione pre-conscia dell'esperienza individuale.
La "cosalità" dell'"Allora esiste!" ci riporta invece ad una specie di stasi intellettiva in cui la realtà "catturata" arriva ad uno stadio significativo (de)finito in cui non si dà più possibilità di proliferazione dello sguardo in senso potenziale/energetico. Un po' (per similitudine) come dice Simondon riguardo al soggetto ne L'individuazione psichica e collettiva.

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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