| inviato il 16 Marzo 2015 ore 13:21
Questo thread è spinoso, e forse andrebbe messo in un "Cultura, critica, scrittura dell'immagine". Spinoso perchè è facile trascendere e parlare dell'argomento della foto incriminata più che del concetto stesso di manipolazione del messaggio. Vi pregherei, se possibile, di tralasciare il discorso politico. www.wumingfoundation.com/giap/?p=20649 Lo riporto perchè spesso parliamo di cosa lasciamo fuori da una foto, cosa includiamo, il messeggio che mandiamo. Alzo il tiro, perchè la foto è indubbiamente esplicita ma falsamente attribuita, e questo ne ribalta il messaggio. |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 14:30
Ciao Alessandro, un'altra tua lodevole iniziativa all'interno di questa sezione che ti vede tra i più attivi e per questo ti faccio i miei complimenti. Conoscevo già la storia di questa foto, ma nonostante i tuoi auspici credo che non sarà affatto facile "tralasciare il discorso politico". “ Lo riporto perchè spesso parliamo di cosa lasciamo fuori da una foto, cosa includiamo, il messeggio che mandiamo. „ Ma in questo caso sono altri che a posteriori hanno modificato il messaggio a loro convenienza e non il fotografo! Un saluto, e ancora complimenti per il tuoi suggerimenti. Peppe |
user39791 | inviato il 16 Marzo 2015 ore 14:51
La fotografia è sempre stata manipolabile, come è manipolabile una frase dato che la si più estrapolare da un discorso per cambiarne completamente il significato. Ciò non toglie che la cultura popolare ha sempre avuto una fede assoluta nell'immagine al punto tale da fare della fotografia un linguaggio. Questa fede assoluta è crollata dalla metà degli anni 80 decretando la fine della fotografia come linguaggio. Paradossalmente la società è mutata nel giro di pochi decenni al punto tale da diventare un'entità che vive in funzione della propria riproduzione. Quindi da fotografia come documento a fotografia come esistenza. La fotografia è' già oltre alla rabbia di Bruno Vespa................ |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 15:01
Se parliamo di manipolazione deliberatamente attuata (e non quindi dell'aspetto, diciamo così, "parziale", insito nel mezzo), indubbiamente la storia non ne è povera... Anche più sottilmente, senza falsificare nulla, si può agire pesantemente sulla percezione della verità, attraverso semplici omissioni o visioni parziali. Ricordo l'intervista a un poeta palestinese, che rilevava come Arafat, uomo a suo dire piuttosto curato in generale, appariva nelle rappresentazioni internazionali sempre nelle sue condizioni di minor cura. Non so se sia vero, e non è importante: sappiamo che è possibile, e questo è sufficiente per capire come semplicemente, magari goccia dopo goccia, come falsificare la verità, piuttosto semplicemente. Ricordo, in altro luogo rispetto al forum, di aver fatto nel mio piccolo una prova in tal senso tempo fa (proprio per sviluppare il tuo tema in fondo): a Madrid, in piena crisi, realizzai un piccolo reportage. Solo immagini negative (manifestazioni politiche ruvide, rappresentazioni di degrado e simili). Ovviamente la Gran Via avrebbe offerto spettacolo affatto differente, nello stesso momento, con la stessa fotocamera... Ma presentata così, dodoci scatti a senso unico, i commenti furono sostanzialmente identici: "come stanno messi male"... |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 15:02
“ E' andata oltre alla rabbia di Vespa................ „ Ti piace vincere facile! Filiberto hai ragione, nel corso della Storia molto è stato manipolato, anche documenti scritti, ad esempio le traduzioni e succesiva copiatura da parte degli emanuensi dei testi antichi, e si potrebbe continuare... |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 15:18
Divido in due il mio tentativo di analisi del problema. 1 - il materiale fotografico e chi fotografava; in clima di guerra, almeno fino all'avvento di Internet, la fotografia era esclusivamente o quasi uno strumento "ufficiale", nel senso che veniva utilizzato fondamentalmente solo da appartenenti a milizie "regolari", funzionali "statali" e dai primi fotoreporter inviati "ufficialmente" da qualche testata giornalistica o che, comunque, avevano rapporti con queste. Non solo non ci sono fotografie scattate dai partigiani titini, ma nemmeno i partigiani italiani in Emilia, Veneto ecc. mi risulta ne abbiano scattate se non come fatti episodici. Credo che sia una questione in qualche modo "fisiologica": se in quelle circostanze non hai mezzi di diffusione dell'immagine a tua disposizione, è inutile e persino pericoloso fotografare, e sicuramente i partigiani di quel periodo non avevano alle spalle giornali o simili. Le foto: qui la cosa sconcertante è il fatto che nella maggior parte dei casi la reale attribuzione sia fattibile già ad una sommaria analisi delle immagini stesse; del tipo che dove compare una divisa è immediatamente riconoscibile; sconcertante appunto perché non c'è stato nemmeno il tentativo di nascondere l'evidenza (una cosa che fa pensare!). 2 - l'utilizzo di quelle foto; qui suggerisci di non portare il discorso sull'aspetto politico, ed è giusto, perché credo che, soprattutto alla luce di quanto ho scritto sopra, il problema dell'utilizzo di "quelle" foto non sia politico, ma puramente editoriale, mediatico, sensazionalistico ecc.; in altre parole, credo che la cosa nasca dalla "viscerale" necessità, tipica del giorno d'oggi, di utilizzare le immagini. Oggi un "pezzo" giornalistico, la pubblicazione di una ricorrenza, persino la semplice pubblicità sembra che non possano "funzionare" se non contengono immagini, anzi, spesso si riducono ad una semplice discussione "attorno ad un'immagine" anziché alla spiegazione del fatto di cronaca così come si è svolto e lo si è osservato. Morale: se immagini di quel fatto non ce ne sono (della serie: ma guarda un po' 'sti × che fanno le cose senza documentarle!?!), se ne vanno a pescare di simili, e poco importa se mostrano fatti dalla valenza diametralmente opposta, tanto è il primo impatto quello che conta! Due riflessioni: "è il primo impatto quello che conta" significa che nell'immagine ormai si cerca "solo" l'aspetto emozionale, della serie del paesaggio al tramonto, pompato con Photoshop; non c'è differenza! Seconda riflessione: il problema è dello stesso tipo del caso Troilo e di tanti altri, se manca l'immagine dell'evento in sé, la si costruisce o se ne cerca una simile, e tanti saluti all'onestà dell'informazione (perché, giustamente, la politica non c'entra nulla in questo modo di fare, ormai è un "male mediatico", una sorta di "droga" di cui i mezzi d'informazione non possono più fare a meno) |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 15:27
la fotografia è un linguaggio, e come tutti i linguaggi come attori principali ha chi parla, chi ascolta ed il messaggio che si vuole trasmettere. molti linguaggi fotografici non hanno regole ben precise, mentre nel reportage fotografico, siccome si vogliono raccontare fatti, il messaggio deve essere ben chiaro e la fotografia funzionale allo stesso e non fuorviante. Mettendo come base, ovviamente, l'oggettività del reportagista (questo è fuori di dubbio). credo pertanto che sia un genere intrinsecamente complesso proprio per questo motivo. Npn è facile approcciarvisi... troppo facile effettuare interpretazioni fuorvianti... troppo facile anche travisare volutamente il messaggio, proprio come diceva più sopra qualcuno, estrinsecando una parola (fotografia) da un discorso (reportage fotografico). tutto quanto riportato nel link secondo me è pertanto assolutamente condivisibile, il reportage fotografico è un genere serissimo e le proprie fotografie devono dire una cosa specifica (una delle cose basilari ma più complesse della fotografia) pertanto un po' di riflessione e approfondimento in più sul tema non fa certo male, anzi. troppo facile, in questo campo come in altri, liquidare sempre il discorso fotografia vs. realtà con la frase 'ma dallo scatto in poi la fotografia è sempre un'interpretazione'. Certo che è un'interpretazione, ma deve essere funzionale al messaggio, e in questo caso, quando il messaggio deve essere oggettivo (ed è gravato pertanto da una caratteristica ulteriore che lo vincola in maniera incisivissima), diventa complessa da interpretare e realizzare, ed ogni elemento a supporto (didascalie incluse of course) deve essere visto come parte integrante. ah: e una cosa in pià che credo personalmente: il fotografo deve prendersi la responsabilità di ciò che trasmette, e come e in che maniera tale foto può essere o non essere riprodotta. Ancora più complesso, ma anche questo fondamentale. my 2 cents. |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 15:59
Ulteriore considerazione: in questo caso, paradossalmente, non ci sono colpe da parte di fotografi, dato che sono state utilizzate immagini letteralmente "di un'altra epoca". L'idea, per altro giustissima, che la fotografia non sia la realtà e che attraverso la fotografia si possa mentire, viene sempre scaricata sul fotografo, ma qui siamo in presenza della dimostrazione lampante che nemmeno a quelli che le immagini si "limitano" a pubblicarle interessa la veridicità di quelle stesse immagini. Siamo alla mancanza di etica del Machiavelli applicata all'informazione mediatica; si dà per scontato che se consideriamo giusto il "fine", il modo di raggiungerlo non abbia più alcuna rilevanza e che, scavalcate le eventuali colpe del fotografo di turno, altri colpevoli non ce ne siano. Ma a che gioco stiamo giocando? Se un fotoreporter spedisce una foto taroccata ad un quotidiano, e qualcuno se ne accorge, quel fotografo non lavorerà più per quel quotidiano, se a fare il furbo è direttamente il quotidiano (rete televisiva, ufficio stampa comunale ecc.) tutto rimane invariato! Ma non sarà che anche in quel caso l'opinione pubblica debba iniziare a "chiedere la testa" di qualcuno? |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 16:04
Come giustamente fatto notare ci sono due livelli di "possibilità di menzogna". Una riguarda la foto in se, l'altra il titolo o la didascalia. Ho riportato il link in questione perchè questo caso appartiene alla meno frequente delle due, quella cioè in cui la foto "non mente", perchè è davvero una fucilazione, ma mente la didascalia, perchè le parti sono invertite. Un esempio opposto invece potrebbe essere la foto di Nixon e Khrushchev di Erwitt....
 In cui lo stesso Erwitt racconta di come stessero parlando di CUCINE, e non di crisi internazionale. In questo caso è la foto a portarci verso una deduzione "errata"... Ma, come dicevo, questi casi sono più frequenti. Quello della didascalia mi sembrava più interessante, perchè di solito è stra-utilizzato sui giornali di gossip e fortunatamente meno in contesti storici. |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 16:20
Il problema della didascalia rientra proprio nella casistica del "non ho l'immagine di quel momento/fatto/situazione, ne uso un'altra"; la didascalia in questo caso crea un "falso contesto". Alla fine, volenti o nolenti, si torna sempre a parlare dell'importanza del contesto, che è duplice, perché in una foto esiste il contesto in cui è stata scattata e quello in cui viene fruita dal pubblico; non sempre i due "contesti" coincidono e non è detto che questo sia in assoluto da condannare, ma bisogna creare dei paletti ferrei (e possibilmente delle sanzioni per i trasgressori, altrimenti non se ne esce più): se l'intento è quello di documentare, i due contesti DEVONO tassativamente coincidere, se l'intento è artistico o comunque interpretativo, allora possono essere differenti, purché se ne renda in qualche modo consapevole l'osservatore. |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 17:42
Che Bruno Vespa sia l'anti-informazione,o formazione manipolata è arcinoto.Voi siete giovani,e magari non vi ricordate la strage di piazza Fontana quel tragico 12 dicembre del 1969.Ebbbe,il bel tomo,raggiante dagli schermi del TG1,annunciò agli italiani la cattura del vero colpevole, reo confesso,cioè quel poveraccio di Giuseppe Pinelli,che non c'entrava assolutamente nulla.Fu sbugiardato presto ma non imparò la lezione.A metà anni novanta,a Mantova,mi sembra,ma non sono sicuro,l'allora Lega Lombarda ottenne un grosso successo nelle elezione,ed il bel tomo cosa fece:negò tutto,dando altri dati.Risbugiardato,anziche venire cacciato se la cavo ancora.Ora,dal mio personale punto di vista è uno dei tanti dell'anti.informazione,razza che nel frattempo ha proliferato in rapporto col numero delle TV.Io non sono uno storico,ma chiunque abbia fatto il servizio militare fino ai primi anni 70,avra riconosciuto le divise,l'elmetto ed il fucile,il 91/38,imbracciato dai militi,che ancora circolava,ergo REGIO ESERCITO ITALIANO.Non basta la faccia di"bronzo" di Vespa per ribaltare il tutto. |
| inviato il 16 Marzo 2015 ore 22:28
Le didascalie e le scelte editoriali, come avete detto, sono un problema che coinvolge aspetti che spesso vanno otre le stesse intenzioni dei fotografi. Ci sono però dei pericoli innescati direttamente dall'agire di chi quelli scatti li ha fatti. E non è un problema del solo fotogiornalismo, del reportage o della foto "documento". C'è un etica a cui si dovrebbero attenere anche i semplici amatori, con i soli distinguo dettati dai vari generi praticati. In proposito vi segnalo un articolo del mio amico Giuseppe Pagano che mi sembra di particolare interesse per l'argomento: pensierifotografici.wordpress.com/2015/03/08/sembra-semplice-ma-forse- |
| inviato il 17 Marzo 2015 ore 11:31
Non ci vedo menzogne, sono un errore nel ripescare una foto. Non so voi, ma io da quella foto non sarei in grado di capire se si tratti di militari italiano, tedeschi, sloveni o americani... Rimangono i fatti storici e le crudeltà da entrambe le parti (l'uomo in guerra da il peggio di se). ps: le Foibe comunque sono altro, non c'era bisogno di scavarsi la fossa, ti ci buttavano dentro vivo o morto. |
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