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Quello che è successo nel 2022 in Iran in seguito alla morte di Mahsa Amini e che ha dato una spinta ulteriore al mio progetto, è una vera rivolta dei capelli, quasi essi volessero prepotentemente uscire al vento dopo secoli, divenendo in questo modo simbolo delle negate libertà civili. La modestia e la tradizione non possono essere imposte con la forza senza perdere ogni connotato morale, e divenire quello che sono: pura sopraffazione. Una bandiera di capelli, che curiosamente avevo realizzato per questo progetto alla ricerca di nuovi sentieri, ora diviene simbolo di una rivoluzione femminile che si estende a tutti coloro che si sentono oppressi dal regime degli Ayatollah, a coloro che vogliono andare sopra-vento, a rischio della propria incolumità. Oltre alla liberazione dall'hijab che molte donne hanno strappato dal capo o dato alle fiamme, viene inscenato anche il taglio delle ciocche, che raffigura la ferita e il dolore di questa sopraffazione, come se la donna privandosene in modo netto e reciso ne affermasse per contrasto il possesso, la disponibilità, che le viene invece negata dalla sharia.
Ho deciso così di ritrarre delle ragazze curde iraniane che, scappate in Iraq attraverso le montagne in un viaggio difficile e rischioso, hanno trovato rifugio nell'organizzazione militare del partito curdo Komala, impegnato nel combattere in esilio e con povertà di mezzi il regime di Teheran. Pochi giorni dopo l'inizio delle proteste seguite alla morte di Mahsa il quartier generale del partito nelle colline vicino a Sulaymaniyya è stato colpito da 12 droni kamikaze lanciati dal vicino Iran, un attacco che fortunatamente non ha causato vittime.
Nella mia visione poetica i capelli di queste giovani soldatesse, ritratte nel loro piccolo dormitorio e nel campo di addestramento, escono dal velo, in modo anche selvaggio e disordinato, affermando la loro libertà di respirare, di esistere, come se alla libertà civile si affiancasse una libertà espressiva: la libertà dell'arte, dell'acconciatura, della bellezza. Per me mostrare il capello in molti modi differenti significa creare arte, e non trovo nulla di più libero di questo.
Libertà che ha in sé qualcosa di profondamente pericoloso, però. Per questo chi si toglie il velo è come un funambolo che si muove in bilico su una fune (in realtà è una sbarra pensata per il combat training) impugnando un bilanciere da cui cadono capelli. L'asta permette alla soldatessa Zhiyan di avanzare, e il peso che la aiuta a trovare maggior equilibrio è costituito da una miriade di capelli che la sostiene ma può spingerla nell'abisso. Alla fine il velo, da gabbia che incombe sulle vite delle donne diventa oggetto colorato di cui ci si può prendere gioco, che si può lanciare in aria con gesto liberatorio.
Kimia, 20enne di Sanandaj, studentessa universitaria di Legge arrivata nel 2022 pochi giorni dopo l'inizio delle proteste; Helya, 18enne di Diwandarreh, Nahid, 27enne di Mahabad, Shahla, 29enne di Sanandaj e Zhiyan, 18enne di Javanrud, arrivate nel 2022; Parsto, 27enne di Mahabad e Dilan, 23enne di Sanandaj, arrivate nel 2021; Bayan, infine, 44enne di Tabriz, arrivata nel 2015.
In particolare Kimia, coinvolta nelle proteste all'Università, ha dovuto lasciare la sua casa per non rischiare la vita, come è accaduto a due sue amiche che sono state vittima di stupro nelle prigioni iraniane, e mi ha confidato che le è piaciuto questo modo di raccontare la sua storia: non un reportage documentaristico ma un mostrare la sua vita e il suo volto in modo artistico, intimo, differente.
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