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Miriam, infermiera strumentista.
Miriam si può considerare una veterana del Bangladesh. Una delle infermiere oramai storiche, ha all'attivo almeno 8 missioni. Ma non datele della storica, senno' si incazza e poi non la tiene più nessuno. Anche Miriam l'ho conosciuta direttamente sull'aereo per Dacca, ed è stato subito feeling a prima gomitata (seppur con alcuni battibecchi geografici, per esempio sulla esatta localizzazione di Lamezia Terme). Miriam, a Khulna, continuava a ripetere che questa sarebbe stata l'ultima sua missione. Eppure ho l'impressione che non sarà così. Perché Miriam, a Khulna, era sempre in movimento. Subito pronta ad aiutare nell'anestesia, a mettersi sotto negli interventi lunghi, a far partire quella risata o quella battuta che distende l'ambiente, a coccolarsi i suoi bengalesi.
Anche questa intervista è stata condotta a posteriori, e non di persona. Per questo sono più brevi del solito. Questa non è stata una specifica scelta stilistica, ma personale. Forse non ho avuto il coraggio di condurre l'intervista laggiù, o forse ho preferito godermi quei momenti. Chissà.
- Miriam, perchè hai scelto di fare l'infermiera strumentista? - “E' un ruolo che ho aspettato con pazienza per anni nella mia carriera professionale. E' un'attrazione che ho avuto fin dai primi tempi della scuola. Non so bene di preciso cosa, ma sarà stato l'ambiente particolare, la gestualità, l'attenzione e la cura estreme dei particolari che mi hanno sempre affascinata. Sarà una sfumatura di sadismo? Mah….”
- E invece l'idea di fare l'infermiera quando ti è entrata in quella testa che va sempre a mille pensieri? - “Da subito dopo le Medie. L'idea era di fare medicina, ma i miei non potevano permettersi di pagare gli studi. Sono proprio contenta della mia scelta.”
- Sei contenta, ma non hai dei brutti ricordi, dei momenti pesanti legati a questa professione? - “Certo che mi ricordo dei brutti momenti. Forse quello più brutto è stato un Parto Cesareo a una ragazza defenestrata. Abbiamo perso due vite in un colpo solo. Veramente un brutto momento. Poi ci sono tutte quelle situazioni in cui ogni volta i pazienti ti ringraziano, lì capisci di avere fatto la differenza per loro. E questi momenti valgono tutte le brutte situazioni che possa attraversare un operatore sanitario.”
- Ma tu, da infermiera, come sei arrivata a Khulna? - “Il Bangladesh è arrivato per caso. Ho avuto subito la sensazione di essere arrivata in un posto conosciuto, dove ero già stata (forse come in un'altra vita?). Sarà sempre così, un eterno ritorno a casa. Ricordo in particolare il dono di una madre per ringraziarmi dell'intervento fatto al figlio. Un mandarino. Era l'unica cosa che aveva.”
- Cosa vuol dire per te “Prendersi Cura”? - “Ti rispondo così: Il regalo più prezioso che possiamo fare a qualcuno è la nostra attenzione. E' un pensiero di Thích Nh?t H?nh. Credo che in questa frase sia racchiuso tutto il senso del “Prendersi Cura”.
E io credo che anche in quel mandarino sia racchiuso il senso del Prendersi Cura.
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