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Elena...

Prendersi Cura

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Elena inviata il 05 Dicembre 2021 ore 12:07 da Matteop7. 0 commenti, 139 visite. [retina]

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Elena, 57 anni, Anestesista-Rianimatrice, Endocrinologa, Giramondo. Elena è la persona che ho tenuto per ultima, tra quelle che ho incontrato a Khulna e che voglio raccontare. E c'è un motivo , credo importante. E' quella persona che mi ha fatto capire sul serio cosa vuol dire mettersi a disposizione. Il primo incontro è stato strano: Aeroporto di Istanbul, i due tronchi di equipe si incontrano per fare l'ultimo volo assieme. Appena Elena mi vede mi abbraccia e urla “Eccolo qui il mio compare! MI han detto che sei un mago con l'ecografo, ci divertiamo! Vuoi una caramella? Ora vado a fumare! Sù, muovetevi!” Con una carica impensabile per chiunque alle 04.00 di notte. Ecco, Elena è così: sempre in movimento, sempre con la sigaretta tra le mani, sempre con una parola per qualcuno, sempre a sorridere. Elena c'è sempre. Mi avevano detto che fosse una delle anestesiste storiche del “SOS Ortopedia” ma non mi avevano raccontato quanto fosse “argento vivo”. Se si vuol descrivere la frase “essere carichi al 100%” basta mostrare una foto di Elena. È esplicativa! Mi piacerebbe scrivere che ho condotto l'intervista tra un'anestesia e l'altra, ma non è vero. Eravamo troppo impegnati a ridere come non mai, oppure giocare con i piccoli pazienti (ed è giocando a 1-2-3 stella con Elena e i bambini che ho lasciato un'intera unghia a Khulna). Elena aveva un po' di timore a rispondere alle domande, temeva di esser banale. Per fortuna ho insistito, si è rivelata preziosissima anche qui. - Elenuccia, perchè hai scelto di fare il Medico? E soprattutto perchè Anestesia, che è molto logorante come orari e responsabilità? - “Ho scelto Medicina per caso. Ero al liceo e con altri coetanei, volontari, aiutavamo una famiglia con una bimba con grave spasticità, me li ricordo bene quei pomeriggi a fare esercizi di mobilizzazione, di giochi e di fisioterapia. Così decisi che da grande avrei fatto la Neuropsichiatra Infantile. Poi lungo il percorso di studi ho pensato che era meglio avere un'infarinatura generale prima di scegliere la specialità giusta e cominciai a frequentare in un reparto di Medicina Interna. Poi la laurea e la specialità in Endocrinologia. Ma era andato male il concorso e mi sono rimessa in gioco. Volevo fare qualcosa di più attivo e pratico, di manuale. Basta cartellare pazienti, fare anamnesi, la semeiotica medica e prescrivere pillole….e così, dopo neanche tre mesi che frequentavo una sala operatoria, mi offrirono una supplenza. Aiuto!!! Ai miei tempi era possibile essere assunti senza avere la specialità, che ho conseguito mentre già lavoravo. Passavo le ore e i giorni, sabato e domenica, fuori turno, ad affiancare i colleghi più anziani per rubare ad ognuno di loro i segreti di questo lavoro. - Hai frequentato tanti posti, anche in ambito lavorativo. Così tanti colleghi implica tante persone da cui ispirarti, imparare. Cosa pensi che hai imparato da loro? E cosa potresti insegnare tu? - “Tutti mi hanno dato qualcosa. Dal collega che ti spiegava con precisione manovre, tecniche, dosaggi e meccanismi d'azione a chi anche senza darti spiegazioni o evidenze scientifiche aveva una tale esperienza di anni per cui risolveva qualsiasi situazione critica. Ma l'umiltà che ho osservato in un anziano anestesista che in PS stava gestendo un intervento chirurgico in un prematuro, è diventata la mia. La sua apparente tranquillità nel gestire la situazione ammettendo e riconoscendo i propri limiti, per cui ripassava sul suo quadernino di appunti i dosaggi mi ha insegnato che non ci sono traguardi da raggiungere ma che è un continuo quotidiano imparare, situazioni imprevedibili da affrontare e che tutti hanno ancora ora qls da insegnare, anche dai colleghi più giovani io imparo qualcosa di nuovo. È un reciproco scambio di conoscenze ed esperienza. Ed è quello che tutt'ora rivelo ai più giovani, crearsi un proprio modus operandi, dove obbiettivo principale è offrire al paziente la miglior anestesia per lui e le sue condizioni di salute, non quella che tu sai fare meglio. Perché la soddisfazione finale, il premio quotidiano è il paziente che al risveglio afferma che non si è accorto di nulla..” - Immagino tu abbia tanti ricordi, viste anche le tante missioni umanitarie a cui hai partecipato. Qual è il ricordo più intenso, più brutto? - “Mah, nel nostro lavoro conviviamo molto, troppo spesso con la sofferenza ed il dolore, e sicuramente il ricordo più brutto che ho ancora vivo nelle mente risale a molti anni fa. Ero alla mia prima missione in Africa, in Ghana, con mio marito chirurgo. Ho ben impresso nella memoria ancora il senso di inadeguatezza e di impotenza che ho vissuto in quei giorni, Ospedale pieno di pazienti con le patologie più strane e sconosciute, con scarsi strumenti diagnostici e terapeutici e che aspettavano da te, medico, un trattamento, una cura. Ed un giorno è arrivato un bambino di pochi anni con una grave insufficienza respiratoria, cianotico. Ti assicuro che anche sulle persone di colore, anche senza saturimetro, ti rendi conto che tanto bene non respira...mentre lo ausculto, va in arresto. Lo prendo in braccio, corro in sala operatoria, lo intubo e inizio una rianimazione senza successo, sotto lo sguardo incredulo di tutto il personale locale. Il mio pianto e la disperazione per non essere riuscita a salvare quel bambino si contrapponeva alla loro tranquillità, o forse rassegnazione di fronte alla morte. La dignità con cui la madre ha preso in braccio il suo bambino, senza una lacrima, né un segno di sofferenza, ma con una sincera riconoscenza, mi ha fatto comprendere come sia lontano dal nostro modo di concepire il loro significato della morte. È da allora, comunque, che continuo appena posso ad andare in giro...Ghana, Cambogia, Sierra Leone, Bangladesh. Sono per me momenti vitali, vere e proprie boccate di ossigeno. È mettersi in gioco, una sfida con se stessi ad ogni missione, la cui ricompensa non ha prezzo, dall'opportunità di conoscere persone e culture diverse, al piacere di condividere queste sensazioni con tutti i compagni delle missioni. E ti confesserò che in tutte le missioni fatte in Bangladesh ho quasi sempre trovato questo spirito di gruppo, sarà che sono anche una ingenua ottimista”. - Sei sempre carica, sei sempre in cerca di qualcosa da fare, sei una molla! Ma tu come ti vedi con un'immagine, un'idea, una frase? - “Ricordo un poster da ragazza, era un bellissimo tramonto sul mare (adoro i tramonti e le albe!!!) con una frase di Albert Schweitzer che recita 'quello che tu puoi fare è solo una goccia nell'oceano, ma è ciò che da' significato alla tua vita'. Ecco, questo è il mio motto, la mia spinta ad andare in giro, ma anche nella quotidianità, nella vita, in corsia e in rianimazione.” - Da persona sempre pronta ad andare in missione, cosa vuol dire Prendersi Cura? - “Prendersi cura significa dedicare il tuo tempo, le tue attenzioni, la tua professionalità all'altro. Che sia un paziente, un parente del paziente o un collega. Vuol dire che sei disposto a rinunciare a qualcosa di te stesso per rispondere alle necessità dell'altro. È quello che mi da' energia e mi fa superare la stanchezza fisica, dopo ore di lavoro. Passare a vedere come sta il paziente che hai appena svegliato, fermati a parlare, dedicare pochi minuti del tuo tempo ad un parente in ansia e preoccupato, oppure chiedere al collega che sta sforando in sala operatoria se ha bisogno di un cambio o di una pausa. Chiamalo senso di dovere, responsabilità o forse è semplice empatia per l'altro. Ma non sono capace di agire diversamente”. Grazie Elena, per tutto quello che insegni.



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