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Sara...

Prendersi Cura

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Sara inviata il 05 Dicembre 2021 ore 12:03 da Matteop7. 0 commenti, 30 visite. [retina]

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Sara, 36 anni, Genetica medica A Firenze, nel 1891, nasce una struttura che si dedica esclusivamente alla cura dei bambini. E' una delle prime in Europa. Questa struttura è l'ospedale pediatrico che il commendatore Giovanni Meyer dedica alla moglie Anna, precocemente deceduta. Ed è proprio in questa struttura, che i fiorentini talvolta continuano a chiamare “ospedalino”, che nasce la pediatria italiana. Fino ad allora il fanciullo era considerato un adulto, e come tale curato. Ne è testimone proprio Anna Meyer che ne rimane sconvolta. Per questo il marito fa costruire un edificio che anticipa l'evoluzione della medicina su scala nazionale, in linea con le migliori idee dei Paesi europei più avanzati. Oggi è un modello a livello internazionale, col tempo ha rafforzato la sua fama di luogo di cura unico e innovativo. Al Meyer si pratica una 'pediatria personalizzata' in continuo aggiornamento. L'approccio passa attraverso l'apertura dei reparti ai genitori (primo ospedale in Italia), l'umanizzazione del rapporto medico-paziente, la ricerca e le tecnologie d'avanguardia, e trova riscontro in una grande struttura architettonica finalizzata al benessere fisico, psicologico ed emotivo del bambino. L'illuminazione naturale, la ecosostenibilità dell'edificio e la sua integrazione con il paesaggio, l'uso del colore nei reparti di cura come negli spazi dedicati al gioco e alla socializzazione, le installazioni artistiche o gli spazi per garantire la continuità scolastica contribuiscono alla cura del bambino. Io ho avuto la fortuna di vivere 10 mesi della mia vita professionale nel Meyer. E al Meyer ho conosciuto Sara. Sara è un medico genetista. Mi racconta che è stata rapita dalla Genetica al secondo anno di università, seguendo le lezioni della Prof. Giovannucci Uzielli, genetista storica del Meyer. Un docente preso dalle storie dei suoi pazienti, che in Sara ha risvegliato una curiosità innata verso l'aspetto matematico e logico delle malattie genetiche, ma al tempo stesso ha stimolato il suo animo empatico verso quelle malattie che talvolta sono così rare da essere dimenticate. Al terzo piano del Meyer c'è una grande cupola, qui spesso si va in pausa pranzo, per godersi la luminosità diffusa che sembra avvolgere tutto l'Ospedalino. Se ti sporgi dai parapetti (è un piano sopraelevato e aperto), puoi stupirti in due modi: guardando a destra vedi un maestoso albero che protegge il corridoio che porta alla pediatria, guardando di fronte a te vedi una ludoteca coloratissima e una biblioteca per i più piccoli, grande quando un intero piano. Qui porto Sara, questo posto lo chiamiamo familiarmente “il cielo”. Sara qui spicca tra la luce e le nuvole (sarà anche l'altezza, mi sento osservato dall'alto dei suoi 190cm). - Sara, ma tu quando hai deciso di Studiare Medicina?- “E' un'idea ingenua, ma ho deciso di studiare medicina da piccola, quando ho saputo che il mio Babbo aveva cominciato medicina. Poi per una serie di problemi aveva dovuto cambiare rotta. Da lì, probabilmente, mi era entrato in testa questo proposito. Anche se dicevo che volevo fare la ginecologa, ma questa idea è stata subito bocciata da mia nonna al suon di 'ma che, vuoi sta' tutta la vita a vede' patate?'. Ovviamente ho cominciato a pensarci sul serio alla fine delle superiori. Ho tentato il test ed è andata.” Sara è una persona diretta, che ti dice le cose come le pensa e come pensa che dovrebbero andare. E' anche una persona che non fa fatica a ricordare il momento più brutto della sua carriera professionale. “ Per fortuna non ce ne sono tantissimi, il primo che mi viene in mente è sicuramente una famiglia incontrata 4-5 anni fa, l'avevo incontrata altre volte. Ma in quella occasione avevo comunicato la diagnosi. Considera, come tu ben sai da ex-genetista, che c'erano stati dei tempi d'attesa molto lunghi, anche se fisiologici. Non credo fosse una situazione esagerata, specie rispetto ad altre famiglie. Loro avevano un ragazzo già grande, con una sindrome che poi si è rivelata la Sindrome di Usher. Io gli diedi la conferma molecolare. In quel momento loro hanno riversato su di me tutta la loro frustrazione per la situazione, e hanno cominciato a minacciare di denunce l'Ospedalino. Mi hanno trattato con tanta sufficienza e freddezza, e sinceramente ci sono rimasta male. In quel momento sono rimasta spiazzata, ma ho capito che dovevo ribattere il meno possibile, insomma dovevo lasciarli sfogare. Certe volte, in certe situazioni ti viene da rispondere, ma capisci che non bisogna farlo. Poi ci sono stati incontri successivi, perché hanno continuato a farsi seguire, ma hanno mantenuto questa cinica freddezza che sicuramente era il loro modo di reagire, ti trattano sempre come se tu fossi in torto. Come se il figlio fosse malato per colpa tua. Ecco, forse questo è il ricordo più brutto dal punto di vista relazionale”. Non faccio in tempo a replicare che Sara subito ricomincia a raccontare. “I ricordi più belli invece sono tanti, sono tante le persone che mi vengono in mente. Oppure la prima volta che ho azzeccato una diagnosi. Quando abbiamo consegnato il referto dell'Esoma a una famiglia che seguivamo da tanti anni. Seppur negativo, loro hanno accolto questa cosa in una bella maniera. Nel senso che hanno capito che avevamo fatto il possibile, che comunque non li avremmo abbandonati e che avremmo continuato a cercare. Hanno capito che noi eravamo comunque li ad ascoltarli. E continua ad essere un bel ricordo perché con la madre ci vediamo tutti gli anni, continuiamo a seguirli”. - Come vivi il tuo lavoro oggi, che sei diventata mamma?- “il mio lavoro oggi è una partita a tetris, un gioco di incastri con le mille cose da fare tutti i giorni e la vita in famiglia che però mi dà dipendenza e non potrei mai smettere. Sono fortunata a lavorare in un posto così, in tutta onestà. Perché nonostante tutti i difetti che ci sono in questa struttura, l'ospedale pediatrico è veramente una realtà particolare.” A volte qui al Meyer i ritmi sono serrati, decido di anticipare la domanda clou per essere sicuro di avere una risposta dettata dalle sensazioni e non dalla fretta. - Sara, cosa vuol dire per un Genetista 'Prendersi Cura'? - “Prendersi cura è l'empatia che metto in questo lavoro; è ricordarsi che chi hai di fronte è 'fatto di ciccia' come te e quello che sta affrontando lui/lei potrebbe riguardare chiunque di noi. Prendersi cura è sforzare di ricordarsi il volto del bambino dietro la cartella, per non identificarlo con nome e cognome. Prendersi cura in Genetica, dove in genere, 'cure reali' non ne hai, è cercare di fare qualsiasi altra cosa che possa essere utile, da una relazione approfondita, a un certificato per la scuola, a prendere un appuntamento. Insomma non lasciarli soli”. - Sara, un ultima domanda: mi racconti una curiosità sul Meyer?- “ Ti racconto la storia del nome, tu sai come si pronuncia?” - Qui lo chiamano tutti Mayer, rispondo - “Esatto, ma in realtà il fondatore dell'ospedale ha lasciato una traccia. Il commendatore Giovanni Meyer lo scrisse nero su bianco nell'atto di donazione alla città di Firenze: il suo cognome era da pronunciare con la “e”. Una precisazione che rimase sepolta negli incartamenti di allora: i fiorentini, tutti i fiorentini, in oltre 130 anni di storia lo hanno sempre chiamato “Mayer". Apperò, che luce c'è nel cielo del Meyer.



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