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Cesare...

Prendersi Cura

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Cesare inviata il 05 Dicembre 2021 ore 12:02 da Matteop7. 0 commenti, 46 visite. [retina]

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Cesare, 29 anni, Ematologo dopo 3 anni di tronco comune in Medicina Interna Via del Pratello è una via di Bologna, una strada lunga appena 600 metri. Ma, nell'immaginario collettivo dei bolognesi è diventata un intero borgo, che comprende varie vie limitrofe. Alle quali si aggiunge piazza San Francesco. Sono le strade dove camminano i bolognesi la sera, muovendosi tra i vari bar, ristoranti, locali notturni. Sono per lo più studenti, in quella che in Italia è stata definita la città universitaria per eccellenza. Via del Pratello è la via in cui è nata Radio Alice, una delle prime radio libere bolognesi, al motto di “dare voce a chi non ha voce”. Il Sunday Times, nel 2011, ha citato il Pratello come una via bohemienne. E' stata anche definita “rifugio di giocatori d'azzardo, esperti in truffa alla francese, preti, uomini arrapati, alcolizzati, cacciatori di topi, spie, travestiti; fame Perenne e regno del Precariato; indolenza, nel corso dei secoli”. E io dove ho conosciuto Cesare, se non in via del Pratello? Di questo primo incontro ci sono dei ricordi e delle immagini fumose. C'è un bar (la Birreria del Pratello), c'è una birra (una trappista quadruplo malto), c'è un elevato tenore alcolico (almeno 9°C), ci sono due matricole (io e Cesare). Di preciso come sia andata la serata, non è chiaro. L'unico ricordo vivo è l'applauso tributatoci in facoltà il giorno dopo. Cesare non è agevole da definire, forse solo i ricordi possono farlo. Con lui si riassume il mio percorso universitario: c'era in tutte le sbronze, organizzatore indefesso di feste in maschera e cene con delitto, sempre presente a grigliare sui Colli Bolognesi. Con Cesare sono andato al Gay Pride Europeo ad Amsterdam, ho campeggiato in Sardegna, ho scalato la via degli Dei. Con Cesare ubriacavamo, a suon di alcool di bassa lega, gli studenti alle feste di Medicina, travestiti e ballando sul bancone. Con Cesare ho vinto tre maratone fotografiche, finendo sul Resto del Carlino travestiti da Papa (io) e Suora (lui). Con Cesare ho fatto a gara con gli esami, fallendo. E mi son dovuto tingere i capelli di rosa. Cesare, e il mio rapporto con lui, riassume circa dieci anni della mia vita, gli anni universitari. Che non riesco ancora a raccontare, posso solo ricordarli. Col Sorriso. Oggi Cesare vive in Svizzera, a Berna. Ed è padre di una bellissima bambina, la mia prima nipotina. Una nipotina che si addormenta quando le canto “Bella Ciao”, è proprio una bimba che promette bene. Sono andato appositamente a Berna per trovare lei, e ne ho approfittato per mettere sotto torchio Cesare. Un termine che ricorre spesso nel vocabolario di Cesare è “smarmellamento”. Nella nostra conversazione affiora sin dalle prime battute. Gli sottopongo la mia solita domanda standard di entrata in questo tipo di discussioni. Perché hai deciso di studiare medicina? “Che domanda della minchia. Ho deciso di fare medicina perché ci ho provato, sostanzialmente. Non sapevo cosa scegliere, e la Medicina mi affascinava perché coniuga la parte scientifica di ricerca e conoscenza con la parte umana di rapporto con il paziente. In quel momento mi sembrava una cosa intelligente e interessante da fare. E' stato un salto nel buio, ed è andato bene” - Insomma, per citare te stesso, è stato uno smarmellamento uscito per caso? - “Come tutta la mia vita, del resto” e mentre afferma questo, avvicina l'indice destro alla mano della bambina, che lo afferra prontamente e ci si aggrappa tutta contenta. Tu sei andato a lavorare, a vivere in Svizzera. Anche questo è stato un salto nel buio, ma perché hai scelto proprio Il Ticino? “Sono finito a Bellinzona perché non sapevo il tedesco e il francese, ho fatto domanda a tappeto finché non ho trovato qualcuno che capisse il mio potenziale e avesse voglia di darmi una chance” - E qual è stata la motivazione che ti ha convinto a rimanere in Svizzera? “La possibilità di poter fare qualcos'altro oltre alla medicina, il fatto che ti permettessero di viaggiare e conoscere il mondo, cosa che in Italia, tra lavoro estremamente duro e paga risicata, è molto difficile. - Ma questo salto nel buio lo rifaresti volentieri? “Si, e probabilmente mi spingerei anche più lontano”. Io ancora, dopo anni, non mi capacito della scelta svizzera. Non riesco ancora a vedere quello che ha visto Cesare in questo placido paese, scelta inusuale per una persona che placida non è. Gli chiedo di spiegarmi meglio com'è lavorare in Svizzera. “ Vedi, qui l'approccio è completamente diverso da quello italiano. Per la gente italiana la malattia, la terapia e spesso la morte sono quasi un tabù, che non vanno discusse. Il paziente non viene accompagnato ma bisogna sempre praticargli una trasfusione, bisogna bucarlo con gli aghi, bisogna dirgli che andrà tutto bene mentre fai l'ottavo disperato ciclo di chemioterapia. Qui in Svizzera, soprattutto la Svizzera tedesca, hanno una mentalità molto più nordica. Paziente X lei ha un tumore, cominciamo la chemioterapia lunedì, le sue aspettative sono queste. Secco, brutale. Però questa brutalità è intima, a modo suo; stai trattando la persona non come un bambino ma come un essere umano, capace di capire che il problema c'è”. Scommetto una birra che il tuo ricordo più bello della Svizzera comprende uno smarmellamento! “Dev'essere stato quando……si! Avevamo una paziente molto complessa che doveva essere sottoposta a un delicato intervento cardiochirurgico, ed era ricoverata da noi in attesa del posto letto. Abbiamo chiamato il consulente della cardiochirurgia, appena è arrivato ha cominciato a vomitare informazioni tecniche su questa povera donna, idiozie che erano terrorizzanti. Quando è finalmente uscito, atteso in sala operatoria, la paziente e le figlie erano con gli occhi lucidi perché pieni di lacrime. io, con la mia capacità di smarmellamento, sono riuscito a tranquillizzarle e a farle ridere”. Per prenderlo in giro, gli chiedo quale sia l'equivalente svizzero del “Prendersi cura”? Vedo Cesare che riflette qualche secondo, nel frattempo scappa un urletto della bimba, piacevole sottofondo di tutta la conversazione. “Prendersi cura di un paziente vuol dire, prima di tutto, capire quali sono i tuoi limiti e capire quali sono i limiti del paziente, e riuscire a dare tutto quello che puoi entro questi limiti. Limiti che derivano dalla tua istruzione, dalla tua conoscenza e dalla tua esperienza. Prendersi cura di una persona è la stessa cosa, però in questo momento sei fuori dalla funzione di medico e devi semplicemente cercare di aiutare, che non vuol dire trovare un medicinale strano ma vuol dire anche ascoltarla quando parla o esserle vicino. Prendersi cura di una persona è estremamente più ampio di un paziente”. Mi distraggo un attimo, pensando a queste parole. Di sfuggita ascolto Cesare che intona dei versetti alla figlia. Certo che fin ora è stato proprio uno bello smarmellamento. Nota di redazione: Smarmellare è un espressione che deve la sua popolarità alla serie Boris. “Smarmella” (variante: “Apri tutto!”) è l'indicazione il tecnico delle luci Duccio dà a Biascica quando vuole conferire alle immagini una patina di bagliore diffuso, aprendo al massimo l'otturatore dei fari, come spesso succede nelle telenovele. esempio: “questa scene devi farmela più smarmellata! Ricorda: nel dubbio, smarmella!”.



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