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Claudio...

Prendersi Cura

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Claudio inviata il 05 Dicembre 2021 ore 12:01 da Matteop7. 0 commenti, 111 visite. [retina]

, f/1.8, ISO 200,

Claudio, 33 anni, Anestesia e Rianimazione. Se tu pensi a Claudio, se conosci Claudio, se frequenti Claudio, pensi a un'apertura, a un modo di vivere leggero e responsabile. Lo capisci anche dall'impegno che Claudio ci mette nel risponderti alle domande, ti ascolta, ti scruta un attimo e poi comincia a risponderti. Ma, sorpresa, riesce a essere partecipe e leggero, coinvolto eppure onesto, pronto a infilare la battuta che alleggerisce il momento, senza sminuirlo, con la precisione di un Cardiochirurgo mentre cuce un vasellino sul cuore pulsante e malato. Un vasellino che ti sembra insignificante, eppure è determinante; così come le battute di Claudio, apparentemente semplici eppure chirurgicamente adatte al momento. Sono di turno pomeridiano in Ginecologia, un turno che mi esalta molto perché è una guardia solitaria, in cui se succede qualcosa di importante devi contare solo sulle tue capacità e quelle del tuo strutturato. E' una vigile attesa che si protrae costante per tutto il pomeriggio, durante momenti così ho imparato a conoscere Claudio dal punto di vista professionale. E' naturale quindi che io e Claudio ci troviamo nel retro del padiglione Maternità, nel reparto fumatori. Qui c'è una bolla, puoi vedere medici, infermieri, OSS e, a volte, pazienti che aspirano e sbuffano voluttà di fumo, con le rughe vibranti sulla faccia tese a congelare quel momento, con gli occhi che volano al cielo inseguendo le piccole preoccupazioni che abbiamo tutti. Vorrei porre delle domande importanti a Claudio, chiedergli le spiegazioni a quei modi di essere e quelle domande che se li capisci e fai tuoi riescono a renderti una persona che aiuta il mondo, e che aiuta se stessa. Alla fine dell'intervista capirò che la strada è lunga come un tornante che si arrampica sul fianco del Cimone, ma oggi ho visto un ottimo esempio. Un esempio lo è una persona che ti racconta il suo più brutto ricordo del percorso che l'ha portato a diventare Medico, prima che Clinico, in questo modo: “Una cosa che comunque ogni tanto mi ritorna in mente e che mi risulta ancora spiacevole è il momento in cui preparavo biochimica, uno dei due enormi esami del secondo anno insieme ad Anatomia. Avevo seguito tutte le lezioni e studiato molto, mi sentivo preparato e a posto con la coscienza. In realtà sono andato peggio di come avrei creduto (e ci sta), ma la cosa che ha causato la bocciatura è stata che non sapevo disegnare la formula della vitamina B9. Neanche non sapevo la funzione, proprio la formula. Ho scoperto poi che per il mio professore la formula di struttura delle vitamine era un requisito imprescindibile per passare l'esame, e quindi andare oltre a medicina. Mi è sembrato assurdo allora e mi sembra assurdo oggi che, nonostante uno dia il meglio che può (che per carità, a volte il meglio che hai non è abbastanza e bisogna avere la forza di prenderne atto, ma io non mi sentivo fosse quello il caso), se ha la sfortuna di incappare in un "superiore" - in senso lato - con un metro di giudizio quantomeno discutibile ci rimette senza possibilità di appello. Spero che oggi quel tipo di insegnamento universitario dogmatico e personalistico stia sparendo”. Anche nel suo ricordo brutto, pensa all'Altro. Ma Claudio è una dicotomia vivente, è anche leggerezza. E' quello che produce la Birra artigianale con te; quello che in Islanda sta zitto con te 4 ore durante la guida per non essere cazziati dalle ragazze che gridano discorsi importanti; è quello che con te, durante una festa, organizza una contro-festa comprando le birre dal Pachistano e regalandole agli altri. E' una testa di minchia, come il sottoscritto. Una persona organizzata ed equilibrata ma che ha sempre il guizzo strano, come quando ti spiega qual è il suo primo pensiero quando arriva in ospedale: “Principalmente penso a quello che devo fare, che tipo di giornata di lavoro mi aspetta, a volte lo so, a volte è una sorpresa. Già quando parto da casa vado a pensare cosa mi aspetta, cosa avevo lasciato il giorno prima e cosa devo fare per il giorno dopo” - “Ed è questo il motivo per cui sbagli sempre strada andando al lavoro” gli chiedo - “Io quando guido non penso mai alla strada che faccio. Ho imparato una strada ed è sempre quella, indipendentemente che sia chiusa per lavoro o che debba andare da un altra parte; ma non sempre penso al lavoro quando sbaglio strada, a volte penso semplicemente ai fatti miei”. Una persona organizzata, schematica, che devia improvvisamente da quella che sarebbe una giornata da manuale, sbagliando strada involontariamente. Quasi a voler essere inconsciamente in direzione ostinata e contraria, come se dovesse essere un dovere vivere la giornata inserendoci un pizzico di se stessi. Ti viene voglia di fargli una domanda intima, insidiosa. Siccome sei suo amico, sai che lo imbarazza parlare di sé, gli chiedi di descriversi in dieci parole. “Dieci parole sono tante eh Tato; direi che sono paziente. Nel senso che mi piace vivere tranquillo, il più delle volte non mi pesa adattarmi alla situazione. Ma non so se sono accomodante perché voglio stare tranquillo o viceversa per non creare conflitto inutile. Mi piace abbastanza l'idea di essere quello da cui puoi andare perché sei sicuro di aspettarti un'apertura in generale, una sorta di disponibilità, il beneficio di starti a sentire”. Prima ancora che mi permetta di replicare, si conferma di essere la dicotomia che dovremmo essere tutti. Essere quello che ti offre un'apertura prima di tutto, ma anche quello che le aperture le cerca, le desidera, per non smettere mai di essere in bilico verso l'essere due persone in una. Incalza la domanda di prima, aggiungendo il momento più bello che ricorda da quando ha cominciato a lavorare: “E' stato il momento dei saluti l'ultimo giorno di lavoro nella clinica dove lavoravo prima di cominciare Anestesia. Facevo l'aiuto ortopedico e le guardie notturne in medicina, quindi avevo a che fare sia col personale delle chirurgie e delle sale sia con quello delle medicine e in un anno ho conosciuto un po' tutti, infermieri, OSS, medici, personale della mensa eccetera. L'ultimo giorno ho salutato tutti partendo dal terzo piano e scendendo fino al -1, dove c'erano le persone con cui avevo legato di più e arrivato in fondo è stato difficile trattenere la commozione. Tra tutte queste persone ce n'è una in particolare, la signora che sterilizzava i ferri delle sale, una di quelle persone dritte e che hanno la capacità di inquadrarti e leggerti come un libro aperto in pochi istanti. Sono andato da lei quando dovevo decidere se accettare o meno il posto in medicina d'urgenza che avevo vinto al concorso nazionale, io sapevo che non volevo davvero farlo ma allo stesso tempo rinunciare all'occasione di entrare in specialità mi dispiaceva, quindi ero un po' in stallo. Lei mi ha aiutato a raggiungere la conclusione migliore per me, possiamo dire che se sono qui oggi è anche per merito suo”. Il ricordo più bello non è l'aver aiutato qualcuno, l'essere stato determinante in un momento o l'aver strappato un sorriso. E' l'Altro. Verso le 18 di un Luglio qualunque, l'aria è particolarmente serena nel vialetto della Maternità, il fiume di parole scorre languidamente, senza eccessi e senza smuovere con violenza le foglie dell'albero che ci sovrasta. Le scuote leggermente, con costanza; l'aria sembra quasi avere un peso nella vigile attesa, come una coperta fresca che è lì, sulle tue spalle. Come un sesto senso, sbotto, con la solita accezione burbera che uso come maschera nei momenti di maggiore coinvolgimento (eppure si sta così in pace, con i secondi che scorrono piacevolmente): “Clà, tra 5 minuti mi chiamano per una Partoanalgesia, spara cosa vuol dire per te Prendersi Cura”. A puntuale conferma del mio presentimento, sentiamo dall'alto un urletto che si mischia al vagito di una nuova creatura. Ha un qualcosa di comico; infatti da teste di minchia, qual siamo, scoppiamo in una risata che alleggerisce il momento. “Prendersi cura credo voglia dire conoscere i bisogni dell'altro e in quali momenti questi bisogni hanno bisogno di essere soddisfatti. Vuol dire anche essere capaci di capire se si è in grado di soddisfarli e avere l'umiltà di riconoscere quando non lo si è, e magari trovare qualcun altro che possa essere più adeguato di te per quella particolare situazione. Puoi applicarlo alla medicina se vuoi, dove devi studiare e conoscere la malattia e sapere cosa serve e quando serve. Oppure puoi applicarlo a te stesso, sapere cosa puoi fare da solo e cosa no, sapere quando devi chiedere aiuto. Immagino che in un certo modo curare una malattia sia più facile che prendersi cura una persona - può succedere di fare la prima cosa senza fare contemporaneamente la seconda. Se studi abbastanza e hai sufficiente esperienza, e se la malattia lo consente, spesso l'hai vinta. Le persone invece sono più complicate, ognuna conta uno, con il suo carattere, il suo contesto e tutto”. Puntuale come profetizzato, si staglia nel silenzio la suoneria del cellulare del Medico di Guardia. Lo saluto, stranamente svogliato, e mi avvio in sala Parto. Con un ultimo fischio Claudio richiama la mia attenzione e conclude “Forse se fossimo più come la signora che sterilizza i ferri saremmo tutti più bravi a prenderci cura degli altri”. L'altro, sempre e per primo.



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