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a 55mm, 1/30 f/5.6, ISO 100, mano libera. Venezia, Italia.
Vecchissimo scatto risalente al mio primo anno con la reflex in mano, un jpeg recuperato come meglio ho potuto e come meglio so fare al momento. E' una cosa che adoro fare per sperimentare e crescere partendo dai miei sbagli. Controproducente? Eccessivo attaccamento a vecchi e orribili scatti con una marea di errori tecnici di base? Forse... non sempre; ma in questo caso si. Non uno dei miei migliori, è vero (ammesso che ne abbia mai fatti di decenti): la composizione lascia parecchio a desiderare, micro-mosso, post-produzione limitata dal formato e da tutto ciò che devo ancora imparare... e così via eccetera eccetera eccetera. Premetto che ho il "delete" facile nonostante ami, come già detto, recuperare le foto laddove ritengo sia vagamente possibile farlo. Molto probabilmente, questo scatto non era il miglior candidato per una tale missione di salvataggio, eppure, in tutti questi anni, per quanto ci abbia provato innumerevoli volte, non sono mai riuscita a cestinarlo. C'era qualcosa in questo vecchio signore emaciato, dall'aspetto vagamente logoro, seduto a bere la sua bruna tutto solo, che mi aveva colpita e poi spinta a immortalarlo... la stessa cosa che in seguito mi ha sempre trattenuta dal rimuoverlo dalla memoria del mio computer. All'epoca non conoscevo la sua storia, sebbene, inconsciamente, sia stata proprio questa, in fin dei conti, a convincermi a ritrarlo; e in seguito è stata il motivo per cui ho sempre deciso in definitiva di conservare lo scatto. Una storia come tante altre, purtroppo, così tante che ormai foto-documentarne una simile è sinonimo di "voler giocare facile" in quanto a emotività espressa attraverso uno scatto; così tante, da rendere lo scatto stesso emotivamente banale, insomma. Il che è assurdo. So che una foto e la storia che racconta dovrebbero essere in grado di parlare da sole, ma nel caso di Klaus, credo che si possa fare un'eccezione. Klaus è un tedesco/austriaco immigrato in Italia una ventina di anni fa, dove ha vissuto da sempre come senzatetto, sviluppando, in seguito, problemi di salute di tipo psichiatrico. Fondamentalmente innocuo, per quanto burbero e schivo, è conosciuto e benvoluto da tutti i frequentatori e lavoratori del "Forte" (un piccolo parco locale della cultura), i quali hanno offerto rifugio a lui e al suo pastore tedesco. "Fido" ha una cuccia recintata tutta sua e Klaus, per quanto il suo nuovo alloggio non sia la reggia di Versailles, ha la possibilità di avere un tetto sopra la testa, di passeggiare all'aria aperta per i viali alberati del luogo, consumare qualche pasto caldo, bere una bevanda fresca e fumare qualche sigaretta ogni volta che qualcuno del posto riesce a offriglieli. Ma Klaus è comunque solo e alla deriva: non ha amici, non ha una vita, una vera sistemazione, un lavoro, qualcosa che possa riempire le sue giornate e dare loro un senso; non ha nessuno che si prenda davvero cura di lui, che possa alleviare le sue peggiori sofferenze o aiutarlo a risolvere i suoi problemi. Ed è così che ha vissuto gli ultimi 20 anni della sua esistenza, forse (purtroppo o per fortuna) senza nemmeno poter rendersene conto. Klaus è morto poco tempo dopo questo scatto (il suo pastore tedesco, ormai vecchio e solo, lo ha seguito durante i mesi successivi) e questa è la ragione principale (insieme alle altre di cui vi ho parlato poco sopra) per cui, perfetto o imperfetto che sia, non l'ho cancellato e mai lo farò. Questa foto, forse l'ultima mai scattatagli, prova che lui c'era, che è esistito, che la sua storia è vera e che non può e non deve essere dimenticata.
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