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In alcune baracche del Campo di Auschwitz, adibite a padiglioni museali, sono raccolte centinaia di migliaia di oggetti appartenuti a centinaia di migliaia di persone internate dal 1940 ai giorni della liberazione, susseguitisi nella primavera del 1945. In alcune baracche sono state realizzati enormi contenitori di vetro e al loro interno sono stati riposti gli effetti personali dei deportati: cataste di borse e valigie, cumuli di occhiali da vista, stoviglie di latta, capelli (si proprio capelli, raccolti come fossero lana tosata alle pecore), protesi, pettini e spazzole e … scarpe! Proprio la gigantesca bacheca delle scarpe ha attratto la mia attenzione perché in cima alla montagna di calzature, offese prima dall'usura e poi dal tempo, giaceva una piccola scarpa femminile di colore rosso. Un rosso sbiadito che tuttavia sembrava voler addolcire con una piccola nota di allegria e spensieratezza, la lugubre immagine del mucchio di calzature di ogni tipo: scarpe basse, scarponi, ciabatte, sandali, stivaletti il tutto accatastato in un disordinato miscuglio la cui tonalità variava dal grigio o marrone chiaro a toni più scuri e che ispirava un forte e triste senso di mortale abbandono. La scarpina rossa, seppure un po' malconcia e dal colore sbiadito, sembrava volesse raccontare una storia racchiusa nella sua foggia giovanile. Guardavo quella scarpina e nella mia mente si accavallavano immagini di serenità: era una scarpa primaverile, del tipo che le ragazze hanno fretta di indossare non appena il sole appare e trasmette il primo calore, dopo il freddo inverno,. Forse la giovane donna abitava a Cracovia, qualche decina di chilometri da Oswiechim e forse abitava nel quartiere di Kazimierz, il quartiere ebraico. Forse era giovane e bella, piena di vita e vivace, forse era fidanzata e si stava preparando alle nozze con passione e desiderio: quella giornata sarebbe stata indimenticabile piena di spiritualità e antichi rituali ma anche ricca di allegria, di musica, di colori, affollata di invitati e appagante per le tante cose buone da mangiare. Forse …forse …! Sicuramente, chiunque fosse e da qualsiasi città o Nazione provenisse, di un unico fatto ero certo. La donna portava un marchio indelebile: la “colpa” di essere Ebrea! Quindi: condanna a morte senza pietà! Ad Auschwitz è rimasta la sua scarpa rossa per far immaginare e quindi ricordare la figura di una donna ignota: forse … un piccolo pensiero ha potuto intaccare ed assottigliare un poco l'oblio. P.S.: le immagini della scarpina e quella del cappottino rosso indossato dalla bambina nel film Schindler's List, non mi hanno abbandonato per tutto il giorno.
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