Al centro di New Zealand
Al centro di New Zealand, testo e foto by
Utente Non Registrato. Pubblicato il 09 Settembre 2011; 0 risposte, 3560 visite.

Esattamente al centro batte il cuore dell'isola settentrionale della Nuova Zelanda. Un cuore fatto di secolari tradizioni e leggende maori, ma anche e soprattutto, di geysers, acque termali, vapori e odori sulfurei, e ovviamente vulcani. Attivi, molto attivi: queste terre infatti giacciono proprio sopra le ferite aperte degli eterni conflitti geologici fra la placca australiana e quella pacifica. Dopo qualche giorno natalizio trascorso a Rotorua, capitale dell'odore di uova marce grazie alla notevole presenza di attivita' termali, arrivo alla cittadina turistica di Taupo, affacciata sulla sponda settentrionale del lago omonimo, il piu' grande della Nuova Zelanda ed originato da una della piu' spaventose eruzioni vulcaniche di tutti i tempi. Il giorno successivo decido di spostarmi sulle rive meridionali a Taurangi, campo base per gli esploratori del piu' antico parco naturale del paese, targato 1887, luogo sacro per la popolazione maori nonche' dimora dei piu' temibili e meravigliosi vulcani della nazione, il Tongariro National Park. Trovato alloggio nel piu' noto backpackers del paesello, mi attivo per organizzare la spedizione da li' a qualche giorno, ma le condizioni meteo vogliono che mi convenga partire gia' l'indomani, unica giornata certa di bel tempo seguita da due di probabile pioggia. Attendere significa annoiarsi per almeno tre giorni senza sapere se e quando poter partire, percio' armato della mia proverbiale impazienza, decido di procedere. Acquisto cosi' pass e trasferimento su navetta per una delle otto Great Walks della NZ, il Tongariro Northern Circuit, un percorso ad anello di quattro giorni e tre notti attorno al maestoso ed imponente monte Ngauruhoe (2287), un giovane vulcano di soli 2500 anni e dal look tronco-conico, ma gia' star holliwoodiana grazie all'ottima interpretazione nel ruolo del Monte Fato nella trilogia de Il Signore degli Anelli. Sveglia all'alba e alle ore 9.00 AM sono sul sentiero di guerra con i miei sette kg di armamento fotografico, i quali fanno levitare il tutto sopra i 15 e forse i 20 kg di materiale inerte sulle spalle. Dopo qualche ora di sudato avvicinamento alla dimora di Mordor, arrivo al bivio esistenziale per scalare l'impero del male fino al cratere. Non esiste sentiero per arrivarci, e trampers di ritorno mi sconsigliano vivamente di provarci con la mia zavorra e soprattuto con la macchina fotografica esposta.
L'idea di lasciare incustodito lo zaino per ore mi inquieta (verro' poi a scoprire che ogni cespuglio ne nasconde uno abbandonato), quindi decido di tentare la pazzia a tutto carico concedendomi una remota possibilita' di lasciar perdere se l'impresa dovesse essere troppo faticosa.

Quel cratere si rivela davvero l'ingresso dell'inferno, e per arrivarci, devo superare quattro ore di continui collassi psico-fisici. Si ascende spesso con l'aiuto delle mani a causa della forte pendenza e dei detriti che compongono i pendii friabili del vulcano. I piedi affondano nella finissima ghiaia lavica fino alle caviglie, senza riuscire a fare presa e spesso col risultato di scivolare ancora piu' in basso. A meta' strada, constato che ogni dieci minuti di salita mi costringono ad almeno tre di riposo. Sono veramente esausto, continuo a guardare con sconforto l'irraggiungibile vetta e dubito sul da farsi; il pomeriggio e' inoltrato, e il Katetahi Hut, il rifugio dove ho previsto di dormire, e' almeno ad altre tre ore di cammino dalla base del vulcano, senza tenere conto del fatto che non conosco la strada e potrebbe essere ancora piuttosto impegnativa. Alla fine, arrivo camminando sulla neve alla cima del maledetto vulcano, e posso solo lasciarvi immaginare la soddisfazione di guardare dentro quell'orifizio del mondo, camminando solitario sul bordo del cratere, e ammirando tutt'intorno l'incredibile bellezza di un paesaggio scolpito dalle forze piu' distruttive e violente della Natura. Rinvigorito da tanta meraviglia, discendo con qualche rovinosa caduta il ripidissimo pendio per continuare il percorso da dove, diverse ore prima, l'avevo abbandonato. Ormai il sole sta precipitando all'orizzonte, e siamo rimasti in pochi ancora in giro.
Esattamente dodici ore dopo il mio arrivo all'ultimo letto disponibile del Katetahi Hut, procuratomi dal giovane guardiano polacco, alle 8.00 AM del mattino seguente sono in marcia sullo stesso sentiero, tutt'altro che riposato a causa delle poche ore dormite per l'indiscreta, costante cacofonia russante di un gradito ospite, che essendo il primo ad addormentarsi, ha suscitato clamorose ma vane scene di protesta da parte di tutti gli altri membri della ricoverata comitiva.
Solo quattro ore mi separano dal successivo ricovero, cosi' decido di approfittarne per divagare sul crinale del secondo dei tre vulcani attivi: il monte Tongariro (1967), il cui nome significa piu' o meno "portato via dal vento del sud".
Appena partito, ho l'occasione di verificare il significato del termine Tongariro, e poco dopo si aggiunge la pioggia al vento. Il culmine e' un "good luck up there" pronunciato da un alpinista di rientro dalla cima a gambe levate, dopo aver saggiato l'inospitale clima della vetta. Arrivato infatti al capolinea, mi fermo a contemplare il panorama come un nuotatore della finale olimpica si riposa a bordo vasca durante la virata; inizia in tal modo un'interminabile camminata di tre ore sotto la pioggia battente, con un vento talmente assassino da costringermi a procedere gettando tutto il peso su un lato per contrastare la forza dell'aria. Attraverso uno dei paesaggi piu' affascinanti mai visti, un territorio alieno, brullo, ornato da sculture totemiche di enormi detriti lavici, solcato da torrenti appena partoriti e impreziosito da volute di fumarole.



Arrivo al secondo rifugio, l'Oturere Hut, e asciugato alla buona, mi infilo senza piu' uscire nel mio umido sacco a pelo gia' a meta' pomeriggio. Sguscero' da li' soltanto per competere con gli altri ospiti della dimora nella gara per i posti disponibili vicino alla stufa, dove mettere i propri indumenti ad asciugare.
Ad ogni modo, le previsioni sono deprimenti anche per il pomeriggio successivo, cosi' sveglia alle 6.00 AM e alle 10.45 AM sono gia' al Waihohonu Hut, terzo ed ultimo rifugio, e da li' decido di non muovermi. Finalmente prendo la decisione giusta. Solo verso sera, passato il diluvio pomeridiano, si aprira' il cielo e un tramonto incredibile sopra il terzo e il piu' attivo dei vulcani, il monte Ruapehu (2797), lascera' tutti a bocca ed otturatori aperti. Ripaghero' lo spettacolo con una notte insonne a causa del freddo, per una brusca discesa della temperatura e di una finestra lasciata aperta dagli amabili ospiti inglesi del piano superiore del mio letto a castello. Ultima tappa, ore 7.10 AM ho gia' lo zaino in spalla. La giornata e' magnifica, ma le previsioni buttano ancora sul bagnato verso sera. Sei ore piu' divagazioni mi separano dalla meta. Ma a poche battute dalla fine, forse per un improvviso calo di tensione del mio ginocchio destro, (anche le ginocchia hanno una psiche) un principio di dolore inizia a farsi sentire dall'interno. Poco dopo quell' inizio, la gamba e' completamente fuori uso: zoppico vistosamente e non riesco piu' a piegare il ginocchio. Cammino molto lentamente, con fatica e pronunciando smorfie di dolore ad ogni passo, quando non sono imprecazioni, ma in qualche modo riesco finalmente a raggiungere il traguardo finale del Whakapapa Village, dove mi dovrebbe prelevare qualche ora piu' tardi una navetta per il rientro all'ostello a circa 30 km da li'.


Gli orari dei buses in NZ sono solo indicativi, non vanno cioe'presi troppo sul serio, ma dopo 45 minuti di ritardo ancora non c'e' traccia di quel veicolo che dopo quasi tre ore di logorante attesa, mi deve portare in doccia per una disinfestazione da quattro giorni di vita selvaggia. Provo a telefonare alla rinomata ditta, capendo quel che riesco a capire, ma il succo del discorso e' chiaramente espresso con poche lapidarie parole: "there is not a bus today. Tomorrow." What?!! ho prenotato il biglietto di rientro quattro giorni fa ed ora, alle 17.00 del 31 Dicembre 2008, questo simpatico kiwi mi dice che sorry, non c'e' possibilita' di rientro fino al giorno dopo?! E pensare che ho rifiutato un passaggio in auto poco prima...un'altra della mie brillanti decisioni degli ultimi giorni. Inizio cosi' a scaldare il pollice, perche' come mi informa l'autista dell'ultima corriera in partenza per tutt'altra destinazione, non c'e' piu' alternativa all'autostop. Primi tentativi a vuoto, ma si sa, questa e' un'arte che da' i propri frutti nel medio-lungo periodo. Poco dopo pero', la provvidenza mi sorride, perche' vedo arrivare un furgoncino sospetto di colore giallo, sulla cui fiancata e' impresso lo stesso nome stampato sul mio biglietto di rientro. Dopo qualche spiegazione, telefonata e imprecazione da parte dell'autista, finalmente mi fa cenno che posso accomodarmi nel rustico mezzo per la via del ritorno. Salvo! Con servizio personalizzato e a velocita' doppia rispetto a quella consentita, arrivo proprio di fronte all'ingresso della mia tana a pagamento. Ho pochissimo tempo, perche' i negozi stanno per chiudere e non ho niente da mangiare, cosi' mollo tutto e corro immediatamente al supermarket senza essermi ancora liberato dagli scarponi. E' il momento del cenone di capodanno, e prendo di mira il ristorante che fa al caso mio: Honk Kong Restaurant, uno squallidissimo takeaway di paese. Ordino il mio hamburger e mi preparo alla consumazione seduto su una panchina al tramonto, quando noto che quello che sto per mangiare non e' il panino che ho ordinato: un cheesburger si e' trasformato per via delle intermediazioni italo-cinesi in un inconcepibile fishburger, che a giudicare dal sapore, deve essere stato il primo venduto nel 2008. Scambio a bocca piena due chiacchiere di carattere anagrafico con un socievole kiwi di nonno piemontese, e finalmente, a fisico provato e stomaco scioccato, mi preparo a congedarmi dal vecchio anno, dodici ore piu' giovane dei precedenti.
E' cosi' che, allo scoccare della mezzanotte, sulle tiepide rive di un lago vulcanico agli antipodi, chiudo la pratica relativa ad un altro noioso anno rivoluzionario.

Alessandro Guerriero scrive di sè: "nulla di speciale, a parte 35 anni di vari e vani tentativi professionali/esistenziali alle spalle. Fotografo amatoriale per passione e per noia, sta scappando dalla vuota frustrazione della quotidianita' in Nuova Zelanda. Tutt'ora sta vagabondando agli antipodi, e se qualcuno vuole raggiungerlo per un week end, lo puo' contattare tramite il suo blog all'indirizzo: alessandroguerriero.blogspot.com, dove trovera' altre foto e deliri." Risposte e commenti
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