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JPG e diapositive


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JPG e diapositive, testo e foto by Giorgio_Via. Pubblicato il 05 Agosto 2024; 10 risposte, 41111 visite.


Fotografare con La Fuji X-E4 e Voigtlander Ultron 27mm f/2, fuoco manuale, e poi con la X100VI, con il suo mirino analogico, mi hanno fatto tornare in mente vecchie sensazioni, scordate oramai dal lontano 1997, anno della mia prima fotocamera digitale.

Papà era un Nikonista convinto, F ed F3, con corredo di ottiche anche decenti (le sue) ma in casa avevamo anche apparecchi per pellicola 6x6, Zenza Bronica e Rolleiflex.

Io ho iniziato, a 12 anni, con una Voigtländer Vitoret, senza esposimetro, senza telemetro, tutto a mano, imitando le foto che faceva papà o scattando qualche salto di motocross in campagna, qualche animale in cascina, oltre alle mai tanto amate foto di famiglia.
Poi l'evoluzione, passando per una Cosina CT1, la prima reflex per arrivare alla Nikkormat FTN e, ultima, una FM2.
Inizialmente i miei genitori mi facevano stampare i rullini a colori, principalmente foto delle vacanze. Ricordo i portafoto con il nome del laboratorio, di solito arancioni o azzurri.

Non dovevano essere troppi però.
Spesso, sentivo il commento "ma cosa hai fotografato? che è quello? (anni dopo, ricordo, delle mie fotografie su Casabella (476/477 del Gennaio/Febbraio1982, Un progetto di arredo urbano per Pavia, che riprendevano dettagli di pavimenti in pietra e ciottoli)

Avevamo, nel seminterrato, una discreta camera oscura, un Durst di buona qualità, papà, laureato in chimica ma poi occupato in tutt'altro, si preparava i liquidi per lo sviluppo, il bianco e nero ovviamente.
Avevo imparato a sviluppare i negativi con la Paterson. La carta fotografica già costava: qualche foto della morosa o dei giri in moto. Mi piaceva, mi piace tutt'ora il bianco e nero, soprattutto i ritratto o pezzi di mezzi meccanici, ingranaggi.

Poi con il lavoro, con la necessità di documentare edifici e cantieri (ma già all'università per progetti e poi tesi) la scelta obbligata fu quella delle diapositive.


La proiezione delle diapositive dava molta soddisfazione (parenti e amici a parte), lo schermo dava dei buoni risultati, anche se in studio usavamo l'unica parete bianca rimasta vuota.
I caricatori portavano via un armadio intero ma il costo per scatto era basso. Era compatibile con gli scarsi mezzi di studente prima e di giovane professionista poi.

A fine anni '90 provammo anche il Cibachrome, un sistema Ilford per stampa da positivo a positivo, riuscendo a stampare anche in buon formato, di solito 20x25, con una bellissima resa dei colori (almeno all'epoca ci sembrava). Nuovamente, problemi di costo, tra liquidi, quelli no, papà non li sapeva fare, e costo della carta, non era possibile stamparsi più di qualche foto all'anno.

La compagna di scatto per tanti anni la Nikkormat FTN, un vero carro armato, con lo zoom Nikkor Ai 43-86 mm f/3.5, la peggiore lente Nikon di tutti i tempi?, messi in una borsa e via in moto a girare l'Europa.
Addirittura ricordo che il famigerato Ai 43-86 lo acquistai a Ryde, Isola di Wight, facendomi prestare i soldi dalla morosa, per poi girare, ovviamente in moto, tutta la Gran Bretagna fino al nord della Scozia e poi di nuovo giù, Galles e Cornovaglia.
Per le foto di interni, o di architettura, un Soligor 28 mm usato, che ho venduto credo un paio di anni fa.

Purtroppo un trasloco mal organizzato mi ha fatto perdere quasi vent'anni di archivio (per fortuna dirà chi legge), salvando solo qualcosa dal 1987 al 1994.
Sono rimasti solo alcuni caricatori impolverati salvati perché erano a casa anziché in studio, essendo perlopiù fotografie di vacanze.

Ho provato a convertire in digitale le meglio conservate, trascorsi più di trent'anni, con uno scanner Nikon Super Coolscan 4000 di un'amica: i colori sono parecchio artefatti.



Resta l'idea di come si scattavano quelle foto.
In viaggio i rullini erano contati, sette, otto, massimo dieci, ma doveva essere un gran bel viaggio, da 250 a 360 scatti. Lo so, ora fa ridere, anche scordandosi delle raffiche.

Non esisteva la "street photography" anche se qualche scatto divertente capitava, ma chi sprecava uno scatto per quello?



Scatti di lavoro a parte, in viaggio o vacanza ci si concentrava sulla luce, l'inquadratura, lo sfocato era un errore....così come il mosso. prima di pigiare il dito si ragionava, non si doveva sbagliare, non c'era l'autofocus, non c'era la Post Produzione.

Anche i controlli del corpo macchina erano davvero pochi rispetto agli enciclopedici menu di ora.
Il peggior ricordo era la regolazione degli ISO, alla base dell'attacco dell'obiettivo, con un sistema che ad ogni cambio di sensibilità costava un pezzetto di unghia.
Nel mirino il + e - con l'ago e i tempi impostati.
La Nikkormat aveva, geniale, un pulsante per il controllo della profondità di campo che, sostanzialmente chiudeva il diaframma come avrebbe fatto durante lo scatto, facendo diventare tutto un po' buio.
Per chi aveva fatto la gavetta su macchine completamente manuali non era poi così difficile, già avere un esposimetro e i microprismi della messa a fuoco era un lusso.

Si portava a casa il ricordo di quei momenti , un diario di vita che, certo, un poco si condivideva anche senza la massa di persone che ogni giorno ci leggono o leggiamo in rete.




Riguardando quegli scatti, alcuni irrecuperabili, gli amici mai più rivisti, le moto possedute, le morose scappate, quegli scorci di edifici degli architetti famosi da ricordare molto bene nel prossimo progetto (neanche internet era disponibile).



Perché questo sillogismo tra lo scatto delle diapositive e i JPG che escono dalla X100VI (ma immagino più o meno da quasi tutte le Fuji).
La premessa è d'obbligo: per me lo scatto è il ricordo del momento, così come esce dalla fotocamera, non ho mai post prodotto alcuna immagine che ho scattato, esattamente come con la diapositiva.
Certo mi piacciono, ma non rosico, gli effettoni di alcuni bravissimi fotografi (loro sicuramente bravi).
Da oramai anziano però mal sopporto le colorazioni, le saturazioni artificiali. Certo ho sempre usato i filtri ma restiamo del campo del giocare con la luce, non con la computer grafica.

La sensazione "analogica" del tenere in mano la Fuji X100VI, ma devo dire anche la X-E4 pur senza il mirino ottico, non obbligano ovviamente, a fotografare "analogico". Chi è appena un po' più bravo di me si porta a casa dei fantastici raw da giocarci come con un videogame per tutta la settimana.

L'ottica fissa credo, sia l'altra motivazione di questo feeling analogico.
Vero, ho barato un po' e ho acquistato il WCL-X100 II, la lente di conversione grandangolare, sperando di riavere quelle aperture di campo dei precedenti obiettivi grandangolari spinti.
Non dico che, tornando indietro non lo ricomprerei ma, tolte le foto di interni negli edifici, un po' di cervello, la posizione e la distanza corretta con l'ottica fissa a corredo si fa quasi tutto. Mancano i millimetri del teleobiettivo, mi piacciono le foto degli animali ma preferisco guardarle su National Geographic, così come le imprese sportive le godo in tv.

Ci sono anche controlli un po' piacioni (la rotella degli ISO sul lato superiore, molto old-fashioned), ma un po' tutto il corpo della X100VI è "piacione": qualcuno immagina abbiano pensato a Leica? Davvero?

Penso però che uno degli aspetti su cui ho molto riflettuto è proprio la qualità del JPG che la Fuji produce.

Mi direte: tu sei quello della luce senza artefatti ma usi le simulazioni pellicola? Certo, anche se nella mia vita credo di non aver usato più di cinque o sei tipi di pellicola diversi tra diapositiva e bianco e nero.
Pensare alla gestione degli ISO di oggi rispetto alle fotocamere a pellicola è fantascienza, allo stabilizzatore in macchina, al bilanciamento del bianco, addirittura all'uso dei filtri nella simulazione pellicola. Assolutamente nulla di analogico.

Ma quando ho scattato il mio JPG, e, per arrivarci utilizzo i residui neuroni che l'età mi lascia in uso, porto a casa l'immagine che ho visto e che mi serberà il ricordo.

Non ho nulla ovviamente contro chi post produce le immagini.
Ovviamente il mondo professionale oggi non può farne a meno anche per la possibilità di poter recuperare uno scatto irripetibile (e con un JPG ti puoi attaccare al tram).
Nemmeno per chi fa della fotografia una passione e passa appunto ore su un file per avere non più l'immagine di un ricordo, ma un esercizio di stile forse più grafico che fotografico.

Quello che certamente mi da soddisfazione è poter mettere la macchina in una piccola borsa o, quest'inverno, nel cappotto, e scattare il mondo intorno a me con una macchina fotografica anziché con un telefonino.

Fermi tutti, non insultatemi, o bande di neo fotografi digitali da telefono. Non ho mai detto che col telefono si fanno brutte fotografie (in verità le mie vengono davvero brutte).
Sono giurassico, forse. Per me fotografare, non possedere attrezzature fotografiche, è una vera passione, oramai da più di cinquant'anni. Ovviamente, nessuno finisce mai di imparare e guardare mostre fotografiche o scatti di grandi fotografi è indispensabile, sempre per cogliere quell'attimo. Poi c'è l'invenzione, la creatività che non si può insegnare. E, infine, spesso serve un po' di c...o,. Ma quello serve anche in molti altri aspetti della vita.















Risposte e commenti


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avatarsenior
inviato il 14 Agosto 2024 ore 14:06

Nessuno ti ha risposto?
Lo faccio io.

Bravo e grazie di aver condiviso una parte del tuo viaggio dentro la strada della vita.

avatarsupporter
inviato il 14 Agosto 2024 ore 14:41

Leggendo queste note mi sono ritrovato nella descrizione della mia esperienza fotografica con Nikkormat FTN compresa, che è stato la mia prima reflex acquistata nel 1977 con obiettivo Nikon 50 F2 e che ancora possiedo. L'ottica l'ho usata anche su Fuji X-E3 con adattatore. Sul Jpeg mi trovi meno d'accordo visto che preferisco scattare in raw + jpeg e post produrre in seguito.
Sul recupero delle diapositive e dei loro colori dipende dalla qualità delle pellicole originali, ho delle Kodachrome che si sono mantenute intatte a distanza di 40-45 anni, mentre le Agfa e le 3M hanno perso quasi completamente i loro colori originali. Non mi esprimo sulle FUJI perchè a quel tempo non erano molto diffuse.
Buon ferragostoCool

avatarsupporter
inviato il 14 Agosto 2024 ore 18:58

Grazie davvero I.Felix

avatarsupporter
inviato il 14 Agosto 2024 ore 19:02

Grazie Adriano. In realtà la mia scelta del jpg è un limite. Indipendentemente dal file, mi piace portare a casa l'idea di una fotografia un po' vecchio stile. Non che raw non lo permetta ovvio ma mi distrae e complica la vita...
Ho usato sempre Ektachrome, forse non le ho conservate nel migliore ei modi. Un saluto

avatarjunior
inviato il 03 Settembre 2024 ore 10:35

Grazie della condivisione, ma mi sono sentito un pò punto quando dici che la post produzione "è un esercizio di stile più grafico che fotografico".
Si vedono molte foto post-prodotte per ottenere effetti spettacolari, ma la post produzione può essere fatta anche per valorizzare il ricordo del momento.
Immagina di avere sottoesposto per sbaglio in fase di scatto, potresti aumentare l'esposizione in postproduzione. Quale immagine sarà più aderente al ricordo? Quella "originale" o quella ottenuta in post produzione?
Con le pellicole c'erano le fasi di sviluppo e di stampa che generavano l'immagine finale e la post-produzione veniva fatta dal laboratorio.
Adesso, i dati raw del sensore vengono processati dalla fotocamera per generare un jpeg.
Quindi non fare post-produzione vuol dire semplicemente delegarla a qualcun altro (laboratorio o algoritmo e profilo della fotocamera).
E poi c'è da dire che la nostra immagine mentale di una scena è sempre una visione che astrae dalla realtà, e non coincide mai con quanto registrato dalla fotocamera.
Con la post produzione possiamo avvicinarci alla nostra visione del reale raccontare quello che noi abbiamo percepito.


avatarsupporter
inviato il 03 Settembre 2024 ore 15:43

Carusoski ovviamente è una scelta personale. Non critico chi deve recuperare uno scatto o migliorare un'inquadratura o lavorare sulle ombre, tutt'altro.
Non condivido solo il lavoro tramite software che crea immagini artefatte senza in realtà nessuna valenza artistica ma solo per "l'effetto che fa" su un social network. L'altro giorno vidi un immagine di una località in Liguria e mi permisi di dire che non mi sembrava, da toni e colori, quella località. Mi hanno bombardato di insulti. La località, che io conosco bene, ha tutt'altri colori e toni.
Certo che trasportiamo su pellicola, ora su file, un tentativo di ricordo di quella luce e di quell'attimo perché i nostri occhi e il nostro cervello sono migliori di qualunque ottica e di qualunque sensore. A volte però, riguardando lo scatto, scopriamo particolari che nella ripresa erano sfuggiti. Insomma non ci sono regole, solo belle immagini. Grazie per il tuo intervento.

avatarjunior
inviato il 07 Settembre 2024 ore 19:52

Ciao forse un pelo più giovane di te ma sono stato da sempre un fotografo da pellicola.(Meno che amatore) Solo l'anno scorso sono passato al digitale. Con la Mamiya usavo IlFord, fujicolor, agfa, kodac Tmax, e nell'ultimo periodo anche Portra 160.
Mi piaceva.
Mi piaceva avere le foto contate. Di dovermele giocare bene. Di studiare ogni singolo scatto e non buttarlo là che "eventualmente lo rifaccio". Il tornare a casa con i rullini e l'attesa di vedere cosa fosse saltato fuori (a volte anche con il dispiacere di aver buttato un rullino intero perché ha preso luce).
Però l'anno scorso sono rimasto deluso dallo sviluppo. Ormai i liquidi vengono cambiati sempre meno spesso. Lo sviluppo è scadente.
Sono passato al digitale e ho preso unaPen -f.
All'inizio ero tentato di ricreare gli effetti Portra etc... Cercavo un sistema che mi permettesse di ottenere qualcosa di simile all'analogico.
Però ci ho rinunciato. Aggiungere la grana mi sembra una follia. La grana esisteva perché non c'era alternativa. Mi sono messo in pace anche con la postproduzione che all'inizio rifiutavo. Fare la postproduzione è come mettere i settaggi dalla fotocamera non cambia nulla. Credere che cambiare i colori (e con la pen-F si può fare moltissimo) dalla fotocamera senza passare per una post-produzione sia tenerle "così come vengono" è come la copertina di Linus. Fai solo prima ma non è nulla di "naturale". Il vero naturale sarebbe tenerle RAW credo. Ora vedo la postproduzione come il corrispettivo dei magheggi che facevano i bravi in camera oscura che potevano virare i risultati anche sensibilmente. Adesso cerco semplicemente di ottenere un mio stile. Come se mi creassi una sorta di mia linea di rullini.
Manca anche a me l'analogico, ma trovo che ricercare lo stesso effetto con il digitale sia una sorta di inganno a sé stessi. Quei risultati avevano un fascino perché era l'unico modo. Il bello è che però ciascuno trova una soluzione al continuare a fotografare.
Hai sollevato un argomento che mi coinvolge molto.
Fa ancora più strano perché ne parlo come se fosse il 1998. Come se fosse ora il periodo di transizione degli ultimi affezionati all'analogico. Ma siamo nel 2024 e il digitale è una realtà da decenni. Forse ho sbagliato qualcosa.

Tra qualche anno si guiderà solo auto elettriche probabilmente. Non penso che aggiungere il rumore di un motore endotermico mi ridarà lo stesso piacere.

Complimenti per le foto. Davvero emozionanti.


Dave


avatarsupporter
inviato il 07 Settembre 2024 ore 23:04

DaVe grazie davvero per la testimonianza. Elaborare le immagini in camera prima dello scatto per me non equivale alla post produzione ma fa parte del pensare allo scatto prima di eseguirlo. Certo con l'analogico non potevi cambiare tipo di pellicola ad ogni scatto ma potevi montare i filtri rosso giallo e verde. O il filtro flou per i ritratti. Non sono contrario alla post produzione in se, sono contrario agli effetoni da social.

avatarsenior
inviato il 24 Dicembre 2024 ore 13:47

Complimenti per lo scritto e le immagini.

avatarsupporter
inviato il 25 Dicembre 2024 ore 16:34

Grazie Ugo, buon Natale





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