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Overlanding Namibia


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Overlanding Namibia, testo e foto by Manuk. Pubblicato il 07 Settembre 2011; 0 risposte, 9467 visite.





Questo reportage racconta di un viaggio epico che attraversa una terra ricca di fascino, rossa come i magnifici tramonti che è in grado di regalare lasciando nei ricordi di chi l'ha attraversata il sapore di una vita ancestrale. Il percorso che abbiamo seguito aveva come suo punto di inizio il Sudafrica (partenza da Cape Town) per poi arrivare alla fine del viaggio a Johannesburg dopo aver attraversato buona parte dell'africa meridionale (Sudafrica, Namibia, Botswana, Zimbabwe). In questo frangente mi limiterò a proporre le esperienze e le immagini realizzate in Namibia. Come è intuibile dal titolo stesso di questo articolo si è trattato di un viaggio nel quale abbiamo percorso migliaia di Kilometri su di un Truck. La scelta di vaggiare in questo modo è stata dettata dal desiderio di attraversare delle regioni cosi vaste, a contatto con il territorio, in un numero di giorni relativamente contenuto (il piano ne prevedeva 23). Mi piaceva poi il taglio piuttosto "wild" del programma, che prevedeva escursioni interessanti e numerose soste in camping immersi nella natura; in una di queste ho assaporato l'emozione di dormire sotto le stelle riscaldato dal solo calore del fuoco...e tormentato dalle zanzare.
Peraltro l'idea di condividere una esperienza cosi coinvolgente come l'attraversamento dell'Africa meridonale con un gruppo di sconosciuti (o quasi, visto che sono partito con un amico) mi incuriosiva non poco. Questo è un aspetto da valutare quando ci si appresta ad affrontare un viaggio cosi impegnativo che presuppone l'obbligo di convivere e collaborare con gli altri partecipanti. Nel complesso devo dire di essere stato veramente fortunato visto che il gruppo, che pure era eterogeneo, si è dimostrato poi un valore aggiunto che mi ha consentito di conoscere persone interessanti alle quali sono rimasto sinceramente vicino.




L'esperienza di condivisione, anche di situazioni poco piacevoli come ad esempio il lavaggio dei piatti in stile "camerata" la sera tardi quando era il mio turno o le "alzataccie" la mattina prestissimo con tanto di doccia da campeggio africano, mi ha donato momenti che ricordo con nostalgia. Come dimenticare poi le notti in cui mi addormetavo alla luce della luna con in sottofondo il grugnire degli ippopotami? La prima tappa significativa, anche se ancora in terreno Sudafricano, è stata senza dubbio la prima notte che abbiamo passato in campeggio sulle rive dell'Orange River che si trova al confine con la Namibia.

Dal punto di vista naturalistico non ci sono stati incontri significativi ma il tramonto mozzafiato e l'attesa per tutto quello che avremmo visto mi rendeva comunque emozionato ed euforico. Non ho potuto però fare a meno di apprezzare l'atmosfera magica e la quiete di cui si può godere intrattenendosi sulle sponde di questo fiume nelle ore del tramonto. Devo dire che non ho avuto problemi con zanzare o insetti, visto che una delle principali raccomandazioni che si ricevono quando si parte per l'Africa al fine di scongiurare Il rischio malaria è proprio quella di non sostare nei pressi di fonti di acqua nelle ore serali. Posso quindi confermare che nel nostro periodo estivo (luglio-agosto) la presenza di Zanzare è veramente molto limitata in questa zona.

Il giorno successivo è stata la volta di ammirare la suggestiva imponenza del Fish River Canyon benedetto da una luce incredibilmente calda che ci ha fatto apprezzare ancora di più gli immensi spazi del secondo Canyon del mondo come estensione. Dopo aver pernottato in tenda sulle rive dell'Orange river ed aver ammirato gli splendidi paesaggi del Fish River Canyon fino all'ultimo respiro di tramonto, ci dirigiamo verso la tappa successiva del nostro viaggio, nella zona del Sesriem, dove abbiamo pernottato in un campeggio immerso nelle distese namibiane. Al nostro arrivo, nel tardo pomeriggio, abbiamo avuto la fortuna di imbatterci in un emozionante incontro con una famiglia di elefanti che si era avvicinata per abbeverarsi in una pozza situata nei pressi del campeggio. L'entusiasmo ci spinge ai limiti della sicurezza quando scendiamo dal Truck con la nostra guida per seguire a piedi il gruppo di pachidermi accompagnato dal maschio dominante che rimane sempre in coda per vigilare.
Camminiamo piegati per non essere visibili in mezzo all'erba alta mantenendoci sottovento senza avvicinarci mai troppo ne fare movimenti repentini proprio come avrebbe fatto il più classico dei predatori africani. Le nostre precauzioni ci regalano l'opportunità di rubare qualche scatto che ritrae attimi di tenera vita familiare. Arriva poi l'inevitabile momento in cui il maschio si ferma e, percependo la nostra vicinanza, allarga le enormi orecchie in segno minaccioso facendoci capire che il nostro avventuroso inseguimento non sarebbe stato più tollerato. Ovviamente rispettiamo questa "convincente" richiesta, interrompendo l'inseguimento, rimanendo però ad ammirarli mentre si allontanano nella distesa sconfinata alla luce di un tramonto che solo l'africa può regalare.




Altra tappa memorabile di questo viaggio è stato sicuramente l'attraversamento del deserto del Namib con le sue imponenti Dune di sabbia rossa. Il nome "Namib" (da cui "Namibia") deriva dalla lingua del popolo Nama che abita la regione e significa "luogo vasto" .
L'etimologia del nome stesso quindi rivela da subito quale sia una delle caratteristiche più rappresentative di questa zona desertica; l'enorme vastità degli spazi. Giungiamo nell'epicentro del deserto del Namib per visitare la particolarità delle dune mobili caratterizzate da questa sabbia di colore tipicamente rossiccio dovuto alla forte presenza di ferro. La sveglia alla mattina presto ci ha regalato (almeno ai più audaci e allenati) la possibilità di arrampicarsi per primi sulla mitica duna 45 dalla quale si gode di un panorama unico ed indimenticabile sul deserto più antico del mondo ed il secondo come estensione.




Devo ammettere che è non è stato piacevole alzarsi alle 4 di mattina dal camping per disfare di fretta la tenda, lavandosi al freddo ed al buio, trangugiando un caffè "africano", ma ne è valsa proprio la pena. Appena arrivati ci si trova di fronte una montagna di sabbia rossa e fredda da scalare con la difficoltà aggiunta di dover competere con gli altri viggiatori nel guadagnare la cima.
Man mano che si sale il gruppo di partenza diventa sempre meno folto. Diverse persone, inizialmente dotate di passo agguerrito, rallentano e si fermano per la stanchezza o in alcuni casi per le vertigini; una sorta di selezione naturale. Stringo i denti e mantengo il passo concentrando lo sguardo sui miei piedi mentre mi arrampico cercando di trovare il giusto ritmo per non soffrire troppo la stanchezza e non essere deconcetrato dalla vista mozzafiato o dall'altezza raggiunta che diventa sempre più impressionante.

Quando si scala la duna 45 (cosi chiamata perchè si trova al 45° km della strada che conduce da Sesriem a Sossusvlei) c'è un piccolo sentiero che si forma proprio sull' apice della duna all'interno del quale bisogna mantenere il proprio cammino per evitare di perdere l'equilibrio, anche se c'è qualcuno che preso dalla foga per conquistare la cima per primo ci supera con qualche pericoloso "fuoripista". Sotto questo punto di vista Olandesi ed Asutraliani risultano i concorrenti più agguerriti e spericolati. Alla fine, tenendo duro, arrivo alla cima tra i primi ed insieme ad Alessandro, uno dei miei amici/compagni di viaggio, ci spingiamo più avanti di tutti fino a conquistare la zona più estrema ed avanzata della enorme duna dalla quale è possibile avere una visione privilegiata sulla immensa distesa di sabbia rossa alle prime luci dell'alba. Raggiunta la vetta della duna ci soffermiamo in una zona molto avanzata della cima dove, praticamente in solitudine, possiamo rilassarci ed osservare, finalmente con un pò di attenzione, l'ambiente circostante. E' interessante scoprire come il deserto testimonia la presenza di molte più forme di vita rispetto a quelle che si potrebbe pensare attraverso le visibili tracce di percorsi che, incrociandosi tra loro, raccontano la storia di un inseguimento predatorio.
Credo che non sia difficile capire che per chi ama la natura e la fotografia abbandonare la vetta della duna 45 dopo aver ammirato il sorgere del sole nel deserto è un pò come per un bambino uscire da un negozio pieno di meravigliosi giocattoli sfavillanti; ci tratteniamo quindi fin quando da lontano la nostra guida non ci fa capire a chiari segni che è ora di andare. Abbandonando la vetta della mitica Duna 45, faticosamente conquistata alle prime luci dell'alba, ci accorgiamo che il deserto del Namib ospita particolari forme di "non vita" che gli conferiscono un fascino inconfondibile...direi a volte quasi "lunare".













Una delle particolarità più interessanti è il fatto che le Dune del deserto del Namib in realtà non si "muovono" o meglio non variano la loro posizione pur variando la loro altezza nel tempo. Questo è dovuto al fatto che la base della Duna ed il formarsi della stessa è legato allo svilluparsi di una pianta tipica di questo deserto che cresce al di sotto della sabbia stessa fino a raggiungere altezze veramente notevoli ( centinaia di metri ; la Big daddy supera mediamente i 300 mt ). Ci incamminiamo nel deserto accompagnati da una simpatica guida di origini San ( Boscimane ) che ci ha illustrato molti degli espedienti utilizzati dalle popolazioni indigene per garantirsi la sopravvivenza nel deserto, tra i quali ad esempio come distinguere una pianta ricca di acqua da una velenosissima utile però per avvelenare le frecce usate per la caccia dagli bushman. Kiku ci mostra come il deserto anche dove sembra privo di ogni forma di vita è in realtà ricco di presenze nascoste; raccogliendo una manciata di sabbia tira su un mucchio di piccoli insetti di forma simile alle nostre cimici.

Proseguiamo la nostra passeggiata nel deserto in direzione della zona di Sossusvlei . Vlei è il termine afrikaans che indica il pantano, mentre sossus, in lingua nama, significa "senza ritorno" o "fiume cieco". Durante l'attraversata la nostra guida boscimane ci delizia con racconti sulla vita del deserto esaltando le capacità di sopravvivenza e la forza dei guerrieri San, spiegandoci come le origini della loro cultura nomade siano legate strettamente alle esigenze primarie.
Se infatti un cacciatore San riesce ad abbattere un Orice (considerata una preda preziosissima anche perchè il suo stomaco è pieno di acqua usata per dissetarsi ) non potendolo trasportare nel deserto per offrirlo a mogli e figli dovrà tagliargli la zampa e condurre la propia famiglia nei pressi della preda. In questo modo, al suo ritorno sul luogo di caccia, potrà dimostrare di essere il proprietario della carcassa, nel caso ci fosse qualche altro boscimane nei paraggi. La zampa è una sorta di certificato di proprietà; sebbene rudimentale è una forma di diritto indubbiamente efficace in questo contesto primordiale. Non avendo evidentemente possibilità di conservare il cibo nel deserto, ci ha spiegato come i boscimani, dovendo consumare tutto il cibo catturato in poco tempo, utilizzano la danza come potente digestivo. Ecco perchè dopo la cattura di una grande preda ed un primo abbondante pasto è necessario celebrare una danza molto movimentata che li metta nelle condizioni di digerire in breve tempo ed essere rapidamente pronti per un nuovo pasto fin quando la razione di cibo non si esaurisca. La nostra guida ci mostra poi qualche piccola magia del deserto, raccogliendo un ramo secco che con un goccio di acqua ricavata da una pianta fiorisce in pochi secondi.

Altra informazione sorprendente, che ci ha fornito il simpatico Kiku con il suo inglese "afrikaans" riguarda l'esistenza, all'interno del substrato minerale che costituisce il tipico terriccio di colore chiaro delle Vlei, di un numero spropositato di microscopici gamberi (suppongo fossero in realtà le loro uova, ma lui parlava di letteralmente di gamberetti) che in assenza di acqua vi soggiornano per un periodo lunghissimo (fino a 30 anni) e che con l'avvento dell'acqua ed il formarsi delle pozze si schiudono popolando in maniera incredibile un ambiente apparentemente privo di vita, fornendo a loro volta una attrazione per eventuali predatori. La sensazione che ricordo con meraviglia di questa esperienza nel deserto è scoprire come sia facile attraverso poca acqua innescare un ciclo di vita, anche in un ecosistema apparentemente morto. Continuando il nostro cammino, giungiamo nella particolarissima e famosa zona di Deadvlei. Come già detto "vlei" in afrikans significa pantano ; da qui "dead-vlei" significa letteralmente pantano morto. In passato Deadvlei era un'oasi di acacie; in seguito, il fiume che alimentava l'oasi mutò il proprio corso a causa dello spostamento delle dune.
A questa storia si deve l'elemento più caratteristico di Deadvlei ovvero un grande numero di alberi morti di acacia, i quali hanno assunto col tempo un colore molto scuro che contrasta col colore chiaro del suolo (di origine salina) e l'arancione delle dune conferendo all'ambiente un aspetto e dei colori che richiamano in qualche modo gli scenari rappresentati dalla pittura surreale di alcuni quadri di Salvador Dalì.




Queste creature "non vive" in questa vallata dal terreno biancastro ricreano un paesaggio onirico dove, con un pò di fantasia, hai la sensazione che queste possano da un momento all'altro risvegliarsi ed avvolgerti nelle loro rugose e taglienti spire. Una ambientazione secondo me perfetta anche per una favola interpretata in stile "Dark", magari da uno dei personaggi magistralmente impersonificati da Johnny Depp nel suo repertorio fantastico, da Edward Mani di Forbice al famosissimo Capitano Jack Sparrow. Lasciamo Deadvlei ed il Namib con quella sensazione mista di gioia ed amarezza che si prova quando sei stato in un posto il quale sai che rimmarrà per sempre nei tuoi ricordi ma che forse non tornerai più a visitare nella vita. Siamo di nuovo in viaggio sul nostro "elefante d'acciaio" che ci mostra il fascino del deserto nei suoi molteplici aspetti; la malincolina solitudine ma anche le strane forme di vita che la abitano.
In uno degli stop che facciamo mi sono avvicinato a questo albero anche perchè fortemente incuriosito dal gigantesco ammasso di paglia che si trovava su di esso...non nego che la mia fantasia infantile unita ad una conoscenza dell'avifauna africana che ha ampi margini di miglioramento mi portano inizialmente a fantasticare sulla possibiltà che si trattasse di un nido di una gigantesca aquila marziale o quantomeno un nido di cicognidi. In realtà, avvicinandomi di più, mi rendo conto che si trattava, si, di un nido, (almeno credo) ma non abitato da un mega-rapace di origini preistoriche quanto piuttosto da una numerosa colonia di piccoli uccelli passeriformi che francamente non sono riuscito ad identificare con esattezza.

Durante la nostra traversata del deserto facciamo anche uno stop non voluto causato da un guasto ai freni del truck che ci fanno pensare per un pò di doverci accampare per la notte. La sosta imprevista mi da l'occasione di far qualche passo nel deserto da solo nella speranza di fare un incontro interessante. In questo caso considerando la morfologia del territorio speravo di incontrare, nel modo "giusto" ovviamente, il famigerato e velenosissimo Black Mamba. Purtroppo non riesco nel mio intento anche se torno al truck dalla passeggiata solitaria con una pelle di serpente che aveva tutta l'aria essere quella di un crotalo, grazie alla quale riscuoto al mio ritorno sentimenti alternati di sdegno ed interesse da parte degli altri viaggiatori. Una delle cose più belle attraversando il Namib è scoprire come i paesaggi siano cosi diversi tra loro ; non ci sono solo le sinuose dune di sabbia rossa.




Attraversiamo un vasto altopiano di natura desertica che è, dal punto vista paesaggistico, il punto che maggiormente mi ha colpito. Sarà che la fantasia e l'autosuggestione non mi sono mai mancate, ma la sensazione che ho percepito, e che ho ritrovato in tutte le occasioni in cui ho viaggiato nelle terre africane, è quella di un ritorno ancestrale ad una terra già conosciuta, già vissuta; come se fosse una esperienza insita, geneticamente tracciata, un sentimento di natura primordiale che ti fa sentire di essere tornato "a casa" pur essendo a migliaia di kilometri dal luogo in cui sei nato e vissuto.
Certo sono un viaggiatore romantico e senzadubbio affetto da "Mal d'Africa" ma in fondo se si pensa che il gene del Leone Bianco (praticamente estinto o quasi...ce ne sono pochissimi esemplari in Sudafrica) che è presente ancora oggi nei Leoni comuni deriva da un adattamento mimetico alle ambientazioni innevate del Nordamerica nel periodo risalente a diverse migliaia di anni fa in cui questo imponente felino popolava quasi tutta la terra, perchè dovrei escludere che anche gli antenati dei miei antenati abbiano lasciato nel nostro patrimonio genetico una qualche traccia dell'esperienza di vita in queste terre?
Abbandonando le mie provocatoriamente fantasiose quanto improbabili teorie sulla genetica dei ricordi, torno a raccontare del vissuto ed in questo senso non credo si possa viaggiare e vivere la Namibia senza portare con sè qualche ritratto delle tipiche donne Himba. Questa etnia, derivante da un sottogruppo degli Herero, occupa da millenni queste zone desertiche. Le donne Himba hanno fatto di una originaria esigenza pratica, quella di difedere la pelle dalla incessante forza del sole, una forma di caratterizzazione estetica molto forte. Infatti le donne di questo popolo si cospargono completamente il corpo di una pasta ottenuta mescolando della terra di origine argillosa con del grasso.

Sono volti rossi quelli delle donne Himba, come la terra d'africa, come il caldo sole del tramonto che non è possibile dimenticare. Dopo tanta attesa e tanti kilometri, giungiamo finalmente alle porte del mitico Etosha National Park; uno dei più grandi e più famosi parchi Africani oltre ad essere uno dei Templi sacri della fotografia naturalistica. Tengo a freno l'eccitazione e modifico l'assetto dello zaino fotografico posizionando meglio il mio adorato Nikkor 300 2.8 con i Converter, in modo da renderli pronti per l'utilizzo, un pò come fa un allenatore quando nel momento più critico della partita fa riscaldare il fuoriclasse di esperienza per tenerlo pronto per il prossimo cambio. Il primo incontro è da subito con il più grande di tutti, il signore di queste terre. Ma non sono mancate altre presenze tipiche della fauna africana..incontri che ci regalano emozioni disegnando inconsapevolmente geometrie naturali, mostrandoci qualche attimo di tensione competitiva alternato a qualche momento di serenità; paesaggi sconfinati ed insoliti come quelli dell'Etosha Pan , una immensa distesa di terra salata...




Anche se la Iena non è propriamente l'animale che mi attira di più, avendo avuto modo di conoscerne direttamente degli esemplari in Italia nella vita di tutti i giorni (scusate ma a volte non tengo a freno la mia vena sarcastica), è stato particolarmente emozionante l'incontro con un gruppo di questi predatori mentre eravamo diretti verso l'uscita del parco. Non è stato facile, alle prime luci dell'alba, portare a casa lo scatto che volevo anche perchè le Iene si trovavano piuttosto distanti, molto ben mitetizzate in mezzo a rovi e steppaglie. E' stato interessante osservare dal vivo come gli spostamenti di un predatore mettano in allarme tutti i sensi delle potenziali prede che si radunano in gruppo attorno al maschio dominante pronte alla fuga.

Prima di visitare l'Etosha nel mese di Agosto avevo avuto modo di fare un safari in Tanzania visitando i principali parchi Lake Manyara, N'goro N'goro e Serengheti. Si tratta, com'è noto, di paesaggi completamente diversi. Pensando al Seregheti e all'Etosha in entrambi i casi si viene indubbiamente colpiti dalla enorme vastità degli spazi. Avendo visitato la Tanzania in Febbraio, periodo in cui la natura è verde e rigolgiosa il contesto è veramente molto diverso rispetto alle aride distese dell'Etosha. Indubbiamente dal punto di vista delle possibilità di avvistamento di animali i parchi della Tanzania offrono una ricchezza non eguagliabile. Tuttavia la Namibia, oltre ad offrire comunque grandi opportunità fotografiche, è un paese più facile da visitare dove è possibile organizzarsi in autonomia per visitarlo in maniera adatta alle proprie esigenze e godere appieno delle sue bellezze. E' un paese che risentendo molto delle influenze coloniali Tedesche, non solo dal punto di vista della architettura dei centri abitati, è piuttosto ben organizzato e con un livello di servizi al turista al di sopra dello standard medio Africano. Poi è ovvio che viaggiando da soli è sempre importante essere ben organizzati ed informati su cosa si può fare e cosa è meglio evitare. Salutiamo l'Etosha dopo due soli giorni.Troppo pochi per godere delle potenzialità di questo parco ma abbastanza per lascia re in me un forte desiderio di tornare .


[color=#BF0000] Dedico il ricordo di questa avventura a mio Padre, che mi ha mostrato come la bellezza della vita si nasconda nelle piccole cose, nei gesti semplici, nel sapore delle esperienze vissute. [/color]





Emanuele Castronovo è nato a Roma, dove è cresciuto e vive. Il suo interesse e la sua attività nelle campo delle arti figurative ha inizio con la pittura per poi ampliare l'ambito creativo al mondo della fotografia. Ha iniziato a fotografare nel periodo in cui si scattava con pellicola utilizzando una Minolta di suo padre dotata di un Rokkor 45 f 1.8. La passione nasce principalmente perché attratto dalla forza narrativa dei reportage di guerra di Robert Capa, dei viaggi in India di Cartier Bresson e dalla capacità espressiva dei ritratti di Steve McCurry. Negli ultimi anni, dopo aver principalmente coltivato come genere fotografico la street-photography ed il reportage di viaggio, si è avvicinato con interesse alla fotografia naturalistica che abbina la passione per questa arte alla possibilità di stare per ore immersi nel verde e nel silenzio ad osservare la bellezza della natura.
Oggi utilizza attrezzatura Nikon perchè scattava prima dell'avvento del digitale con corpi di tipo "F" e si è trovato bene nel passaggio al digitale con i corpi di tipo "D" con i quali peraltro può utilizzare anche le vecchie e gloriose ottiche AI. In Namibia ha utilizzato Nikon D300+MBD10, Nikon 300 2.8 AFS, Nikkor 80-200 2.8, Sigma 24-70 F 2.8, Sigma 12-24 e TC Kenko TPPRO 1.4 e 2 x. Potete visitare il suo blog all'indirizzo www.emanuelecastronovo.tk.




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