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3 e 32. Amatrice.


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3 e 32. Amatrice., testo e foto by Tom Della Dora. Pubblicato il 25 Febbraio 2018; 29 risposte, 3996 visite.


AMATRICE 2.0
TRA LE MACERIE DI OGGI E LA VOGLIA DI AVERE UN DOMANI

AMATRICE, 12 MARZO 2017


Il 24 agosto mi sveglio di soprassalto abbracciato alla mia Ilenia, sul nostro letto ad Ascoli Piceno. La casa è scossa da una forza di violenza inaudita, il rumore dei muri e delle finestre è straziante, fuori ululano cani e allarmi, le luci si spengono. Faccio in tempo a dire 4 volte “Tranquilla, ora si ferma”, ma no, non si ferma più. Poi la violenza diminuisce, lo scuotimento si allevia, il ballo diventa un lento. Un orrendo, lugubre lento. Prima di allora per me il terremoto era rappresentato da pochi secondi in cui si era mosso un po' il banco a scuola, a Fano, nel settembre del 1997. Non avevo idea di cosa potesse essere quella forza, di come potesse straziarti le viscere scuotendoti assieme a tutto quello che hai attorno a te. Quella notte scendemmo in pigiama sotto casa, e ci ritrovammo assieme a decine di persone spaventate, che si domandavano cosa fosse successo e dove. Tutti pensavamo la stessa cosa: “Troppo forte e troppo lungo”. Col tablet seguivo le informazioni in diretta su SkyTG24, e iniziavano ad arrivare le prime foto di case danneggiate, chiese sciancate, crolli. Fino alla telefonata in diretta di Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, che con la voce tremante annunciava: “Amatrice non esiste più. Ci sono persone sotto le macerie. Ci serve aiuto”. Amatrice. No ti prego, Amatrice no. Amatrice è bellissima, un diamante incastonato in mezzo all'Appennino, uno dei borghi più belli d'Italia. E siamo in agosto. Diavolo in agosto un posto così sarà strapieno di gente. Oddio no, Amatrice no. Poi le prime immagini di Arquata e Pescara del Tronto, a una manciata di chilometri da me. Sono sbigottito, le lacrime scendono da sole, la lucidità se ne va, non riesco a pensare a nulla che non siano quei terribili secondi. Per tutto il giorno non posso staccare gli occhi dalla tv. Sento scosse di continuo (probabilmente anche scosse che non ci sono, sono le mie gambe a tremare). Le ambulanze corrono sotto casa a sirene spiegate, con una frequenza incredibile, dirette al vicinissimo ospedale di Monticelli. Il conto delle vittime sale, interrotto solo dalla gioia infinita di qualche sopravvissuto estratto vivo dalle macerie.
Da quel giorno ho sentito il bisogno, quasi fisico, di fare qualcosa per chi è stato meno fortunato di me, per chi era a pochi chilometri da me. Pochi chilometri che hanno fatto la differenza tra l'avere ancora tutto, e l'aver perso tutto o quasi. Sono riuscito a prendere contatti con un'associazione di ragazzi di Amatrice, “Amatrice 2.0”, che si prodiga in iniziative per ovviare in ogni modo a tutte le esigenze legate a una crisi di proporzioni enormi come questa. Ho deciso di mettermi a loro disposizione per raccontare qualcosa della situazione attuale, con un occhio a ciò che è stato, ma anche uno slancio verso quello che i ragazzi vogliono che sia in futuro. Luigi, Eleonora, Evita e Leonardo mi hanno accompagnato in un giro per le frazioni di Amatrice, chiedendomi di raccontare le criticità di queste piccolissime realtà, dimenticate perché mai veramente sotto i riflettori.
Parto da Ascoli Piceno assieme al mio compagno di avventure Massimiliano. Percorrendo la Salaria sulla nostra destra vediamo da vicino Arquata del Tronto, con la sua Rocca appena riconoscibile, e Pescara del Tronto, completamente distrutta, che sembra un parcheggio in discesa con dei massi appoggiati sopra in maniera completamente casuale. Arriviamo fino al benzinaio di Torrita dove, finalmente, incontriamo i ragazzi di Amatrice 2.0, coi quali trascorreremo tutta la giornata: Eleonora, Luigi ed Evita. La nostra avventura inizia così, seguendo la 500L gialla di Eleonora lungo le strade piene di curve che ci porteranno ad Amatrice.

La prima tappa parte con una camminata attraverso un sentiero in salita. Sulla destra una tartufaia, poi si sale ancora fino ad arrivare a un piccolissimo santuario in cima a una collinetta. Di fronte alla chiesetta, un belvedere che apre lo sguardo sulla sottostante Amatrice. Il cumulo di macerie terribili, i pochi scheletri riconoscibili come parti di case, le due torri ormai famose, stridono con la bellezza della vallata, sormontata dalle cime meravigliosamente innevate dei Monti della Laga. Quello che vedo attraverso il mirino, ingrandito dal teleobiettivo, mi obbliga al silenzio. Si, ho visto le immagini realizzate coi droni dai Vigili del Fuoco. Ho visto centinaia di foto. Ma ora è li, davanti a me. Ed è reale. E non è la stessa cosa.








Restiamo a guardare, parlando a voce bassa, forse per un rispetto innato, che abbiamo dentro e che ci impedisce di emettere suoni più forti. La guardiamo dall'alto, Amatrice, e non posso fare a meno di pensare a quanto fosse bella, a quanto bastino pochi secondi a prendere tanta bellezza e trasformarla in qualcosa che è altro, in un disordine di materia convulsa, in un'immagine di sgomento.
Da qui partiamo alla volta delle frazioni, passando per la periferia di Amatrice, per Campo Lazio, per i siti in cui sono nati e nasceranno i centri abitati provvisori con le casette in legno. La prima frazione che visitiamo è Retrosi. Una trentina di abitanti, una chiesa, un parco giochi. Il terremoto l'ha quasi completamente rasa al suolo, eccezion fatta per un'abitazione molto nuova, con tetto in legno, che pare esserne uscita incredibilmente illesa. Camminando in mezzo alle macerie mi ritrovo in quello che doveva essere un isolato. A terra giochi di bambini. Scatto qualche foto, non senza soffrire. Camminando intorno al paesino incontriamo un signore: alto, con dei bellissimi baffi e forti mani da lavoratore, ci racconta che era un allevatore e che ora vive in un albergo a Rieti, pochi dei suoi animali vicino a lui in una piccola stalla messa a disposizione dal padrone dell'albergo. Ci dice che fortunatamente a Retrosi non ci sono state vittime, perché lì la maggior parte dei danni sono stati prodotti dalla violentissima scossa del 30 ottobre, quando ormai erano tutti fuori dalle case, già pericolanti dopo il 24 agosto e le due forti scosse del 26 ottobre. Ripenso ai giocattoli tra le macerie che ho fotografato poco prima, e la sensazione di sapere che il bambino che ci giocava è vivo è qualcosa di meraviglioso. Poco distante la chiesa di Retrosi è un rudere, gli edifici sono squarciati e svelano le stanze al loro interno come tante piccole case delle bambole. A terra un Mondo disordinato in cui una lastra di pavimento si ritrova sopra un mobile, e quelle che una volta erano travi e mura ora sono masse inermi di pietra e polvere e ferro. Tutto sbagliato, tutto sconvolto, tutto senza più una logica riconoscibile.




Risaliamo in macchina e Luigi mi guida fino a un piccolo gioiello di quelle terre, la Chiesa dell'Icona Passatora. Nonostante sia imbrigliata in un'intelaiatura in legno, per evitare che possa perdere pezzi, la sua bellezza è comunque evidentissima, così come il mio dispiacere nel non poterci entrare, a vedere i tesori che custodisce. Sulle due piccole finestre mazzi di fiori. Alla sua destra, nel parcheggio, una roulotte, nella quale Luigi mi spiega che per un po' ha dormito il loro amico Marco.




La tappa successiva è un'altra bellissima chiesa, poco più in alto (siamo oltre i 1000 metri sul livello del mare). San Martino è una piccola chiesa, e insiste per vederla il mio compagno di viaggio Massimiliano, che ben conosce e ama questi luoghi. Lo vedo colpito dal vederla quasi completamente crollata sotto i colpi delle onde sismiche. Doveva essere un capolavoro, così isolata, in mezzo alle montagne, in mezzo alla pace. Intorno a lei le tracce dell'ultima neve, non ancora completamente disciolta. Mi faccio mostrare una foto di com'era sul cellulare, perché così com'è ora non riesco a intuirne le forme, l'antica gloria. Arrampicandomi sulle macerie riesco invece a scorgere quello che rimane di un affresco al suo interno, che pare non curarsi di tutto ciò che lo circonda e mostra fiero tutta la sua bellezza.




Dopo aver visitato questi due gioielli colpiti, torniamo a viaggiare verso altre frazioni. La prima che incontriamo è Voceto. Anche qui gli abitanti erano poche decine, anche qui il silenzio è surreale, anche qui gli edifici sono tutti danneggiati, molti totalmente crollati. Un cartello “vendesi” sulla recinzione di una casa rimasta in piedi solo per metà testimonia come le attività si siano fermate di colpo, in pochi secondi, probabilmente per anni.

Continuiamo il tragitto e giungiamo in quello che pare essere uno spiazzo, con una fontanella al centro e alti cumuli di pietre intorno, inframezzati da parti di edifici squarciati. L'acqua della fontana è cristallina e fredda, scorre ancora dal rubinetto, riflette il cielo, e se la guardi forse per qualche secondo puoi prenderti una pausa e dimenticarti di tutto il resto. Siamo a Cascello, poco meno di 20 abitanti, non so quanti dei quali ancora vivi. Non me la sento di chiedere e non sarei in grado di dire quante case ci fossero effettivamente qui. Tutto quello che vedo sono forse tre pezzi di qualcosa che doveva assomigliare ad altrettanti edifici, a terra una stufa e una tenda da campeggio smontata.




Dopo questa breve fermata, continuiamo verso Sommati, una frazione un po' più grande delle precedenti (poco meno di 100 abitanti). Si sente odore di cibo, ci sono macchine parcheggiate, c'è insomma più movimento rispetto agli scenari spettrali incontrati in precedenza. I ragazzi mi spiegano che qui si trova uno dei campi in cui sono serviti i pasti a residenti e volontari. Il paese è distrutto, completamente distrutto. Più che un paese terremotato mi ricorda le immagini delle città bombardate durante la Seconda Guerra Mondiale. Il sole scalda le pietre, in cielo bianchi batuffoli di nuvole mi fanno pensare a quanto sarebbe stato diverso vedere questo posto il 23 agosto. C'incamminiamo verso quello che doveva essere il Corso della frazione, e sulla destra incrociamo la sua chiesa, Sant'Egidio: il retro è quasi completamente crollato, un lembo di cordolo in cemento armato pende creando un'ampia lettera “U” e mostrandomi un'elasticità del materiale che mai avrei immaginato. La facciata è divisa a metà: la parte destra pressochè intatta, quella sinistra squarciata da un'enorme falla, come se fosse stata colpita da una cannonata. A sinistra della chiesa, un parco giochi per bambini, perfettamente intatto ma senza bambini.




Rientriamo in macchina e, superando il campo dove qualcuno sta pranzando, riprendiamo la strada. Arriviamo presto a Rio: non so quanti abitanti contasse, ma 8 di loro non ci sono più. Anche qui lo scenario è quello riscontrato nelle altre frazioni: cumuli di pietre, silenzio, desolazione, polvere, abbandono. Sulla sinistra una macchina quasi completamente distrutta. Non riconosco il modello. Sta lì ferma dal 24 agosto, qualcuno ha appoggiato una sedia di legno sopra lo scheletro di lamiera che ha al posto del cofano. Chissà perché.

Prima di pranzo ci attende un'ultima tappa. Si tratta però della tappa più dolorosa sul nostro cammino, quello che è forse il simbolo più spietato di questa tragedia: Saletta. Un cancello in ferro battuto bellissimo, al dilà della recinzione un delirio di pietre e detriti. Un B&B che, squartato dalla violenza del sisma, mostra una stanza aperta, con tutto ciò che conteneva. Accanto a quella specie di finestra sulla vita delle persone, una foto appesa alla parete esterna dell'edificio. Luigi mi spiega che il ragazzo ritratto in quella foto era il figlio dei proprietari del B&B, morto in un incidente prima del sisma. Le case sono tutte storte, hanno perso completamente equilibrio, stanno li oblique a raccontare cosa può fare la terra quando l'uomo glielo permette. Per saletta parla il suo bollettino di guerra: 12 residenti, 22 vittime.




Torniamo verso Amatrice, per pranzare tutti assieme a Campo Lazio. Parcheggiamo la mia auto di fronte alla casa in cui viveva Luigi. Gli domando se sia agibile, visto che così, a una prima occhiata, non pare danneggiata. Mi mostra invece che al piano terra, sulla parte sinistra dell'edificio, è completamente “scollata”. Si è staccata dalla terra, non è più esattamente dov'era prima. E. Da lì percorriamo 200 metri a piedi in direzione del campo. Sulla sinistra un enorme edificio che mi ricorda le immagini di certi film sulla Seconda Guerra Mondiale che mostrano grandi palazzi colpiti a ripetizione dai carri armati. Luigi mi spiega che era un orfanotrofio, poi divenuto casa di riposo. Mangiamo pasta al ragù, carne e patate fritte, bevo una lattina d'acqua (non sapevo neppure che esistessero le lattine d'acqua) che ha un sapore un po' strano… ma Eleonora mi aveva avvertito.
Dopo pranzo i ragazzi ci portano a conoscere il loro amico Leonardo, che ci offre un caffè al Bar 2.0. Leonardo è un neolaureato, ingegnere edile. Lavorerà anche lui alla ricostruzione della sua città, e per quanto mi riguarda questa è la miglior garanzia possibile del fatto che questa volta le cose saranno fatte in modo diverso. Leonardo è amatriciano, con Leonardo te lo scordi di risparmiare sui materiali o di essere impreciso quando valuti i rischi. Leonardo ai miei occhi è il pilastro sul quale si ergerà la nuova Amatrice.
Dopo il caffè andiamo a visitare un'ultima frazione, un po' più in alto delle altre, e anche più scoscesa. Si chiama Capricchia e, nonostante tutto, lascia intravvedere la sua bellezza anche oggi. Qui incontriamo qualcuno per strada, e ciò che mi stupisce è che non vedo diffidenza negli occhi delle persone (dopotutto ho una macchina fotografica al collo, e al posto loro probabilmente avrei la nausea delle persone che vengono a ficcanasare nelle mie disgrazie), sono anzi gentili, quasi affettuosi. Luigi mi mostra l'area in cui gli abitanti di Capricchia si radunano: un bar che normalmente era aperto solo durante la stagione estiva, con panche, tavoloni e tettoie in legno. Alle spalle di questo luogo di aggregazione il sole inizia a tramontare disegnando uno scenario di una bellezza commovente. Alle nostre spalle il paese, in salita, mostra i segni dei pugni presi durante questi mesi.




Superando Capricchia proviamo a salire verso un altro luogo che i ragazzi tengono a mostrarmi. Ma non ci arriviamo. L'auto di Leo resta bloccata nella neve e siamo costretti a chiamare rinforzi. Nell'attesa Luigi prova a colpire Evita con una palla di neve, Nerone (il rottweiler di Leo) gioca con un bastone, io osservo questi splendidi ragazzi che, nonostante tutto, mi dimostrano cosa voglia dire essere forti, andare avanti, vivere. Intorno a me le montagne imponenti dipinte da pennellate di bianco, il verde di radure e boschi, un Mondo idilliaco che prima di oggi non conoscevo. Nei miei polmoni aria pulita. Non possiamo perdere tutto questo, dobbiamo batterci affinchè riviva, senza “se” e senza “ma”. Marco arriva a salvarci col suo fuoristrada e ci riporta a Capricchia, dove riprendiamo la mia C3 per tornare ad Amatrice. Facciamo tappa al container in cui vive Leo con la sua famiglia, e lì veniamo accolti, noi e le nostre scarpe sporche, dai suoi genitori, che ci preparano un caffè che sorseggiamo chiacchierando per una buona mezz'ora.
Ci avviciniamo al Centro Storico di Amatrice, che è zona rossa e sorvegliato dai militari. Ci appoggiamo sulla transenna oltre la quale non possiamo andare. Eleonora vorrebbe camminare per il suo Corso. Ne ha bisogno, dice che se non lo fa non si renderà mai conto che tutto questo è successo davvero, e quindi non potrà lasciarselo alle spalle completamente. Arretro di qualche passo e scatto la foto che più mi emoziona. Eleonora, Evita e Luigi guardano da lontano il loro Centro Storico, quello nel quale sono cresciuti con i loro amici, quello di cui non restano che un paio di torri e un orologio con le lancette che segnano le 3:36. Li guardo e per un attimo immagino di essere qualche passo dietro a loro, e di camminare verso quel Centro Storico, ora ricostruito. Me li immagino a dirmi “vedi, qui c'è la trattoria” o “Qui sta il barbiere”, e non “Qui c'era la trattoria” o “Qui c'era il barbiere”. In quel presente al posto dell'imperfetto c'è tutta l'essenza della speranza nel futuro, tutta la spinta di questi ragazzi speciali che si vogliono riprendere il loro Mondo. Da quel momento, quella passeggiata nella nuova Amatrice sarà uno dei miei sogni nel cassetto, ed è anche un motivo in più per raccontare questa storia.

Prima di tornarmene a casa a raccontare a Ilenia questa giornata indimenticabile, resta una foto da scattare: mercoledì saranno consegnate le prime 25 casette in legno, una delle quali diventerà la casa di Eleonora e Luigi, e io non posso che sperare che sia il primo passo sulla strada che porterà a quella passeggiata per il Corso della Nuova Amatrice.


Testo e immagini: Tommaso Della Dora
Un grazie infinito per il supporto a Massimiliano Fiorito e ai ragazzi di Amatrice 2.0 (Eleonora Savi, Luigi Fontanella, Leonardo Ciancaglioni, Evita Casciano).

TUTTE LE FOTO DI QUESTO ALBUM SONO IN VENDITA, IL PAGAMENTO SARA' EFFETTUATO DIRETTAMENTE SUL CONTO DELL'ASSOCIAZIONE AMATRICE 2.0.

A distanza di poco meno di un'anno dal giorno in cui sono stato per la prima volta ad Amatrice, le cose sono cambiate. Sono tornato diverse volte, ho visto una situazione in continua evoluzione, seppur con lentezza, fatica, sofferenza. Oggi ad Amatrice è possibile mangiare nei ristoranti riaperti nella nuova Area Food, progettata dall'archistar Stefano Boeri e finanziata da una sottoscrizione di testate giornalistiche cartacee e televisive. Oggi è possibile comperare prodotti tipici, fare colazione, prendere un caffè e tanto altro, in due nuovi centri commerciali. Le casette si sono moltiplicate e ora praticamente tutti hanno un nuovo tetto, seppur temporaneo. Insomma, ci sono prove di ripresa e rinascita.

Consiglio a tutti di andarci.













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avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2018 ore 16:29

Io ho una casa vicino ad Amatrice, in una frazione chiamata Casale, che sta poco Saletta, quella dove hai fotografato il B&B con la foto del figlio. I due paesi sono praticamente distrutti. Io ero li il 24 agosto. La mia casa, costruita nei primi anni '90, è rimasta integra quella notte ed ha resisito anche alle forti scosse successive di ottobre. Sono andate ovviamente in pezzi un pò di bottiglie e piatti. Non così per le case dei nonni, ben più vecchie, che sono andate distrutte. Fortunatamente, al momento, non erano abitate. Però nel paese la notte del 24 erano presenti 27 persone e ne sono morte 11. Se fosse successo una settimana prima, con Amatrice ed i paesi strapieni di villeggianti, il conto sarebbe stato ben più pesante. Però ho scritto per farti i complimenti per le fotografie e per affermare con te che un conto è vedere queste cose in TV ed un altro è camminare tra le macerie. Lo ha detto anche un mio amico che voleva vedere da vicino quel che era successo. Si è commosso ed ha mormorato, appunto "E' ben diverso che vederlo in TV..."

avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2018 ore 17:12

Ti ringrazio per la testimonianza e aggiungo un elemento, una riflessione dei ragazzi che mi hanno accompagnato in questo viaggio: 3 giorni dopo, il 27, si sarebbe tenuta la 50esima edizione della Sagra dell'Amatriciana... pensa se fosse successo quella notte...

avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2018 ore 17:14

L'abbiamo pensato tutti

avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2018 ore 17:21

Grazie di nuovo

avatarjunior
inviato il 27 Febbraio 2018 ore 12:31

Grazie per la testimonianza e per le foto.
Seppur abitando a San Benedetto, non ho avuto ancora il coraggio di avvicinarmi ad Amatrice.
Ho ancora bene in mente la prima volta che ho visto Trisungo, Arquata e Pescara.
Ero in moto direzione Roma io e la mia compagna chiacchieravamo con l'interfono.
Come la strada si apre dopo la curva e si vede il piccolo paesino di Trisungo smettiamo di parlare. Abbiamo percorso tutta la salaria fino a Posta senza dire una parola...Triste

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2018 ore 12:40

Si, da Trisungo in poi sembra entrare in un altro modno, un mondo spettrale. Pescara del Tronto poi è agghiacciante, addirittura peggio di Amatrice.

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2018 ore 13:01

Comunque sono di Fano, ma la mia compagna sta ad Ascoli, quindi parto pure da più vicino di te...

avatarsenior
inviato il 04 Marzo 2018 ore 13:56

Ho letto con grande interesse questa tua testimonianza che diversamente da tutti i Tg, mi ha fatto sentire molto vicini alla realtà che hai documentato con testi e immagini.
Sono felice che la vita, il desiderio di ricominciare, non sia crollato sotto le macerie della casa distrutte, la forza e la determinazione, sono elementi capaci di superare grandi difficoltà, senza dimenticare l'aiuto che noi tutti possiamo offrire a queste popolazioni così duramente colpite.

Paolo

avatarsenior
inviato il 04 Marzo 2018 ore 18:41

Grazie per il passaggio, Paolo

avatarjunior
inviato il 28 Marzo 2018 ore 13:35

Io sono di Ascoli e nonostante la distanza sono uno degli “sgomberati” per il terremoto. GRAZIE!! Con le tue foto crude e vere hai raccontato cose molto lontane dalla banalità e la retorica delle telecamere. Chissà, magari un giorno ci troveremo a parlare di fotografia, a bere un caffè ad Amatrice o Arquata. Un abbraccio fratelli!!!

Gianluca

avatarsenior
inviato il 28 Marzo 2018 ore 13:58

Ciao Gianluca... il caffè volendo ce lo possiam pure fare da Meletti prima o poi. Sono fidanzato con una tua coetanea ascolana da tre anni, passo lì ogni week-end e tutti i giorni di ferie che ho a disposizione :D

avatarsenior
inviato il 28 Marzo 2018 ore 14:00

Noi siamo stati fortunati, la nostra casa a Monticelli non ha subito alcun danno...

avatarjunior
inviato il 28 Marzo 2018 ore 15:16

ottimo lavoro e un senso indescivibile di angoscia e impotenza. per fortuna esitono persone come te e come tutti i volontari. che dire . .. mentre leggo e guardo sto ascoltando casualmente un brano jazz de il perigeo che si intitola "abbiamo tutti un blues da piangere".
personalmente spero di potere tornare in quei lughi(cisono stato diverse volte ma tempo fa) e ritrovarli "nuovamente" en caloroso abbraccio a tutti

avatarsenior
inviato il 28 Marzo 2018 ore 16:25

Grazie per il passaggio e le belle parole Mauro

avatarjunior
inviato il 10 Aprile 2018 ore 17:28

Grazie per le foto, danno sicuramente da riflettere.
Grande sensazione





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