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Iran, un paese dai mille volti


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Iran, un paese dai mille volti, testo e foto by Donoterase. Pubblicato il 16 Maggio 2016; 88 risposte, 14285 visite.


"Non smetterò di cercarti fin quando non sarò che terra.
E anche in quell'istante quando passerai sulla mia tomba la polvere della mia esistenza si aggrapperà a te per chiederti il perché di tutto ciò che ho subito." - Hafez



Non conoscevo nulla dell'opera di Hafez prima di visitare la sua città natale: Shiraz.
Poi sbirciando in rete e cercando su libri e guide, Lonely compresa, si scopre quanto sia importante Hafez per la storia e la vita dell'Iran.
Leggendo questi versi durante il nostro soggiorno nella sua terra natia ho immediatamente realizzato il motivo: perché la forza della sua poetica sta nel fatto che riesce a riassumere e condensare in poche parole tutta la devozione, la passione e l'ardore del popolo iraniano.
E capisco anche la riverenza con cui gli Iraniani vanno in pellegrinaggio sulla sua tomba a Shiraz.
Ma partiamo dall'inizio.
L'idea del viaggio in Iran nasce tra una chiacchiera e l'altra nel corso dei turni di lavoro meno impegnativi. Confesso che il paese non è mai stato in cima alle mie priorità di viaggio, la mia lista di mete è molto lunga ma l'Iran non ci era mai entrato. Nemmeno per sbaglio.
Fatto salvo il periodo della mia vita mi è capitato cinema d'essai o cineclub dove proiettavano spesso "il sapore della ciliegia" di Abbas Kiarostami o il clamore post 11 settembre del film di Mohsen Makhmalbaf "Viaggio a Kandahar", le vicende iraniane non avevano attraversato o lambito la mia esperienza di vita.




Ma trascinato dall'entusiasmo della mia compagna mi lascio convincere.
Basta poco tempo per costituire un gruppo di 6 amici/colleghi con la voglia di visitare l'Iran.
Tra l'altro, uno di questi 6 ha origini iraniane e parenti a Teheran e la cosa potrebbe non solo facilitare l'organizzazione del viaggio ma anche consentirgli di incontrare quel ramo della famiglia.
La pianificazione non richiede troppo impegno vista la folta presenza in rete di molte agenzie iraniane specializzate in tour tailor-made con prezzi abbordabili.
Seguiamo il consiglio arrivatoci da molte parti e decidiamo di evitare le zone prossime ai confini con i "paesi caldi".
Pertanto ci limitiamo ad un itinerario piuttosto classico che tocca tutte le città storiche fino a Bam e, a malincuore, saltiamo Mashaad perché purtroppo un parte consistente del Mausoleo dell'Imam Reza, uno tra i luoghi sacri per eccellenza dei musulmani sciiti e l'attrattiva maggiore della città, non è visitabile dai non musulmani.
Decidiamo di dedicare una larga fetta del viaggio ai deserti e alle città che sorgono ai loro bordi e, a viaggio terminato, mi sento di dire che la scelta è stata azzeccata (Grazie Gimmi!).
Qualche peripezia per ottenere il visto ma alla fine, a due giorni dalla partenza, tutto è pronto e via, si parte.

Atterriamo a Teheran all'una del mattino del 3 marzo, cambiamo al volo un po' di soldi, compriamo delle schede sim e andiamo a riposare in albergo prima di intraprendere un viaggio di 450 km diretti ad Isfahan.
Attraversando la città per andare in albergo ho l'impressione, confermata poi dai 4 giorni trascorsi qui a fine viaggio, che la capitale non solo non possegga lo stesso fascino del resto del paese ma che sia solo una megalopoli abitata da svariati milioni di abitanti.
Senza tratti distintivi, senza attrattive particolari, senza una personalità ben definita.
Dopo 6 ore di sonno ci stipiamo nel pulmino che ci porta ad Isfahan.
Il viaggio passa abbastanza velocemente e le strade sono buone, anzi, sono molto meglio di quanto mi aspettassi e meglio di come vengono descritte in molti siti internet da me consultati prima della partenza.
Giungiamo ad Isfahan nel primo pomeriggio. La città di Isfahan è situata nei monti Zagros a quasi 1600 metri di quota e risale all'impero sasanide. Famosa per le sue bellezze artistiche tanto che un proverbio persiano recita che "Esfahan è metà del mondo" (Esfahan nesf-e jahan), Isfahan porta ancora i segni della tremenda guerra Iran-Iraq degli anni 80.
Appena arrivati decidiamo di recarci direttamente sull'Imam Square, la seconda piazza più grande del mondo.




Arrivando da una delle vie laterali l'impatto entrando in piazza è impressionante: un rettangolo enorme che si apre a perdita d'occhio circondato da moschee, palazzi, porte con affreschi di più di 400 anni e negozi.
La piazza pullula di vita: anziani che leggono il giornale, famiglie sui prati a consumare una merenda a mo' di picnic, donne col chador che entrano ed escono dagli ingressi del bazar dalla piazza e una moltitudine di bambini che giocano.
Ma nonostante la folta presenza umana l'impressione che sia ha è che la piazza sia vuota a causa della sua vastità!
Facciamo un giro veloce del centro cittadino prima di andare a cena in un tipico locale per rifocillarci degli sforzi degli spostamenti.
E' venerdì, ci svegliamo di buon mattino e, durante la colazione, l'albergatore ci intrattiene raccontandoci come gli abitanti della città amano trascorrere le giornate festive e cosa vedere di caratteristico.
Ci suggerisce di visitare Jolfa, il quartiere armeno, e poi di andare a passeggiare sul lungo fiume e visitare i ponti di Isfahan, luoghi dove sono soliti passare le giornate di festa e fare picnic gli abitanti della città.
Decidiamo di seguire il suo consiglio quindi ci facciamo lasciare dal nostro autista vicino all'ingresso della Cattedrale di Vank (Kelisa-ye Vank). Dall'esterno non impressiona, l'aspetto è austero e sobrio, costruita intorno al 1650 conserva all'interno degli affreschi splendidi, dai colori vivaci e recentemente restaurati.




Interessante anche il museo che celebra la diaspora armeno e il genocidio da parte dei turchi di cui quest'anno ricorre il centenario.

Quando usciamo dalla Cattedrale trascorriamo del tempo a vagare tra i vicoli del quartiere. Le strade si stanno animando e le botteghe iniziano ad aprire i battenti. Siamo attirati dal profumo di pane fresco fino ad un forno tradizionale armeno dove cuociono il pane su pietre poggiate sul fuoco.
Notando la nostra curiosità degli avventori ci regalano del pane d'assaggiare.
Sarà una costante del viaggio questa dell'offerta del cibo: in ogni luogo e ad ogni ora abbiamo incontrato persone che ci volevano omaggiare con una parte del loro pasto o con una parte dei loro acquisti alimentari.

Riprendiamo il van e ci facciamo lasciare dall'autista all'altezza del ponte più vecchio, Pol-e Sharestan, e risaliamo il lungofiume a piedi, passando per il Pol-e Chibu e il Pol-e Si-o Seh, fino ad arrivare allo splendido e famoso Pol-e Khaju costruito nel 1600. E' stata un'esperienza bellissima sia per i ponti che nella loro austera semplicità possiedono un fascino particolare e sia per gli innumerevoli incontri che abbiamo fatto lungo la strada.

E' stato, a pensarci bene, l'antipasto di quello che sarebbe stato davvero il viaggio in Iran: l'incontro con un popolo accogliente, gentile e disponibile che ha la necessità e l'urgenza di uno scambio culturale con gli altri popoli.
Urgenza che gli deriva un po' dal bisogno di ottenere informazioni dall'esterno visto che la censura è molto forte e la stragrande maggioranza dei siti stranieri, inclusi molti social network, sono oscurati ma soprattutto dal profondo desiderio, alla luce degli eventi storico-politici, di farsi conoscere al di là degli stereotipi mediatici.
Tra le decine di persone che ci hanno fermato per scambiare due parole, per farci assaggiare qualche piatto tipico o solamente per darci il benvenuto nel paese incontriamo Mehdi con la sua famiglia che ci invitano a cena per la sera successiva.




Lasciamo i ponti dopo pranzo con l'dea di tornarci in serata a fare qualche foto e ci dirigiamo verso la piazza principale ma la stanchezza del viaggio si fa ancora sentire per cui mangiamo un pasto frugale e andiamo in albergo.
Il giorno dopo partiamo sul presto e ci facciamo lasciare dall'autista davanti alla Masjed-e Jameh.




Visitiamo la maestosa Moschea del venerdì entrando dall'ingresso a nord.
E' la moschea più grande dell'Iran con oltre 20000 mq di estensione, risale a più di 800 anni fa anche se è stata costruita in epoche diverse per cui ambienti più antichi contengono strutture più recenti in una stratificazione architettonica che risulta comunque interessante.
La cupola in mattoni di Taj-al-Molk seppur piccola è considerata la più bella della Persia e ha resistito per secoli ai terremoti e al centro del cortile principale si trova una fontana per le abluzioni che replica quella della Kaaba della Mecca ed è usata per fare le "prove" del rituale in vista dell' Haji cioè il pellegrinaggio alla città santa che costituisce uno dei cinque pilastri dell'Islam.







Uscendo dalla moschea attraversiamo il maestoso Bazar-e Borg, un dedalo di viuzze, caravanserragli, moschee, ristoranti e negozi che si snoda dalla moschea fino alla piazza principale.
Il Bazaar è enorme, ci si può perdere facilmente se non si prendono dei riferimenti. E' diviso in zone, ogni arte o mestiere ha una sua parte dedicata. Dentro i vicoli si incontrano migliaia di persone ma di turisti poco o nulla. Ed il bello è proprio questo: ci si sente a casa.
Il tempo all'interno del bazaar sembra fermarsi, l'umanità che ci circonda ci assorbe e ci coccola.




Dopo qualche ora trascorsa all'ombra dei tetti del Bazaar usciamo di nuovo sull'Imam Square da un ingresso laterale.




Il colpo d'occhio è impressionante: la piazza è enorme, sembra ancora più grande di ieri, sarà la luce abbacinante o sarà il fatto che data l' ora la presenza umana è scarsa rimane il fatto che la sensazione di smarrimento non può non cogliere noi italiani poco avvezzi a spazi tanto vasti.
Non per nulla sembra sia la seconda piazza per estensione dietro a piazza Tienanmen a Pechino.
Grande 500 metri per 165 con un'area di circa 8 ettari la piazza è ora intitolata all'Imam Khomeini anche se originariamente il nome era Naqshe-Jahan, in persiano dipinto del mondo, ed è conosciuta anche come metà del mondo per la sua vastità.
La piazza è il baricentro artistico e culturale della città e al suo limitare o poco più distante gravitano le principale attrattive turistiche di Isfahan.
Purtroppo il Palazzo di Ali Qapu è chiuso per restauro quindi visitiamo la piccola ma splendida Moschea dello Sceicco Lotfollah.
Una moschea atipica, senza un minareto e senza un cortile, con una cupola splendida e, all'interno, dei mosaici che adornano pareti e soffitto tanto belli da togliere il fiato con la loro complessità, i loro colori oro e turchesi che si intrecciano in trame complesse e le lame di luce che filtrano da sottili finestrelle ne illuminano piccole porzioni creando arabeschi di luce sulle pareti.
Sedersi sul pavimento ed osservare senza fretta la luce che illumina ed esalta i mosaici è un passatempo che vi raccomando caldamente!





Usciti dalla moschea facciamo un giro veloce tra i negozi, compriamo dolci e doni da portare a Mehdi e famiglia e torniamo in albergo per prepararci per la serata.
Mehdi e il padre ci passano a prendere e ci portano nella loro casa in un quartiere residenziale di Isfahan. Una casa di 4 piani dove vive Mehdi e la sua famiglia, il fratello con la famiglia, i genitori e degli affittuari. Come potete ben immaginare alla cena ci saranno tutti per un totale di oltre 20 persone!
La casa è molto bella e curata, riccamente arredata e rifinita e veniamo accolti con tutti gli onori. Tra frutta, thè e dolci si svolgono le presentazioni. Poi si procede con una ricchissima cena tipica iraniana ed una pasta al pomodoro fatta in nostro onore per chiudere con balli e danze. Purtroppo all'una dobbiamo comunicare di dover tornare in albergo perché la partenza per Shiraz sarà molto presto, l'annuncio viene accolto con dispiacere e ci accorgiamo del fatto che probabilmente abbiamo mancato di tatto e cortesia. Spieghiamo bene che abbiamo trascorso 5 ore fantastiche, ci spertichiamo in complimenti e ringraziamenti ma il dubbio di aver ferito in qualche modo le persone che hanno aperto la loro casa a noi stranieri e sconosciuti inizia a farsi più consistente.
Ritardiamo così i saluti in modo da trascorrere ancora un po' di tempo con loro, cantiamo un altro po' con loro ingaggiando una sorta di battaglia canora tra due squadre e scambiamo i numeri telefonici.
Ma ormai è l'una passata, salutiamo caldamente tutti e ci facciamo riaccompagnare in albergo.
La mattina dopo partiamo per Shiraz, la culla della cultura persiana, passando per Pasargade. Sebbene il luogo non sia ben conservato merita una visita per la tomba di Ciro che si erge, nella sua semplicità, nella pianura di Morghab.




Arriviamo finalmente a Shiraz. Shiraz è la città che rivaleggia con Isfahan per il titolo di capitale culturale della Persia. Esiste da più di 4000 anni, è stata la capitale della Persia durante la dinastia Zand dal 1750 al 1794 ed è la città natale di uno dei padri della poesia persiana, Hafez.
Facciamo una tappa veloce in albergo e ci infiliamo immediatamente nel centro della città.
Decidiamo di entrare subito nella moschea del Reggente (Masjed-e Vakil) e vicino all'ingresso incontriamo Nik.
Nik ha lavorato alla Ford, vissuto decenni negli USA e ora è tornato in Iran per trascorrere del tempo con la sua famiglia. Parla un ottimo inglese, è molto disponibile e ci accompagna dentro la moschea.
Alla fine trascorrerà con noi tutti e tre i giorni in cui saremo a Shiraz.

Non perdiamo molto tempo nella moschea del Reggente perché scalpitiamo per andare a quella di Nasir-al-Molk, famosa per le splendide vetrate colorate e raggi del sole che vi passano attraverso disegnano splendidi giochi di luce sulle pareti e sulle colonne retrostanti. Arriviamo però dopo le 1030 e la luce non è il massimo: purtroppo è già alta. Non raggiunge già più le colonne e si riflette soltanto sul pavimento, in un breve spazio vicino alle vetrate.
L'atmosfera è comunque coinvolgente, i riflessi delle vetrate disegnano motivi magici sui tappeti e la pace, il silenzio e l'atmosfera mistica del luogo fanno il resto.
Passiamo molto tempo seduti ad ammirare i colori che dipingono la stanza e facciamo qualche foto.
Dopo un'ora circa decidiamo di uscire e andiamo al Bazaar.




Il Bazaar di Shiraz è decisamente più piccolo di quello di Isfahan ma merita comunque una visita.
I Bazaar sono sempre interessanti perché consentono di osservare la vita del luogo e di assaporare gusti, sapori e odori tipici.
Nelle strade intorno al Bazaar si trova anche la Madrassa (Madraseh-ye Khan).
Nick ci invita ad entrare anche se noi siamo un po' titubanti. Alla fine ci facciamo convincere ed entriamo.
Mentre la visitiamo facciamo la conoscenza e scambiamo qualche parola col Mullah, ci facciamo qualche foto insieme, i soliti selfie (la cosa strana questa volta è che siamo incoraggiati dal Mullah!) e salutiamo gli studenti.
Chiediamo a Nik se ci porta a mangiare qualcosa di tipico e ci conduce in un locale dove siamo i soli stranieri, angusto, con tavoli alla buona e sedie traballanti. Mangiamo tutti il Dizi, una zuppa di carne di agnello con ceci, fagioli, patate e cipolla.
Il Dizi è un tipo di recipiente dove viene cucinato e si tiene in caldo lo stufato. Per mangiarlo la parte liquida viene separata dalla parte solida, prima si mangia il brodo denso con pane inzuppato dentro e poi la parte solida viene schiacciata al mortaio e mangiata con pane e sottaceti, erbe aromatiche e cipolla fresca come contorno.
L'atmosfera è bellissima, rilassata e tranquilla, gli altri commensali ci invitano a provare le pietanze da loro ordinate quando i nostri sguardi guardano nella loro direzione e fissano i piatti ma siamo abbondantemente sazi e non riusciamo ad assaggiare tutto!
Nel pomeriggio andiamo al Mausoleo del Re della Luce (Aramgah-e Shah-e Cheragh) dove in teoria i non musulmani non sono ammessi. Gli ingressi sono separati tra uomini e donne, Nik parla con le guardie al varco che ci lanciano qualche occhiata svogliata e ci fanno passare senza troppe domande.
Il Mausoleo è molto appariscente, all'interno specchi, oro e vetri colorati ma non è certo memorabile. Però all'interno si percepisce la devozione dei fedeli in preghiera, ce ne sono molti devo dire, ed è comunque un'esperienza interessante.
Nick ci spiega molte cose sulla fede sciita, le differenze coi sunniti e la storia del Mausoleo.
Prima di tornare in hotel ci fermiamo alla tomba di Hafez.
Risale al 1935 e celebra il poeta e mistico originario di Shiraz, non è particolarmente sfarzosa o imponente ed è sostanzialmente un piccolo mausoleo circondato da un enorme giardino con cipressi, aranci, fontane e panchine.
Quello che colpisce è la passione e la venerazione che hanno gli iraniani per i versi e le opere di questo poeta. Insieme a Saadi non è solo il padre della letteratura iraniana ma assurge quasi al ruolo di vate o santo e molti attribuiscono ai loro versi proprietà quasi divinatorie.

« Quant'è bella Shiraz, al mondo non ha pari!
Preservala, mio Dio, da tutte le sciagure!
Scorra, scorra per sempre questo ruscello nostro,
che fa, con le sue acque, senza fine la vita.
Fra i sereni abitati e le liete radure
uno zefiro fresco che dell'ambra ha il profumo.
Vieni a Shiraz, tra la sua gente cerca,
così perfetta, grazie celestiali. »

Il secondo giorno a Shiraz è interamente dedicato alla storia e all'archeologia.
Di buon mattino partiamo alla volta di Persepolis.
Persepolis è stata una delle capitali del regno degli Achemidi, costruita da Dario a partire dal 520 a.c. venne ampliata da Serse e Artaserse fino a diventare uno dei complessi più imponenti del regno antico.




Quello che è possibile ammirare oggi è tutto ciò che è rimasto dopo il saccheggio compiuto da Alessandro Magno nel 330 a.C..
Secondo Plutarco utilizzò 20.000 muli e 5.000 cammelli per trasportare l'immenso bottino contenuto nei palazzi reali.
Il condottiero macedone ordinò poi di incendiare la città per vendicare il sacco di Atene.
Si entra dalla Porta delle Nazioni, si procede per tutto il sito fino al palazzo di Dario passando per la Sala del Trono e del Tesoro anche se la parte più affascinante è decisamente l'Apadana e la sua scala di accesso.
L'edificio aveva una corte centrale delimitata originariamente da 72 colonne ed era utilizzata per le cerimonie più importanti. Le scalinate monumentali che portano all'edificio hanno ai lati rilievi finemente decorati che avevano lo scopo di mostrare alle delegazioni in visita alla città la magnificenza e l'opulenza del re dei re.
Nonostante non rimanga molto del complesso originario la visita regala momenti e spunti interessanti.




Tornando verso Shiraz ci fermiamo ai due complessi di tombe rupestri di Naqsh-e Rostam e Naqsh-e Rajab. Nel primo sito si trovano le 4 tombe di Dario I, Dario II, Serse e Artaserse I scavate nella roccia in posizione elevata rispetto al suolo mentre il secondo sito contiene solo dei bassorilievi di epoca sasanide.
Le tombe sono essenziali ma suggestive, incastonate nella roccia e maestose nella loro semplicità.




Dopo una giornata immersi nella storia dell'antica Persia ci rifocilliamo all'Haft Khan restaurant, un complesso che ospita diversi ristoranti tra cui uno tipico iraniano che dicono sia tra i migliori 10 del paese.
Cena fantastica, piatti abbondanti e ben cucinati, musica tradizionale dal vivo ed atmosfera chic ma non pretenziosa. Decisamente consigliato.

L'ultimo giorno lo dedichiamo alla ricerca dei nomadi Qashqai.
Tra i nomadi, la tribù di lingua turca dei Qashqai è la più importante
nell'Iran meridionale: il loro territorio si estende da Abadeh e Shahreza nella
regione di Isfahan alla costa del Golfo Persico. Sono divisi in numerosi clan, i
più rilevanti dei quali sono i Kashkuli, gli Shish Blocki, i Farsi Madan, i Safi
Khani, i Rahimi, i Bayat, i Darreh Shuyi. Si pensa che discendano tutti dal
clan turco dei Khalaj, che viveva tra l'India e il Sistan iraniano e in seguito
migrò verso l'Iran centrale e meridionale.
Durante il periodo dello Shah Reza i Qashqai sono riusciti a resistere alle pressioni e alle costrizioni del regime per cessare la tradizione nomade in favore di uno stile di vita più stanziale.
La successiva Repubblica Islamica ha invece preservato e tutelato le tribù nomadi anche in virtù del loro apporto all'economia del paese con l'allevamento del bestiame che soddisfa il fabbisogno di carne e latte della popolazione.

Purtroppo non è ancora il periodo dell'anno in cui si trovano nei pressi di Shiraz quindi siamo costretti a spostarci di 300 km verso il mare. Nei dintorni di Firuz Abad troviamo un accampamento di una famiglia Qashqai.
Facciamo la conoscenza del capofamiglia e della moglie che ci invitano ad entrare nella tenda, prendiamo un thè con loro e chiacchieriamo.




Il resto della famiglia ci raggiunge e trascorriamo circa due ore al fresco della tenda al riparo dal sole cocente che batte all'esterno. Ci presentano tutti i membri della famiglia e giriamo indisturbati per l'accampamento. Il capitale delle popolazioni nomadi sta tutto nel gregge e gli animali vengono coccolati e trattati come membri del clan.
I recinti sono pieni di animali, i piccoli separati dalle mamme che a breve andranno a pascolare si lamentano e si lagnano.
Vista l'ora del giorno la luce non è per niente buona ma nonostante questo scattiamo qualche foto e restiamo a curiosare in giro fino a quando il capofamiglia non si congeda per portare le capre al pascolo.




Decidiamo di tornare in città per qualche acquisto prima di partire verso Kerman.
Il giorno seguente si parte per Kerman ma prima decidiamo di passare di nuovo alla moschea Nasir-al-Molk per vedere se la luce è buona.
L'orario è perfetto e la luce ottima. Purtroppo però i custodi non aprono tutte le tende ma solo due e anche i tentativi corruttivi per fargli aprire le restanti falliscono.
Pertanto ci arrendiamo, cerchiamo di cogliere il meglio della situazione e ripartiamo per Kerman.




Arriviamo nel tardo pomeriggio dopo un lungo viaggio e poco o nulla di significativo lungo il tragitto.
Visitiamo in mattinata la città, un giro veloce al Bazaar e una visita al Gonbad-e Jabaliye o montagna di pietra. Edificio a pianta ottagonale con alcuni reperti interessanti all'interno e la cui destinazione d'uso è tutt'ora ignota.
Nel primo pomeriggio partiamo per i cosiddetti Kalut.
Amo i deserti e aspetto con trepidazione questa parte del viaggio da molto tempo.
Col nome Kalut viene indicata una vasta zona desertica, 145 km di lunghezza per 80 di larghezza, del Dasht-e Lut caratterizzata da lunghe file di yardang cioè castelli di sabbia naturali alti da 5 a 10 piani, creati nei millenni dal vento che spira sempre nella stessa direzione.
Troviamo un luogo rialzato accanto ad un castello di sabbia dove parcheggiare il van e che possiamo utilizzare come base per la nostra esplorazione del deserto.
Ce ne andiamo in giro per qualche ora immersi nel silenzio irreale del deserto roccioso, vaghiamo tra sabbia e sassi, tra pinnacoli rocciosi e crepacci, ci arrampichiamo su castelli di sabbia dura e compatta alla ricerca di nuovi punti di osservazione.
E ogni volta che saliamo in alto si apre dinnanzi a noi uno spazio ancor più vasto e variegato, lo sguardo cade su nuove forme di roccia e forme stilizzate, ombre spezzate e tracce sul terreno.




Il paesaggio è lunare, non si può non essere rapiti dal panorama che ci circonda e colpiti dal senso di spaesamento che si prova trascorrendo del tempo a passeggiare tra le rocce e gli avvallamenti di questo lembo desolato di terra.
Questa parte del globo non è solo bellissima ma anche torrida. Nel 2005 è stata raggiunta la temperatura più calda mai registrata prima d'ora sul nostro pianeta pari a 70,7°C e la temperatura della superficie del terreno è così alta, da non permettere neppure ai batteri di sopravvivere.
Fortunatamente il periodo in cui siamo ci consente di poterlo esplorare liberamente essendo le temperature ancora al di sotto dei 30/32 gradi.
Quando rientriamo "al campo base" il nostro autista ha preparato una splendida merenda con formaggio, ortaggi, frutta e thè.
Attendiamo il tramonto sorseggiando il thè e chiacchierando. Ci godiamo lo spettacolo del sole che lentamente cala sotto la linea dell'orizzonte fino a scomparire del tutto e lascia campo libero alle stelle.





Purtroppo non possiamo restare troppo oltre le nove perché la strada per il ritorno è lunga. Mentre la percorriamo penso che forse sarebbe valsa la pena di trascorrere una notte nel deserto per vedere le stelle. Sarà per la prossima volta.

Il giorno successivo trascorriamo la mattina in città e, dopo aver visitato la moschea del venerdì (Masjed-e Jameh), entriamo nel mercato ortofrutticolo del quartiere dove, come al solito, incontriamo molte persone che ci fermano e che parlano con noi.
Il mercato è molto vivace, con pareti azzurro intenso e frutta coloratissima, se non avessimo altri programmi potremmo rimanere tutto il giorno in mezzo ai negozianti e ai clienti.
Partiamo per Mahan subito dopo pranzo. Visitiamo prima il mausoleo Nematollah Vali e poi i giardini Bagh-e Shahzde. Mentre il primo non è molto interessante i giardini sono molto belli, circondati da terreno arido sono un'oasi d'acqua con ruscelletti, fontane, alberi verdissimi e due palazzi. Realizzati nel 1873 sono stati anche la residenza di un principe qagiaro.

L'ultimo giorno nella zona di Kerman si parte alla volta delle due cittadine di mattoni di fango di Rayen e Bam.
L'attrazione principale di Rayen, cittadina a 2200 metri di altitudine all'ombra del monte Hezar che ne misura 4400, è l'Arg-e Rayen, un'antica cittadella di mattoni essiccati.
Risale a più di 1000 anni fa ed è circondata da mura esterne spesse fino a 3 metri alla base che sostengono oltre 15 torri di avvistamento.
Il gioiello della struttura è la residenza del governatore, cui si accede dalla piazza, composta da 4 edifici e completamente restaurata.




Dopo Rayen andiamo a Bam per vedere quanto rimasto dopo il sisma del 2003.
La città ha perso completamente il fascino turistico che possedeva poichè il terremoto ha raso praticamente al suolo l'Arg-e Bam, l'enorme cittadella di mattoni di fango gioiello dell'UNESCO.
Si stima siano morti dalle 26000 alle 40000 persone nel terremoto che ha distrutto un patrimonio dell'umanità sopravvissuto ad oltre 2000 anni di scosse sismiche.
Bam ha impressionato per anni i viaggiatori che si fermavano in questo posto di tappa tra le rotte commerciali che collegavano il Pakistan ed il Golfo Persico all'Europa. Le 36 torri della città sembra abbiano stregato anche Marco Polo.
Tornando verso Kerman il pensiero corre alla tragedia del 2003, ai morti e ai feriti e alla perdita di un tesoro architettonico.




Per chi volesse vedere com'era e com'è ora Bam andate al sito: dsr.nii.ac.jp/bam/)

Subito dopo colazione partiamo per Yazd. Il viaggio è lungo e l'unica tappa è il villaggio troglodita di Meymand.
C'è chi sostiene sia abitato da oltre 10000 anni e chi da poco più di 3000, fatto sta che le oltre 2500 stanze ricavate in circa 400 caverne rappresentano uno spaccato di un passato remoto giunto sino a noi attraverso i secoli.
Il villaggio ricorda le città della Cappadocia o i Flinstones, si trova alla fine di una valle ed è dal 2005 patrimonio UNESCO.
Complice il cielo plumbeo, il silenzio assordante e la scarsa presenza umana lo spettacolo che ammiriamo sembra fuori dal tempo.
E' come essere trasportati indietro di migliaia di anni in un villaggio deserto.




Il villaggio è abitato da non più di 60-70 persone, così almeno dice la guida e recita un cartello all'entrata, ma fatichiamo a trovare la minima presenza umana.
Girovagando di grotta in grotta facciamo la conoscenza di una famiglia. In casa sono presenti solo le donne, gli uomini molto probabilmente sono al lavoro. Ci invitano ad entrare per un thè.




La loro casa è composta da una grotta grande 5 metri per 5 contenente sia la cucina che il necessario per dormire e da uno spazio antistante la grotta che funge da recinto per gli animali.
Sorseggiamo il thè senza scambiare molte parole vista l'impossibilitare di trovare una lingua comune. Vendono erbe e piccoli oggetti di artigianato per sbarcare il lunario, acquistiamo un astuccio a pochi spicci, scattiamo qualche foto con loro e salutiamo.

Il viaggio per Yazd è ancora lungo. Per cena ci fermiamo in un caravanserraglio a Zein-o Din, qualche decina di kilometri da Yazd.
Un caravanserraglio è composto solitamente da un muro, spesso rinforzato, posto a protezione di un edificio a pianta ottagonale o squadrata al cui interno un porticato si affaccia su di un cortile dove sostavano le carovane in transito lungo le tratte commerciali che attraversavano i deserti.
Se i più vecchi che esistono sono del periodo sasanide (224-642 d.C.), la maggior parte di quelli in buono stato risalgono al regno di Shah Abbas (1598-1629) che ne fece costruire 999 situati ad un giorno di cammino l'uno dall'altro.
Costituivano riparo dagli attacchi dei banditi e, quando costruiti in città, si trovavano in prossimità dei bazar così da facilitare lo spostamento delle merci da un edificio all'altro.




La struttura è molto bella a pianta ottagonale con tutte le stanza che affacciano sul cortile interno, completamente risistemata conservando lo spirito originale e accogliente quanto basta tenendo conto che si sono mantenute le caratteristiche spartane del luogo tipo le assi di legno al posto delle sedie o materassi adagiati sui pavimenti come si usava una volta.
La cena non è esaltante ma ci godiamo il tramonto dal tetto del caravanserraglio e assaporiamo l'atmosfera dilatata del deserto.
Arriviamo a Yazd con il buio, prendiamo le stanze e via a letto.

Yazd è stata, per me, la sorpresa del viaggio. Non avevo letto molto su di essa, viene menzionata poco o nulla sui blog e viene citata poco e raramente nelle guide.
Proprio per questo il fascino della città e dei suoi vicoli mi ha colpito ed ammaliato sin dal primo sguardo.




Incastonata tra i due deserti Dasht-e Kavir e Dasht-e Lut e sfuggita alla furia distruttrice di Gengis Khan e Tamerlano, Yazd è giunta fino a noi mantenendo inalterata nel tempo la sua atmosfera fatata e misteriosa.
Secondo l'UNESCO la città vecchia è una delle più antiche del mondo, i suoi vicoli svelano ad ogni angolo scorci fantastici, porte lignee screpolate dalla forza del sole, corti e giardini, passaggi coperti ed incantevoli dimore.




Un dedalo di vie che avvolgono e circondano migliaia di edifici in mattoni di argilla, fango e paglia (adobe) che creano un labirinto in cui perdersi è un piacere.




E sopra ai tetti si stagliano gli alti badgir, ossia le torri del vento, semplici soluzioni architettonico-ingegneristiche utilizzate per incanalare il vento e rinfrescare gli ambienti sottostanti.

Salire su una delle molte terrazze di una delle 2000 abitazioni qagiare e ammirare i raggi del sole che colpiscono obliquamente le sconfinate distese color mattone dei tetti cittadini inframmezzati da cortile nascosti e badgir è uno spettacolo che difficilmente scorderemo.




Ma molti sono i siti o gli edifici degni di nota: molto interessante la Masjed-e Jameh (Moschea del Venerdì) accanto a cui abbiano soggiornato, con un piccolo museo all'interno e la possibilità di salire sul tetto per ammirare la città dall'alto, il Bagh-e Dolat Abad con il badgir più alto del paese, la Khan-e Lari splendida dimora di epoca qajara, la prigione di Alessandro, il complesso di Amir Chakhmaq per finire con il Tempio del Fuoco zoroastriano o Ateshkadeh.
I ritmi della città sono più lenti di quelli delle altre sinora visitate, la vita appare meno frenetica e la già sperimentata disponibilità delle persone del luogo diventa ancora più tangibile.




Se vi capiterà di andare a Yazd vagate senza meta nei vicoli apparentemente deserti che magicamente si popoleranno di bambini e adulti, vivete ogni angolo della città e entrate dentro ogni negozi o locale perché ogni edificio ha un giardino segreto che si svela solo a chi varca la soglia d'ingresso e di cui si ignora l'esistenza se ci si ferma al solo aspetto esterno.




Un negoziante da cui compriamo dei souvenir ci invita in serata ad andare nel deserto per festeggiare lo Chahârshanbe Sûrî.
Lo Chahârshanbe Sûrî è un rito che si celebra l'ultimo mercoledì dell'anno: la festa del fuoco. Costituisce una rappresentazione allegorica della luce (il fuoco) che sconfigge le tenebre, una tradizione che richiama il dualismo mazdeo e si ricollega perciò alle antiche origine della festa stessa.
Durante la notte del Chahârshanbe Sûrî è tradizione uscire nelle strade ed appiccare piccoli e grandi falò, sui quali i giovani uomini saltano cantando i versi tradizionali Zardî-ye man az to, sorkhî-ye to az man, letteralmente "il mio colore giallo a te, il tuo colore rosso a me", che simbolicamente significa "la mia debolezza (giallo) a te, la tua forza (rosso) a me". (fonte Wikipedia)
Purtroppo nel deserto c'era molto vento che ha un po' rovinato l'atmosfera comunque trascorriamo la serata lì, assistendo al salto del fuoco, canti e balli.
I miei amici e la mia compagna hanno apprezzato molto mentre a me la cosa non ha colpito molto anche se il simbolismo collegato al rito della purificazione prima della festa rimane sempre affascinante.

Yazd è una città molto importante per la cultura Zoroastriana. Oltre all'Ateshkadeh dove è conservata (e protetta da una bacheca di vetro) la fiamma sacra che arde, secondo la leggenda, ininterrottamente dall'anno 470 a.C,molto importanti sono le Torri del Silenzio.
Qui, fino a pochi decenni fa, gli abitanti portavano i loro defunti che venivano letteralmente spolpati dagli avvoltoi. Tale cerimonia, presieduta da un sacerdote, è l'unica possibile poiché il fuoco e la terra sono due elementi sacri per la religione zoroastriana (una delle prime monoteiste e ancora oggi professata da molti locali), facendo così venire a mancare la cremazione e la tumulazione.
Purtroppo abbiamo constatato uno stato di incuria ed abbandono del sito, la totale mancanza di indicazioni o spiegazioni che rendono poco interessante la visita.

Lasciamo a malincuore Yazd per dirigerci verso Garmeh.
Anche se sembra strano dirlo, mi ero già affezionato a Yazd e alle sue magiche strade e mi sarebbe piaciuto restare qualche altro giorno.
Ma il Dasht-e Lut e Teheran ci aspettano.
Lungo la strada ci fermiamo al tempio zoroastriano Chak Chak. Situato vicino alla città di Ardakan in provincia di Yazd, Chak Chak è tuttora meta di pellegrinaggio per i devoti zoroastriani.
Ogni anno, dal 14-18 giugno molte migliaia di zoroastriani da Iran, India e altri paesi affollano il tempio del fuoco a Pir-e Sabz.
Il paesaggio è spettacolare, la vista è splendida ma il luogo è molto deludente. Sicuramente l'aspetto spirituale può essere interessante per gli zoroastriani o per gli appassionati di religione ma consiglio vivamente a tutti gli altri di saltarlo!
Trascorriamo due notti a Garmeh di cui la prima nella guest-house Ateshooni di Maziar.
E' una casa tradizionale, le stanze sono enormi, ci si dorme in 4-5 e Maziar, un musicista-albergatore-imprenditore-artista, allieta le serate con mini-concerti di qualche decina di minuti suonando tamburi, didgeridoo o vasi in ceramica da lui realizzati e intonando melodie etno-trance.
In rete si trovano opinioni e recensioni contrastanti su Maziar e sulla sua guesthouse. La casa a mio modesto parere è molto caratteristica e tipica del luogo, certo bisogna adattarsi se si è in più di 2 a dormire in una sola stanza ma per quanto mi riguarda non è un problema. Inoltre Maziar può organizzarvi qualunque escursione vogliate, cosa da non sottovalutare specie se non siete dotati di mezzo proprio.
La seconda notte invece l'abbiamo trascorsa in un hotel appena inaugurato a Khur e se non vi interessa nulla di vivere a contatto con le persone del luogo ma siete più interessati a pernottare e basta allora è meglio scegliate questa soluzione.

L'oasi di Garmeh è stata un po' deludente, nascosta e un po' acquitrinosa.
Anche il paese non è particolarmente interessante assomigliando ad uno dei tanti paesi che si possono attraversare quando si percorrono le zone desertiche dell'Iran.
Quei piccoli agglomerati urbani semi-deserti, con edifici di stili diversi ed alcuni mal tenuti al limite del crollo, affastellati gli uni agli altri senza una minima regola.
Ma è circondato dalle dune sabbiose ed in posizione strategica per essere la base per escursioni verso le distese di sale e verso il deserto.




Le distese di sale, pur non raggiungendo per bellezza altri luoghi della terra dello stesso tipo sono comunque notevoli e spezzano un po' la monotonia del paesaggio dell'Iran centrale.

Il pomeriggio trascorso in giro per le zone desertiche che circondano Garmeh è stato invece molto bello e coinvolgente anche se il vento in alcuni frangenti disturbava molto. Aspre alture rocciose si alternano a distese di dune di sabbia sferzate dal vento, i colori variano dal rosso acceso al giallo fino al bianco di alcune rocce composte di gesso.
Purtroppo sperimentiamo in prima persona la forza del vento che spazza queste zone desertiche.




Ma nonostante il vento, concludere la giornata prendendo il thè nel deserto, al tramonto, davanti ad un bel fuoco che arde, è sempre qualcosa che colpisce al cuore.




In tutto il viaggio, ma soprattutto durante i giorni nel deserto che con i suoi tempi lenti concilia molto la lettura e la riflessione, ho approfondito la conoscenza della cultura islamica.
Le differenze tra musulmani sciiti e sunniti nascono dalla questione della successione a Maometto nel 632 d.c., passano per il massacro di Kerbala del 680 d.c. in cui viene trucidato Hussein e i suoi 72 seguaci e poi nel corso di questi 15 secoli hanno tracimato nelle questioni politiche alimentando scontri settari e guerre regionali.
Pur essendo accomunati dagli aspetti fondamentali(i cinque pilastri e il libro sacro) è evidente la differenza sostanziale con cui gli sciiti vivono la religione.
La concezione e presenza storica del martirio, l'iconografia degli imam e degli Ayatollah e le cerimonie rituali, la flagellazione durante l'Ashura ad esempio, rendono manifestamente evidente la passione ed il trasporto degli sciiti nel vivere il credere religioso e rappresentano quasi dei punti di contatto/vicinanza con la visione cristiana del vivere la fede.


il 19 marzo lasciamo definitivamente il deserto per Teheran dove trascorreremo 5 giorni a cavallo del Norouz. La strada è lunga e prevede una sola sosta a Kashan.
Vi arriviamo dopo le 13, sosta per pranzo e per visitare le famose dimore storiche della città.
Visitiamo la Khan-e Tabatabei, la magione di un mercante di tappeti splendida nella sua opulenza e grandezza, la Khan-e Abbasian, di proprietà di una ricca famiglia è adornata di stucchi e vetrate istoriate, e la Khan-e Borujerdi, altra dimora di un mercante costruita intorno al 1860 e caratterizzata da badgir e affreschi.
Ripartiamo per Teheran dove arriviamo nel tardo pomeriggio del 20 Marzo a circa 16 ore dal capodanno che scoccherà alle 08 e qualche minuto della mattina del 21. Dopo aver lasciato i bagagli in hotel decidiamo di andare a mangiare un boccone in qualche ristorante nei dintorni.
Appena usciamo dalla via laterale dove si trova l'albergo entriamo in una bolgia colossale. I marciapiedi sono pieni di bancarelle di vestiti usati letteralmente circondati da orde di acquirenti o curiosi, i proprietari sono sui banchi che agitano scarpe e vestiti urlando a squarciagola mentre ai loro piedi un fiume di gente cerca di scavalcare queste rivendite dell'usato e i loro clienti, diretti chissà dove. Essendo ormai le vie pedonali di fatto impraticabili la marea umana ha invaso le strade dove una moltitudine di automobili, moto, motorini e camionette tentano invano di fare qualche centimetro sull'asfalto, utilizzando quei pochi spazi che la massa umana gli concede.
Tutto questo condito da urla, suono di clacson, suonerie di cellulari, autoradio con musica a tutto volume, sirene e qualunque suona possa essere generato dal ventre di una metropoli.
Il pensiero mi è andato immediatamente alle scene di "Strange Days" della Bigelow quando Nero si trova in mezzo ai festeggiamenti del capodanno del 2000. Sgomitando un po'o riusciamo a tuffarci in un vicolo laterale e alla fine riusciamo a trovare un locale in Ferdowsi Square dove riposarci e mangiare, locale che diventerà poi il nostro ritrovo abituale per cena a Teheran.
La mattina del Norouz assistiamo al countdown per il Capodanno mentre consumiamo la classica colazione iraniana: pane, formaggio fresco, pomodori, cetrioli, olive, datteri, thè e caffè.
Per il pranzo siamo invitati a casa dei parenti iraniani di uno di noi, parenti stretti che non ha mai incontrato di persona. L'esperienza si rivela molto più interessante rispetto a quanto preventivato, non solo perché abbiamo gustato il miglior pranzo da quando siamo in Persia, ma soprattutto perché ci siamo immersi totalmente nel modo di vivere del posto e abbiamo potuto approfondire molti temi di cui normalmente gli Iraniani non parlano con turisti o sconosciuti.
Il 22 lo trascorriamo in giro per Teheran visitando il visitabile poiché, complice i festeggiamenti per il Capodanno, il Bazaar Grande e il Museo Nazionale del Gioiello sono chiusi.
Sinceramente il Museo Nazionale è tranquillamente evitabile mentre molto interessante è il Museo del Tappeto e assolutamente da non perdere è il Palazzo Golestan. Il Golestan era la residenza ufficiale della dinastia Qajar, situato di fronte al Bazaar è costituito da diversi edifici e palazzi. Il biglietto, se si visitano tutte le strutture arriva a circa 25 euro ma merita davvero i soldi spesi. Per risparmiare potete saltare alcuni edifici consultando attentamente la guida o qualche sito internet.
La città si gira tranquillamente a piedi e con la metro(il biglietto costa 15 centesimi di euro) ma se necessitate di taxi ne troverete uno ad ogni incrocio e costano molto poco purché trattiate bene prima il prezzo.
Con la metro arriviamo a Azadi Square.
L' Azadi Tower (Borj-e Azadi) è il simbolo di Teheran lasciato in eredità dallo Scià e un passaggio lo merita anche solo per osservare le centinaia di iraniani che si fermano qui per un picnic veloce o per un selfie. In serata decidiamo di salire in cima alla Milad Tower(Borj-e Milad), la sesta torre più alta del mondo nonché il tentativo del regime degli Ayatollah di costruire un monumento che sostituisca l'Azadi come simbolo della capitale nell'immaginario degli iraniani, tentativo se non fallito quantomeno non riuscito visto che sono entrambe rappresentate sui souvenir ricordo della città.




L'ingresso è carissimo, la vista niente di esaltante, sarebbe stata una delusione se non fosse per l'incontro con un amico di Facebook della mia compagna e con sua moglie. Riah e Azadeh ci invitano a casa loro per un thè e restiamo fino a tarda notte a parlare dell'Iran, dell'Italia, del Medio Oriente e di quanto quello che ci sembra tanto distante in realtà non lo sia.
Il 23, nostro ultimo giorno in terra di Persia, lo trascorriamo con Riah e la moglie in giro per il Tajrish Bazaar, visitiamo il Santuario Emamzadeh Saleh, mangiamo un fantastico Kebab in Tajrish Square e andiamo a prendere un thè sulle montagne dietro a Teheran, a Darband.
Nel tardo pomeriggio inizia a grandinare e decidiamo di tornare in albergo per preparare i bagagli visto che la sveglia sarà all'una del mattino.
Salutiamo Ria e Hari e ci tuffiamo per l'ultima volta nel traffico di Teheran sotto una pioggia battente e in 6 dentro un taxi. Svicoliamo tra un ingorgo e l'altro e rischiamo più di qualche volta un incontro ravvicinato con un altra macchina ma giungiamo sani e salvi in hotel.
Il transfer per l'aeroporto e il volo sono in perfetto orario. Alle 0415 si decolla per tornare in Italia. A bordo, data l'ora, sono uno dei pochi svegli.
Il mio pensiero corre a 20 giorni prima e ripenso alle espressioni perplesse dei colleghi a cui dicevamo dove saremmo andati, ai dubbi di alcuni amici, a qualche timore che all'ultimo aveva assalito anche me.
E sorrido.
Sorrido perché non mi sono sentito così "al sicuro" come questa volta.
Perché mai come prima d'ora tutti i libri, gli articoli e i post letti prima della partenza non sono stati in grado di darmi gli strumenti per essere pronto a vivere l'esperienza di viaggiare in questa porzione di mondo e conoscere gli abitanti che la abitano, lasciandomi piacevolmente stupito ad ogni nuovo incontro o scoperta.
Perché mi ritengo fortunato di aver avuto la possibilità di trascorrere del tempo con un popolo che accoglie lo straniero col calore e la disponibilità di chi vede nell'altro un'occasione di conoscenza e di scambio culturale. Un popolo che considera il viaggiatore un ospite gradito e benvenuto e non solo una fonte di guadagno e di sfruttamento ai fini turistici. Un popolo fiero della propria storia ed orgoglioso delle proprie tradizioni, gentile e disponibile ma anche tenace e coriaceo che merita di essere conosciuto e scoperto.
Mentre sono immerso nei miei pensieri le ruote del nostro Airbus toccano terra. Sbarco e riconsegna bagagli sono molto rapidi. Un saluto veloce con i miei amici-colleghi viaggiatori e via di corsa a prendere l'automobile per tentare di evitare gli ingorghi mattutini del G.R.A..
Alle 0700 siamo già a casa, disfiamo i bagagli ed io provo a dormire un po'.
Alle 23 mi aspetta il lavoro.

Khodâ hâfez Iran.


Non dirmi quanti anni hai, o quanto sei educato e colto, dimmi dove hai viaggiato e che cosa sai.
Maometto




Qualche precisazione:

1 - Le mie impressioni sull'Iran e sul popolo persiano derivano esclusivamente dagli incontri e dalle scoperte fatte durante il viaggio e non hanno nulla a che vedere con qualsiasi idea politica e/o religiosa. Sono perfettamente conscio delle contraddizioni interne alla Repubblica Islamica, delle problematiche relative ai diritti umani e della differente prospettiva del viaggiatore che, vivendo il Paese solo pochi giorni o qualche mese, non comprende fino in fondo la complessità e le criticità della società iraniana;

2 - Tra le tante fonti utilizzate per il viaggio c'è stata la Lonely Planet. Ebbene, mai come questa volta abbiamo riscontrato errori, imprecisioni ed indicazioni sbagliate. In particolare i prezzi degli ingressi sono completamente errati: sulla guida i prezzi sono un decimo rispetto a quelli reali.
Se andate in Iran tenete conto che ogni entrata costa dai 150.000 ai 300.000 rial, normalmente 200.000.
Abbiamo incontrato due italiani a cui uno di noi ha dovuto prestare dei soldi perché basandosi sui prezzi della Lonely avevano calcolato un budget e, a 7 giorni dal rientro, erano prossimi ad esaurire i fondi. Tenendo conto che al momento non si possono utilizzare carte bancomat, carte di credito e money transfer, nel dubbio, portate qualche solo in più.

3 - Prestate molta attenzione da chi comperate le schede SIM. Noi le abbiamo prese in aeroporto da un chiosco all'interno dell'aerostazione ma dopo una settimana hanno cessato di funzionare. Ancora non abbiamo compreso se fosse dovuto, come sosteneva il centro IranCell al quale ci siamo rivolti, ad un rivenditore "clandestino" che smerciava schede di dubbia provenienza o ad un uso "disinvolto" durante la navigazione(VPN) da noi effettuato.

4 - Ringrazio la mia compagna Graziana e i miei amici e compagni di viaggio Laura, Alessandro, Giancarlo e Gimmi per il tempo trascorso insieme, le esperienze vissute e la pazienza nel sopportarmi.

5 - Perdonate la lunghezza.

Buon Viaggio e buona luce.



Gianluca Bosca scrive di sè: "Fotografo dilettante, amante della natura e dei viaggi, mi piace approfondire gli aspetti culturali, storici e religiosi dei paesi che visito. Innamorato dell'Asia e dei territori remoti e desertici, i miei sogni nel cassetto sono: l'Etiopia, la Dancalia e la Papua Nuova Guinea."



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avataradmin
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:00

Splendido e affascinante reportage!

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:09

Fotografo dilettante, amante della natura e dei viaggi....

Ciao Gianluca, amante dei viaggi ok, ma fotografo dilettante non direi proprio!
Con le tue fotografie mi hai fatto viaggiare con te...impressionante.
Davvero i miei più sinceri complimenti!

Un abbraccio,
Felice

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:11

Concordo! Grazie davvero del contributo.

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:15

Fantastico! Complimenti

avatarsupporter
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:15

L'ho letto con tutta l'attenzione che merita e devo farti davvero i miei complimenti!
Ciao
Riccardo

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:20

Grazie davvero a tutti.

@eosman grazie mille dei complimenti ma di strada da fare ne ho ancora molta. Però mi impegno.

@Riccardo è un viaggio che consiglio a tutti. Da fare prima il prima.possibile visto il "clima" favorevole.

@juza grazie dello spazio offerto.

user55929
avatar
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:21

molto bravo

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:25

Grazie @Palborgg

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:27

Gran bel reportage!Mi ha fatto venire voglia di andarci!e tanti complimenti per le foto, sono meravigliose!

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:32

Grande! Già era nella lista delle prossime mete. Ora sale di livello.
Begli scatti.

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:32

Senza parole, complimenti. L'Iran è sulla mia lista da un pò spero di arrivarci, prima o poi! Grazie!!!

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:34

Ottimo reportage e direi belle Le foto
Complimenti davvero

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:35

@Matteo grazie molte. Asseconda la voglia e vai.

@Simone. Col volo giornaliero da Roma ormai è comodissimo andarci. Ed anche piuttosto economico.

@David. Quando andrai se ti occorreranno delle dritte a disposizione.

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:35

Grazie fefo!

avatarsupporter
inviato il 16 Maggio 2016 ore 14:45

Un ottimo reportage, molto ampio e ben realizzato, complimenti!
Ciao.





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