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ci siamo persi il momento decisivo


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avatarsenior
inviato il 08 Gennaio 2021 ore 14:59

Italo Calvino è stato con Pasolini uno dei piu' importanti intellettuali italiani del 900 .
Ora non voglio parlarvi della sua opera, ma di un articolo di una giornalista in cui il "pensatore " , come Pasolini , analizza il futuro.
Un futuro dove noi tutti siamo colpevoli di non riuscire piu' a "cristallizzare il momento fotografico " , schiavi di mezzi ( comandati da noi ovviamente ) che ci portano a fissare vite intere per poi non avere in mano nulla di realmente importante ( o realmente bello ).
un bell'articolo che vi invito a leggere.

thevision.com/cultura/italo-calvino-fotografare-ricordi/?fbclid=IwAR2Y

avatarjunior
inviato il 08 Gennaio 2021 ore 15:44

Grazie per la condivisione Last. Pare proprio che Calvino ci abbia visto giusto. Mi è piaciuto molto il passaggio "Narciso si innamorò non di se stesso, ma del suo riflesso". Credo che qui sia racchiuso tutto il succo.

Però la situazione non è sconfortante, a mio avviso. Oggi tutti fotografano, è vero, e tutti fotografano mediamente male (possiamo dirlo?), però tra la massa, ci sono sicuramente più talenti che in passato. È solo diventato più difficile scovarli. Ben venga il digitale, la diffusione e accessibilità del mezzo fotografico.

Per chi è attento solo al "riflesso", mi dispiace per lui.

user86925
avatar
inviato il 09 Gennaio 2021 ore 11:25

articolo molto piacevole da leggere che condivido pienamente...
in queste circostanze, sono costantemente alle prese con la tentazione di documentare ogni momento dell'esperienza, come se non facendolo l'esperienza stessa svanisse.
paradossalmente mi sono reso conto che nelle recite scolastiche dei bimbi o nello spegnimento delle candeline sulla torta di compleanno proprio quando ho smesso di registrare gli eventi mi sono sentito immerso nell' evento e così i ricordi di famiglia sono diventati più veri e meno stereotipati nelle foto dei ricordi di famiglia, addirittura ho visto genitori far spegnere più volte le stesse candeline per ottenere foto meno posate...

uno studio del 2018, pubblicato nel Journal of Experimental Social Psychology, ha rilevato che le persone che fotografano un'esperienza dimostrano in seguito di averne un ricordo meno intenso e dettagliato rispetto a chi la vive senza filtri.
sulla mia esperienza personale questo conferma le mie sensazioni, però devo dire che i miei primi ricordi di infanzia veramente nitidi risalgono alle medie, circa 10 anni, mentre per i ragazzini di oggi incredibilmente hanno ricordi precisi anche della loro più tenera età, probabilmente grazie a questa voracità di condivisione verso amici e parenti di vari video e foto registrati e mostrati continuamente, ecco che il ragazzino può fissare nella sua memoria gli attimi dei suoi primi passi attraverso una realtà registrata ma saranno una sottospecie dei ricordi veri perchè filtrati e condizionati da chi aveva registrato gli eventi...
sono dei ricordi riflessi da uno specchio, quello del mezzo di condivisione e paradossalmente un fratellino più piccolo potrebbe avere impresso nella sua memoria lo stesso identico ricordo dei primi passi del fratello maggiore anche se non era ancora nato....

avatarsenior
inviato il 25 Gennaio 2021 ore 18:56

FOTOGRAFEREMO TUTTO E SAREMO INCAPACI DI RICORDARE CIÒ CHE CONTA DAVVERO, PREDISSE CALVINO NEL 1970
DI ISABELLA DE SILVESTRO 28 SETTEMBRE 2020

Nel 1970 venne pubblicata da Einaudi la raccolta di racconti che Italo Calvino scrisse tra il 1949 e il 1967: Gli amori difficili. Pur non rientrando forse tra le opere più conosciute dell'autore è sicuramente una delle più interessanti per quanto riguarda la profondità della caratterizzazione psicologica dei personaggi. I protagonisti dei racconti sono infatti uomini e donne comuni a cui non accade nulla di straordinario. Sebbene i titoli dei racconti suggeriscano grandi avventure, si tratta piuttosto di esperienze interiori, vissute nell'intimo della loro individualità. La trama scarna lascia spazio all'indagine dei desideri e dei timori, dei piccoli successi e fallimenti di persone che potremmo essere noi e di relazioni che sono potenzialmente quelle che abbiamo tutti. È per mezzo di queste storie fatte di dettagli, di gesti accennati e contorte reti di pensieri, che Calvino introduce e indaga temi che, lungi dall'esaurirsi nel tempo che raccontano, ci sanno ancora parlare della società in cui tuttora viviamo.

Ne “L'avventura di un fotografo”, uno dei racconti più densi del volume, Antonino Paraggi, impiegato con la passione di “sdipanare il filo delle ragioni generali dai garbugli particolari”, osserva con astio e sospetto la mania dei suoi coetanei di fotografare ogni movimento dei figli, ogni posa delle mogli, ogni giornata passata in compagnia degli amici. “Basta che cominciate a dire di qualcosa: 'Ah che bello, bisognerebbe fotografarlo!' e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, e che quindi per vivere bisogna davvero fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia”. Non importa se Calvino scrive in un'epoca in cui la fotografia è ancora quella analogica delle pellicole che una volta impresse devono essere sviluppate, la sostanza del gesto è la stessa di oggi. Nello sguardo critico di Antonino Paraggi – che diventa tuttavia a sua volta fotografo ossessivo – si cela un'osservazione sorprendentemente attuale, che mette in luce una delle dinamiche psicologiche collettive più rilevanti del nostro tempo.

Chiunque abbia visitato il museo del Louvre, a Parigi, ha potuto notare quanto sia difficile avvicinarsi alla Gioconda, costantemente assediata da visitatori-fotografi alle prese con il disperato quanto caricaturale tentativo di escludere dall'inquadratura gli smartphone degli altri visitatori, per evitare la paradossale foto della foto. Allo stesso modo, la vista che si ha ai concerti è sempre più simile a una costellazione di luci iridescenti: schermi che scattano, riprendono, registrano, nel tentativo di portare a casa un pezzetto di ciò che è successo, e che si pensa resisterà al tempo. Io stessa, in queste circostanze, sono costantemente alle prese con la tentazione di documentare ogni momento dell'esperienza, come se non facendolo l'esperienza stessa svanisse. Ormai siamo unanimemente corrosi dal bisogno atavico di aprire la fotocamera del nostro cellulare e scattare una foto, di documentare tutto ciò che ci accade.

Questa necessità viene in parte ricondotta dalla psicologia moderna alle logiche dei social network: fotografiamo un evento con il fine di condividerlo con chi ci segue e lo condividiamo con lo scopo narcisistico di mostrare una vita bella, appetibile, piena di eventi eccezionali e di esperienze invidiabili. Se Narciso si innamorò, non già di se stesso, ma del suo riflesso, noi ci rispecchiamo sulla superficie ambigua di Instagram. Le foto sono diventate sicuramente un mezzo necessario per narrarsi, permettendo di proiettare un'immagine mediata dall'idea che ognuno vuole dare di sé stesso. Ridurre però l'ossessione a fotografare ogni momento della propria vita a un vezzo egoriferito non sarebbe del tutto onesto e rischierebbe di demonizzare una pratica che apparentemente ha a che vedere con un'esigenza umana tra le più essenziali: l'intima e sempre più impellente necessità di ricordare.

Qualche tempo fa mi è capitato di dover resettare il mio cellulare senza preavviso e di perdere quindi tutte le foto che avevo scattato negli ultimi anni. La prima cosa che ho pensato, presa dallo sconforto, è stata: “Ho perso tantissimi ricordi”. Non è un caso, infatti, che il luogo virtuale in cui i nostri smartphone immagazzinano le foto e i documenti si chiami proprio “memoria”. E a questa memoria fatta di codici che non capiamo e a cui tuttavia affidiamo le nostre foto attribuiamo la responsabilità di ricordarci: che cosa abbiamo fatto, che persone ci hanno accompagnati e, in ultima analisi, chi siamo. La fotografia, dunque, diventa in primo luogo l'immagine stessa che abbiamo di noi.

A proposito dei cosiddetti “fotografi della domenica”, ossia tutti coloro che non fotografano per mestiere, ma piuttosto per diletto – ovvero ciò che tutti noi siamo diventati da qualche anno a questa parte – Calvino scrive: “Solo quando hanno le foto sotto gli occhi sembrano prendere tangibile possesso della giornata trascorsa, solo allora quel torrente alpino, quella mossa del bambino col secchiello, quel riflesso di sole sulle gambe della moglie acquistano l'irrevocabilità di ciò che è stato e non può esser più messo in dubbio. Il resto anneghi pure nell'ombra insicura del ricordo”.

A questo proposito, però, uno studio del 2018, pubblicato nel Journal of Experimental Social Psychology, ha rilevato che le persone che fotografano un'esperienza dimostrano in seguito di averne un ricordo meno intenso e dettagliato rispetto a chi la vive senza filtri. Se infatti la foto ci illude di aver catturato l'esperienza nella sua totalità, ciò che quella invece è riuscita a catturare non è che una parte infinitesimale di ciò che compone l'intera esperienza. L'immagine sullo schermo restituisce un solo lato di un poliedro le cui facce tendono all'infinito. “Non è soltanto una scelta fotografica, la vostra; è una scelta di vita, che vi porta a escludere i contrasti drammatici, i nodi delle contraddizioni, le grandi tensioni della volontà, della passione, dell'avversione”, continua Calvino. E ancora, quando Antonino Paraggi, il protagonista ormai avvinto dalla sua ossessione, inizia a fotografare costantemente la sua compagna Bice, si scopre sempre insoddisfatto del risultato: “C'erano molte fotografie di Bice possibili e molte Bice impossibili da fotografare, ma quello che lui cercava era la fotografia unica che contenesse le une e le altre”. E questo può farlo soltanto la vita.

La fotografia, come suggerisce Calvino, permette di cristallizzare momenti che altrimenti rimarrebbero soggetti alla fragilità e all'insicurezza ombrosa dei ricordi. La foto sembra rendere eterno ciò che invece sarebbe oggetto di rimaneggiamenti successivi o dell'oblio. La psicologia moderna sostiene che i ricordi svolgano un ruolo fondamentale nel plasmare la nostra identità, e le immagini, così come le emozioni, abbiano un ruolo fondamentale nella memoria. “È probabile [però] che troppe immagini ci portino a ricordare il passato in modo fisso, bloccando altri ricordi”, scrive Giuliana Mazzoni, docente di psicologia.

L'impossibilità di fotografare tutte le Bice possibili, e la frustrazione che questa impossibilità comporta, pone quindi una questione fondamentale: i ricordi appartengono al tempo e come il tempo sfuggono, gravitano, si moltiplicano in continuazione. La memoria, ci ricorda Calvino, non è un registratore fedele della realtà e dell'identità, ma è una sua interpretazione sempre in evoluzione, sottoposta a trasformazioni continue. “Ormai ti ho persa”, dice Antonino alla sua Bice mentre la fotografa, e qui davvero sembra aver letto i risultati dei moderni studi sul tema. “La realtà fotografata assume subito un carattere nostalgico, di gioia fuggita sull'alta del tempo. […] La vita che vivete per fotografarla è già in partenza commemorazione di sé stessa”. E se la commemorazione è celebrativa, solenne, univoca, la memoria deve essere labile, incerta, sfuggente. Calvino lo aveva capito, e forse oggi dovremmo ascoltarlo, per ritrovare un contatto immediato con il mondo di immagini libere che ci circondano e con la percezione che abbiamo di noi stessi immersi in quel flusso.


Molto interessante, grazie della condivisione.

avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2021 ore 4:38

"Narciso si innamorò non di se stesso, ma del suo riflesso


E il suo riflesso cosa rifletteva?

Ovviamente una gran gnocca, che era alle sue spalle.

Ma la cronaca tramandataci non lo riportò, e fu così che per la memoria dei posteri... Destino beffardo, passerà per omosessuale. MrGreen


P.S. - Trattasi di scelta alternativa. Non me la sentivo di scrivere il famigerato "Seguo"... per ritrovarlo nelle notifiche e leggermi con calma il link calviniano prossimamente. Sorriso

avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2021 ore 8:48

Io, inconsapevolmente, ho seguito questo principio per almeno 30 anni di vita.
Il motto era preferisco essere il soggetto ripreso piuttosto che quello che riprende.
Vivere l'azione invece che fotografarla.

Percepivo il rischio della fotografia.
E' il rischio, se si fotografa in modo acefalo e sistematico, di divenire dei "recorder".
Fotografare tutto senza selezione ci trasforma evidentemente in videocamere ambulanti.

Meccanismi pavlovianamente attrezzati per scattare ogni momento topico.

Si tratta anche di un meccanismo di difesa personale. Se non ho il coraggio di partecipare alla mischia, di entrare direttamente nell'evento, posso filtrare il tutto attraverso uno schermo di protezione.
In fondo con un aocchiale affumicato posso osservare anche il sole, senza ferirmi.


Pero'.. oggi la vedo in modo diametralmente opposto.
La fotografia, sia che tu sia soggetto o fotografo, traccia un percorso. Lega delle balise ad ogni episodio vissuto. Costruisce un percorso ripercorribile che puo' dare un senso (o toglierlo) ad un periodo della vita.

Penso dipenda dall'eta'.

Sono felice di non aver perso tempo a fotografare la vita che ho vissuto e sono felice, ora che fatico ad essere al centro dell'azione (per ovvi motivi di eta'), di accontentarmi di riprendere gli eventi da lontno.

avatarsenior
inviato il 28 Gennaio 2021 ore 0:08

Io, purtroppo, convivo con una memoria autobiografica labilissima, che mi porta a confondere e mischiare eventi anche lontani nel tempo, che mi impedisce di avere ricordi precisi della vita dei miei cari e addirittura si inventa fatti, eventi mai accaduti, unisce ricordi di eventi indipendenti. Non trattengo i volti delle persone, per non parlare dei nomi. Ultimamente non ricordo più il nome delle cose e mi esprimo per perifrasi. Non a caso ho sposato una donna con una memoria prodigiosa.
Ho scoperto che fotografando tutto, qualcosa si salva e riesco a restituire un senso al mio passato.

avatarsenior
inviato il 28 Gennaio 2021 ore 9:04

tutti noi inventiamo fatti...purtroppo.
Crediamo ad eventi mai successi. Capita anche di avere memoria di episodi, che in realta' non sono mai accaduti.

A volte si sogna ed il sogno e' piu' reale del vero.
Questo piu' o meno sucede in misura minore o maggiore a tutti noi.


Certo e' che e' un grosso impegno cercare di condensare il passato in un istante. Dovrebbe risultarne un lavoro continuo di selezione e scarto. per poi mantenere solo l'immagine perfetta.

user207512
avatar
inviato il 28 Gennaio 2021 ore 9:41

Avevo letto l'articolo giorni fa e mi trovo sostanzialmente d'accordo. A proposito del fissare i ricordi, spesso motivo addotto dalla maggior parte di noi per giustificare la passione fotografica, ho fatto un esperimento personale: riguardando le foto che scatto in famiglia spesso non riesco a collegare i ricordi di quel momento, proprio perché intento a fotografare mi sono perso la realtà del momento e le foto restano istanti sospesi in un vuoto che non riesco a riempire. Al contrario ricordo benissimo eventi in cui, per un motivo o per l'altro, non ho fotografato.

user86925
avatar
inviato il 28 Gennaio 2021 ore 23:46

riguardando le foto che scatto in famiglia spesso non riesco a collegare i ricordi di quel momento, proprio perché intento a fotografare mi sono perso la realtà del momento e le foto restano istanti sospesi in un vuoto che non riesco a riempire. Al contrario ricordo benissimo eventi in cui, per un motivo o per l'altro, non ho fotografato.


già...bisognerebbe imparare a fotografare gli eventi di cui non si vuole mantenere un ricordo MrGreen

user207512
avatar
inviato il 29 Gennaio 2021 ore 7:02

MrGreenMrGreen

avatarsenior
inviato il 29 Gennaio 2021 ore 7:07

www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&show=last&t=3829267#22275028

avatarsenior
inviato il 03 Febbraio 2021 ore 19:19

un articolo di una giornalista

In effetti l'articolo offre molti spunti interessanti.

C'è il tema del "post-narcisismo": io esisto ed ho realmente vissuto un'esperienza solo se una foto mi colloca in un certo luogo in un certo momento.

C'è il timore di "dimenticare": cioè l'idea che la registrazione meccanica di un momento sia superiore alla normale elaborazione emotiva del ricordo.

C'è la critica alla motivazione del fotografo. Che fotografa per i motivi suddetti oppure perché vuole dirci che in un certo luogo in un certo momento è avvenuto qualcosa di significativo?

C'è la "tragicità" (in senso greco) dell'atto di fotografare: quando premo lo scatto, congelo un momento che ormai appartiene irrimediabilmente al passato. Quello che vedo nella foto è perduto per sempre....

C'è materiale per discutere per anni.... Cool

avatarsenior
inviato il 03 Febbraio 2021 ore 19:45

una osservazione sempre molto intelligente Ale Z

avatarsenior
inviato il 03 Febbraio 2021 ore 20:04

Sorriso

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