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Ciao Gianka non vorrai venire a trovarmi,attraversando l`oceano , su quella barchetta ? Non ce la farai mai. Molto bella la musica proposta, complimenti
Ciao Gianka.Il pezzo che hai proposto e bello,ci mancherebbe altro,visto da chi lo ho ideato.Devo pero dire che le magie dei veri Pink sono lontane,almeno a MIO personalissimo parere. Somo un po come i vari pezzi fatii da ex Beatles singolarmente,belli,per carità (vedi Imagine) ma lontani dallo stile iniziale. Roger Waters fu accusato di essere diventato un 'accentratore ed imporre il suo stile.Qui vediamo,ma non solo qui, lo stile esclusivo di Gilmore. Averne,dirai,e ti darò ragione,ma io sono ormai un vecchio,e magari patetico nostalgico,ma amo altri sound. Chi ha conosciuto i Pink solo dopo The final cut ha un gusto diverso da chi li ha visti esordire con The piper at the gates of down.
Amo i Pink Floyd più della fotografia quindi mi permetto di sottoporvi il copia incolla di una mini recensione che ho fatto per una rivista con cui collaboro. Graditi commenti e punti di vista, il mondo floydiano è fatto di una varietà meravigliosa
I PINK FLOYD IN TRE DISCHI Il percorso classico del fan floydiano inizia con lo scoprire qualche pezzo arcinoto, generalmente da “The Wall” o “Whish you were here”, per poi scoprire i grandi album degli anni '70, la storia del gruppo e delle liti fra i membri e, infine gli album dell'era Gilmour. Col tempo, poi, c'è chi si accosta ai dischi pre-1973, alla pazzia di Barrett e al mondo stralunato dell'epoca psichedelica. Quando gli anni di ascolto cominciano ad accumularsi (per me, sono da poco passati i 30 con frequenza pressoché giornaliera) ogni nota ed ogni silenzio sono ormai talmente conosciuti e si è cosi tanto compenetrati nella musica da intravedere le trame di un filo comune che percorre tutta la cinquantennale storia di una delle più grandi rock band di sempre, un filo che resiste alle “ere” del gruppo e che rimane nonostante tutta la travagliata storia. Ma se volessimo riassumere i capisaldi dell'esperienza Pink Floyd in tre dischi? Facile dire “The dark side of the moon”, “Wish you were here” e “The wall”, oppure citare gli album fino al 1970. Invece, vorrei proporre un percorso alternativo: tre dischi che mettano in luce tre aspetti fondamentali della band: la forma musicale, la significatività dei testi e le relazioni umane conflittuali che hanno caratterizzato la loro storia; questi sono poi, alla fine, gli argomenti su cui si dibatte nei fora o nelle riviste di settore.
La musica
I Pink Floyd degli esordi potrebbero sembrare dei musicisti improvvisati in grado di produrre solamente pezzi dissonanti e poco digeribili: in parte è vero ma il primo periodo di attività da subito dopo la dipartita di Barrett fino all'uscita di “Meddle” (1971), se visto nel suo insieme, appare come una lunga (e fruttuosa) scalata verso la perfezione sonora e musicale, con un sound sempre più definito ed inimitabile e fonte inesauribile ancora oggi di ispirazione. In studio i Floyd affinano le capacità compositive e, allo stesso tempo, le competenze in termini di produzione e registrazione dei dischi ma è dal vivo che i pezzi, espansi, rimaneggiati e portati a durate inconsuete, assumono la loro dimensione completa ed offrono la migliore esperienza di ascolto. Il primo disco, chiamato a rappresentare il picco della creatività musicale non può quindi che essere la registrazione di un concerto, anche se molto particolare: “Live At Pompeii” (1972), “colonna sonora” dell'omonimo film-documentario da sempre reperibile anche come audio nei vari bootleg e ora anche in versione ufficiale nel box “Early years”. Ascoltando i pezzi del disco, anche senza guardare il video, lasciamoci trasportare dai suoni eterei ed espansi in tutte le direzioni di A saucerful of secrets e Echoes, che delineano indelebilmente il sound del gruppo e regalano all'ascoltatore una esperienza di immersione sonora a cui le stesse tracce in studio riescono difficilmente ad avvicinarsi; lo stesso vale per gli altri pezzi contenuti nella soundtrack, in primis Careful with that axe, Eugene, qui registrata in quella che può ritenersi la sua forma definitiva. La musica in questo disco è la padrona assoluta, ci guida dalle origini del gruppo fino alla sua massima espressione sonora (Echoes, appunto) permettendoci di comprendere che questo è il documento che sancisce la forma definitiva del Floyd sound. Gli album successivi seguiranno questo solco sonoro, magari esplorando deviazioni anche estreme ma rimanendo, tuttavia, ancorati alla stessa essenza. “Live at Pompeii”, inoltre, esce in un momento che segna un importante spartiacque nella storia del gruppo con l'affermarsi di Roger Waters quale principale guida creativa della band.
I testi
Ciò che è riconosciuto ai Floyd dell'era Waters è senza dubbio la profondità delle liriche e dei temi affrontati, frutto di una mente tormentata e arrabbiata che ha partorito i grandi album degli anni '70 e proprio in questo periodo troviamo il secondo disco, “Animals” (1977): generalmente è il meno considerato fra i quattro grandi concept album del periodo ma ritengo sia quello che più di tutti rappresenta il picco del lirismo e della capacità
di affrontare tematiche sociali per mezzo della forma musicale. Un album che in un attimo toglie ogni potenza e spazza via la protesta del punk, nata anche con le magliette “Io odio i Pink Floyd”: ecco, i Pink Floyd possono odiare molto di più, con i loro testi, di qualunque punk band urlante e lo possono fare mantenendo la qualità musicale ai massimi livelli. Qualche magazine li ribattezza addirittura Punk Floyd. In “Animals” troviamo la veemenza del pensiero di Waters che ci prepara una critica sociale potente e immaginifica, i cui echi si troveranno in tutta la produzione successiva del gruppo e dei singoli. I messaggi e il lavoro visuale che li accompagna sono azzeccati a tal punto che persino Algie, il famoso maiale gonfiabile, che ancora oggi si aggira sulle teste degli spettatori ai concerti di Waters, fu oggetto di aspra disputa legale. E la musica non è da meno, benché ad un ascolto frettoloso possa apparire più scarna rispetto a tutto il resto della produzione. Nella realtà, è splendidamente commisurata alle parole.
I conflitti
Dopo “Animals” arriveranno ancora grandi successi, qualche passo incerto, le liti infinite, le rinascite: alla fine di questa lunga storia ecco il terzo album, “The Endless River” (2014), un disco ancora oggi poco capito forse, e soprattutto, per partito preso. Ma dentro queste tracce troviamo il riassunto di tutta la storia della band: troviamo la musica, perché abilmente incastonate nello scorrere dell'album ci sono tutti i passaggi sonori caratteristici dei Floyd da Barrett e “The Piper at the gates of dawn” fino a “The division bell”, nessuno escluso tranne forse proprio “Animals”. Ma non c'è solo la musica: ci sono anche le parole, poche, di Louder than words che in breve è con semplicità ci raccontano la storia dei Floyd, come è andata fra di loro, dove ha funzionato e dove invece ha fallito. E c'è il lato romantico, forse inaspettato da persone tanto litigiose fra loro ma che, leggendo le interviste rilasciate negli anni, si poteva comunque cogliere e qui esplicitato come un omaggio a Richard Wright quale vero collante musicale del gruppo. “The Endless River” è album da ascoltare più volte in modo da riuscire a cogliere i molti richiami al passato che contiene, possibilmente liberi da atteggiamenti di fanatismo verso l'uno e l'altro membro della band, e senza dubbio si arriverà a comprendere come questo disco sia qualcosa ben di più di un semplice episodio commerciale all'interno di una discografia.
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