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L'ultimo Madagascar


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L'ultimo Madagascar, testo e foto by Marro. Pubblicato il 30 Marzo 2020; 13 risposte, 1450 visite.


Credo di non avere scuse Giovane Vecchio. Non posso dire di non avere il tempo per scrivere il classico racconto. Il tempo e' una delle poche cose che adesso non mi manca e mai avrei pensato di dire una frase del genere. Già prima di questa situazione sapevo che con molta probabilità questo sarebbe stato, almeno per un pò, l'ultimo viaggio con gli stessi amici che tu ben conosci. Più sono andato avanti e più e' stato difficile provare a descrivere un Paese in base alle nostre esperienze e questo perche' ai pensieri di un viaggio si mischiano i ricordi e soprattutto gli apprendimenti tardivi di quelli precedenti. Siamo come degli ipotetici Karate Kid che diamo la cera e togliamo la cera, ma solo con il tempo capiamo perche'. Credo che se un viaggio fosse un oggetto sarebbe una matrioska e se fosse una figura retorica una sineddoche. Questo viaggio quindi sarà presente in tutti quelli che farò, ma e' stato anche tutti i viaggi che ho fatto. E come le altre volte, questa non ha fatto eccezione: la felicità non l'ho trovata solo nella meta, ma anche nel cammino. Ti racconterò allora Giovane Vecchio, che questo viaggio e' iniziato in solitaria. Per un errore bianco dei miei compagni ho passato una notte all'aeroporto di Nairobi. Ho scritto, anche lì, perche' di tempo ne avevo. Fantasticavo storie su chi mi era vicino, pensavo a Bussola, alla donna in Tanzania che non vedeva. Pensavo alla donna che aveva tre paia di occhiali: uno per il capo, uno per il mondo e l'ultimo per me. Una volta arrivato, i successivi spostamenti sono stati intervallati da pochi ma importanti momenti: una doccia calda, un filetto squisito mangiato con una coperta addosso, una scalata con l'imbracatura, un pranzo in compagnia di una mangusta, l'attraversamento di un fiume tirati da una fune.

In questa prima parte di viaggio al nostro fianco c'era Robespierre, con tutta la sua esuberanza. Robespierre e' un ragazzo simpatico che ama le donne scure, le birre bionde e ha una strana teoria. Per Andare da A(Morondawa) a B(Tulear) secondo lui ci vogliono tre giorni passando per C(Manja), ma se gli chiedi quanto ci vuole da A a B ti risponderà che basta un giorno, e un ulteriore giorno servirà poi da B per arrivare a C . Io mi perdevo nei suoi discorsi e non capivo dove andava a finire quel giro terrestre, ma Robespierre era fermo nella sua posizione e l'ultima birra era lontana. Ci mettemmo d'accordo con lui con un misto di timore e curiosità. Senza nemmeno sapere come, riposammo in un posto con la piscina bordo stanza, che per i nostri standard e' una cosa mai vista. L'indomani però Robespierre non c'era': la rivoluzione aveva fatto il suo corso. Avrebbe guidato la jeep nei due (o tre?) giorni un tizio che avrebbe potuto essere suo padre. Situazioni del genere in Africa sono la regola, o forse sono la nostra regola, comunque non avendo scelta accettammo tutti i cambi del caso. Caro Giovane vecchio, il nostro nuovo cicerone lasciava volentieri l'asfalto agli autisti di poca fantasia. Passava per strade sabbiose e fiumi ad un'andatura che ci dava speranza. Ci pensò una foratura a deprimerci, ma lui, tranquillo, continuò per una dozzina di metri prima di trovare un pò di riparo all'ombra di un albero e accendersi una sigaretta. Questi sono i momenti dove pensi che Kapuscinski può riposare tranquillo. L'Africa non e' nostra, che contiamo chilometri e minuti, ma di chi sa aspettare, rilassarsi, passare poi all'azione e arrivare dove i canti riempiono la chiesa e i galli da combattimento il piazzale del commissariato.

La notte, invece, non portò il giorno di Robespierre; anzi molto prima del previsto con l'aiuto di alcuni Zebù, che in questo viaggio si sono fatti cibo e mezzi di trasporto per noi, arriviamo su una spiaggia, bella e poco contaminata. In una pentola scaldavamo l'acqua per le nostre docce e su una barca inseguivamo un piccolo grande sogno Messicano.




Nise invece inseguiva il suo aereo che partiva rispetto al nostro qualche giorno prima. Con il tempo abbiamo smesso di partire o ritornare tutti insieme. E' successo perche' siamo cresciuti e cambiati e perche' sono cambiate le nostre responsabilita', ma abbiamo saputo adattarci, come spesso hanno fatto le persone al nostro fianco, e questo non ci ha fatto perdere. Allora Giovane vecchio ad un certo punto, dopo il relax del mare, abbiamo ripreso a camminare, vedere lemuri e cercare i camaleonti di notte. Poi si e' fatto tardi anche per me, Macca e Piva. I trecento chilometri e i sei giri di lancetta che separano Fianarantsoa e Ambositra, sono per me tra i più lunghi e intensi dell'intero viaggio. Siamo in un mezzo pubblico e, in pieno stile Africano, siamo quasi il doppio di quelli che dovremmo essere. Siamo stanchi perche' abbiamo già un altro spostamento alle spalle. Siamo stretti e ogni curva o fermata modificano il nostro assetto trovato con molta determinazione. I finestrini non si chiudono e arriva un vento gelido. E' incredibile se penso a quante volte in Africa ho sentito freddo. Il nostro mezzo e' lentissimo, si sta facendo tardi, c'e' traffico. Inganniamo il tempo innescando il conto alla rovescia grazie all'aiuto delle pietre che ai lati della strada segnano il chilometraggio. Arriviamo tardi ad Ambositra, senza qualcuno o qualcosa che ci aspetti. Troviamo non senza difficoltà un posto per ricaricare corpo e cellulare. Bussola e' in pensiero, mi dispiace e la chiamo. Chiedo al cameriere se ci può aiutare in qualche modo perche' noi il giorno successivo vorremmo fare un trekking di due giorni con un pernottamento in un villaggio Zafimaniry. Che non e' proprio dietro l'angolo ad essere onesti. Sarebbe come chiedere ad un cameriere di un ristorante di Roma, alle dieci di sera, se può aiutarci per una lezione di surf all'alba del giorno dopo a Fregene.
Ecco, Giovane Vecchio, questi sono i momenti africani che preferisco: e' vero che il facile diventa difficile in questa parte di globo, ma e' anche vero il contrario. I piatti, e la nostra guida del giorno successivo (George) arrivano insieme. Le istruzioni sono chiare: sveglia all'alba, spostamento in macchina per un paio di ore, quindici km di trekking, pernottamento in un villaggio sperduto in mezzo alle montagne. Il percorso non e' difficile, ma ad una salita segue sempre una discesa e viceversa. Piva si infastidisce, perche' per George ogni salita e' l'ultima, senza esserlo veramente. E' il suo modo per non farci mollare, e forse oggi lo capisco più di allora. Quando abbiamo smesso di crederci veramente percorriamo l'ultima salita che ci porta a Sakaivo, il villaggio che ci ospiterà per una notte. Siamo i "vasah", gli stranieri. I bambini ce lo urlano dietro e scappano quando noi proviamo a fargli le foto; più proviamo a scattare più scappano. Ad un certo punto, anche se rinunciamo a fare foto scappano lo stesso. Poi una bambina in età d'asilo mi si avvicina, nota che ho la manica della felpa piena di semi. Era la stessa bambina che sorrideva, mi diceva "vasah" e poi scappava. Ora mi chiede solo di fermarmi, e ad uno ad uno mi leva tutti i semi, mentre io inizio a sciogliermi.



In ogni paese che abbiamo visitato abbiamo imparato una parola riferita a noi. In Tanzania eravamo i "muzungu". In generale in quelle parole, anche etimologicamente, c'e' più di "uomo bianco" o "straniero". C'e' sì paura e disprezzo, ma anche un pò di stupore e riverenza. Il programma della sera e' portare i saluti al capo villaggio, una doccia all'aperto con temperature intorno agli otto gradi, una cena in una stanza dove facciamo fatica a stare in piedi. Siamo irraggiungibili, in tutti i sensi, e forse non lo avevamo specificato bene a casa. George ci "tranquilizza": il mattino seguente, fatti in un amen 600 metri di dislivello si arriva sul cucuzzolo di una montagna, unico punto della zona in cui prende il cellulare. Lì potremmo mandare un messaggio, prima di percorrere un'altra decina di chilometri che ci portino dove possiamo trovare una macchina. Quando cominciamo a camminare, caro Giovane Vecchio, sappiamo subito cosa ci aspetta. Siamo stanchi per il giorno precedente, ma anche per gli altri, abbiamo uno zaino sulle spalle con un cambio per la notte e la macchina fotografica, che sembra pesare di più ad ogni viaggio. In questi momenti però, come sul bus per Ambositra, sento meno la fatica se penso. Ho pensato che non si può fare questa salita scalzi, ma che molti ci riescono. Ho pensato che la cena del giorno precedente era una delle peggiori di tutto il viaggio. Ho pensato che quando sarei tornato in Italia avrei migliorato il mio inglese. Ho pensato che avrei letto e scritto di più. Ho pensato ai Lemuri, alle Balene, al Fossa che non abbiamo visto. Ho pensato ai viaggi scomodi. Ho pensato alla notte da solo all'aeroporto . Ho pensato a Robespierre, e al suo uno più uno che dà tre. Poi sono andato più lontano con i pensieri e sono arrivato ai viaggi precedenti, come ti dicevo all'inizio. Ho pensato allora alla notte sulla baia di Halong, in Vietnam; tutti con una birra in mano davanti ad un panorama fantastico. Ho pensato che parlammo molto e bene ma non ricordo di cosa. Ho pensato a quando in Mali dormivamo la notte sui tetti delle case di fango. Ho pensato agli hot dog in piazza Majakovskij e a quel codice da inserire per rientrare in stanza. Ho pensato a Chiozza che sbatte i soldi sul bancone per salire sulla trombonave. Ho pensato a Felicia che ci faceva fare colazione con le foglie di coca. Ho pensato a Jamal, che ci ha fatto una foto a 5400 metri sul livello del mare e ci ha aiutato a combattere il mal di montagna. Ho pensato ad un ragazzo che a Copenaghen guidava una bici che se giravi a destra andava a sinistra e viceversa e al suo "mantra": "It's very very hard, but possible." Ho pensato ad Adi, che raccolto dalla strada, ci portò nella giungla a bere Arak e a gridare alle scimmie. Ho pensato a "Il Merda", il più amato e odiato di tutti i viaggi. Ho pensato a Mike, l'uomo che viveva dall'altra parte del fiume e che si era innamorato dall'altra parte del mondo. Ho pensato anche al Capitano Martin, che voleva appoggiare un progetto impossibile e alla conseguente sbornia serale. Ho pensato a Wilmar, che spaventò un branco di una cinquantina di cinghiali con il solo intento di farceli ammirare più da vicino. Ho pensato a Negasi, che invece che punirci per un ritardo di un giorno, ci ha regalato un'esperienza mistica. Ho pensato alle corse in macchina a Tblisi e tutto quello che ne e' conseguito. Poi ho cominciato a pensare ad altro, a quello che succedeva nella mia città, a quello che succedeva a lavoro. Ho pensato a tutto quello che era successo negli anni. Ho pensato al terremoto. Ho fatto pensieri sconnessi ed altri molto lineari. Mi ricordo, in particolar modo, di aver pensato che qualcuno può dirti che hai le ali solo se poi diventa un aereo, una pista d'atterraggio o di decollo. Siamo partiti da studenti, da single, da fidanzati, da precari, da lavoratori, da turisti e forse da viaggiatori. Forse siamo gli stessi coglioni di prima o forse no. Abbiamo fatto, nelle nostre vite, ognuno i propri errori; qualcuno piccolo, altri meno, qualcun altro nato da una serie di casuali incastri sbagliati. Però non avrei voluto una compagnia diversa e sono contento di aver fatto tutte queste esperienze. Sono contento, giovane Vecchio, se e' ancora lì a leggere, che in qualche modo ci ha sempre accompagnato. Poi e' solo successo che sono arrivato in vetta. Ho controllato il cellulare e in effetti prendeva. Ho mandato un messaggio a Bussola. Per dirle quello che spesso non le dico, ma che spero ogni giorno, a mio modo di fare. Ho guardato il panorama, ho fatto qualche foto e poi, ho semplicemente smesso di pensare...





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avatarjunior
inviato il 31 Marzo 2020 ore 5:40

Avrei letto ancora per ore i tuoi pensieri.. complimenti!

avatarsenior
inviato il 31 Marzo 2020 ore 8:26

Racconto ed immagini stupende.
Grazie di averlo condiviso.
Luigi

avatarsupporter
inviato il 31 Marzo 2020 ore 8:53

Nichilismo concentrato. Sembra di leggere Hemingway.Triste

avatarsenior
inviato il 31 Marzo 2020 ore 9:24

Grazie per il racconto e per le fotografie.

avatarsupporter
inviato il 31 Marzo 2020 ore 9:51

Grazie.
Ciao.
Mauro.

avatarsenior
inviato il 31 Marzo 2020 ore 16:48

Il Tuo raccontare la bellezza e la semplicità di queste persone e luoghi,mi rapisce e mi affascina molto
chi viaggia ,vive più volte..
GRAZIE

avatarsenior
inviato il 01 Aprile 2020 ore 11:41

Un racconto degno di Verne con Autentiche fotografie; questo è il vero viaggio. Complimenti.
Saluti

user198399
avatar
inviato il 21 Aprile 2020 ore 14:18

Quando vorresti continuare a leggere per ore..
Ma poi alla fine arrivi al punto e c'e l'epilogo..
Confesso..non saprei dire se ho apprezzato più il racconto o le stupende immagini a testimonianza del viaggio..in fondo un viaggio non è solo un viaggio...è portare qualcosa di noi e raccogliere qualcosa che non ci appartiene...ma che assorbiamo come fossimo una spugna..
Attraverso la tua splendida, articolata, sentita esposizione, si percepiscono gli odori, i suoni, le difficoltà le emozioni ...unico!
Concludo,anche se vorrei dilungarmi, con una citazione di
Josep KoudelKa " io viaggio per non diventare cieco "...
Questa ,forse, la sintesi di un viaggio..


avatarjunior
inviato il 22 Aprile 2020 ore 8:19

Grazie Mille Vanessa. Apprezzo molto il tuo commento. Non conoscevo la citazione ma la sento mia. Grazie per aver avuto la pazienza di leggere un racconto cosi lungo

user198399
avatar
inviato il 22 Aprile 2020 ore 9:43

Grazie a te Marro, per questo bellissimo viaggio "virtuale"!

avatarsenior
inviato il 02 Maggio 2020 ore 18:24

C'è l'essenza dell'esistere, nelle tue parole. Questo è " viaggio", trovarsi ,senza sapere come, dove e quando. Accettare quel che c'è quando c'è. Non sarà un caso, vedere in luoghi diversi e distanti tra loro, le persone vivere in modi simili senza ansia ma con "normale" accettazione, accucciate lungo la strada in attesa di un qualche mezzo per andare, semplicemente andare, senza tempo. Per questo e per tutto il resto mi piacciono i tuoi racconti e le parole con cui racconti, anch'esse fanno viaggiare: la cosa che più amo fare, insieme ad una lunga serie di altre (-;
Sono felice di averti trovato.

avatarjunior
inviato il 13 Maggio 2020 ore 8:57

Grazie mille Errekappa e scusa il ritardo nella risposta. Erano un pò di giorni che non rientravo da queste parti visto che ho ricominciato a lavorare. Ho apprezzato moltissimo il tuo intervento...

avatarsupporter
inviato il 13 Maggio 2020 ore 10:09

Devo farti i complimenti per il bell'articolo e per le splendide foto, quella del bambino ripreso dal basso èmeravigliosa





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