Il Deserto vuole così
Il Deserto vuole così, testo e foto by
Paola61. Pubblicato il 08 Settembre 2011; 3 risposte, 7834 visite.

E' l'ultima sera nel deserto, desideriamo festeggiare questi momenti indimenticabili, ridiamo, seduti per terra sui cuscini, mentre le macchine ci proteggono dalla tempesta di sabbia in corso. Il tempo avverso ci avvicina e rende più emozionanti gli ultimi momenti. Di fianco a noi i tuareg sono raccolti intorno al fuoco e chiacchierano, probabilmente delle loro famiglie, che rivedranno presto, ogni tanto vengono a vedere come stiamo. Dispiaciuti di separarci, chiediamo loro di raggiungerci sui cuscini per l'ultima sera, ma il capo tuareg ci risponde invitandoci a raggiungerli intorno al fuoco, perché " il Deserto vuole così". Desideravamo immergerci completamente nella bellezza della natura, addormentarci guardando le stelle e fare correre lo sguardo fino all'infinito. Allora nell'aprile del 2010 decidemmo di intraprendere questo viaggio in Libia per camminare nel deserto del Jebel Acacus e attraversare l'Ideham Murzuq, ovviamente in macchina, con intervalli a piedi.
Prima di addentrarci nell'Acacus visitiamo i laghi Mandara e Umm el Maa; sono laghi salati circondati dal deserto e si stanno progressivamente asciugando. I colori sono affascinanti, la sabbia rossiccia del deserto è interrotta da palme, mimose, tamerici, canne e dall'acqua blu del lago. Ci sono delle rondini e moltissime zanzare. Un tempo i laghi potevano garantire il sostentamento di alcuni villaggi, ma il loro progressivo inaridimento ha costretto la popolazione a trasferirsi altrove. La nostra guida ci racconta che due persone non volevano assolutamente lasciare questo posto affascinante, ad un certo punto uno dei due è stato colpito da un raptus di follia e ha dato fuoco a palme, tamerici e mimose. Dopo questo fatto, anche loro hanno lasciato i laghi e sono rimasti solo i resti del raptus di follia.

In macchina raggiungiamo lo Jebel Acacus. All'arrivo le distese desertiche sono incorniciate da nubi minacciose, nere e rosse per il tramonto. Lo Jebel Acacus è un deserto di roccia, con montagne di basalto scuro, talvolta adornate da dune di sabbia formata dallo sgretolamento della roccia. Il caldo si fa sentire, durante il giorno, ma il paesaggio è talmente privo di limiti e le linee delle dune così nitide e sinuose, che non ci si stanca di ammirare. Durante la notte , invece, restiamo di stucco nel trovarci sotto un acquazzone ? nel deserto, mentre i tuareg saltellano di gioia e si abbracciano: per loro quell'acqua è vita. Finito l'acquazzone restiamo immersi in un profondo silenzio, tutto tace e nulla si muove per un po', poi inizia la tempesta di sabbia, che sembra volersi portare via le nostre tende, per chi le ha montate. Il mattino possiamo dire di aver passato una notte molto vivace. Tuttavia il clima può anche essere ben peggiore; infatti camminando troviamo della sabbia fusa da fulmini caduti nel deserto e questi noi non li abbiamo provati.
Proseguendo il cammino raggiungiamo il fondo di una gola, dove la montagna crea un enorme portico e le pareti sono coperte di dipinti e bassorilievi che risalgono ad un periodo compreso tra 8.000 e 4.000 anni a.C. Dipinti e bassorilievi sono frequenti sulle pareti delle montagne di questa zona, tanto che lo Jebel Acacus è stato dall'Unesco dichiarato Patrimonio dell'Umanità per le straordinarie raffigurazioni rupestri. Vediamo rappresentate giraffe, aironi, scene di caccia, uomini che cercano di salire sugli alberi, donne gravide, enormi rispetto agli uomini, probabilmente erano civiltà matriarcali.

Ci avviamo ora verso l'Idehan Murzuq (Mare di Sabbia di Murzuq), un deserto di sabbia di 35.000 chilometri quadrati ed un diametro di 420 km, circondato da dune. Non vi è assolutamente nulla, tranne sabbia.
La dimensione dell'Herg Murzuq è tale che l'attraversamento può essere intrapreso solo con guide molto esperte, in quanto è facile perdersi o rimanere insabbiati. Le dune sono molto alte ed inaccessibili, tanto che sono pochi gli ingressi in quest'area enorme. Il principale è il Colle di Anai, dove una stazione di polizia controlla i visti di ingresso, un altro è nelle vicinanze della città di Murzuq. Arrivati al Colle di Anai scopriamo che il nostro visto per quell'ingresso è stato revocato; allora i tuareg chiedono di modificare il percorso e utilizzare una via secondaria, che corre lungo una serie di laghi pietrificati. La polizia acconsente e pertanto inizia la ricerca dell'ingresso secondario.
Dopo quasi due giorni di tentativi infruttuosi, improvvisamente ci rendiamo conto che stiamo viaggiando su un'enorme superficie piatta circondata da altissime dune: siamo sul fondo del primo lago pietrificato. Del lago è rimasto solo il fondo perfettamente piatto. Le dune sono di colore senape rossiccio, sono completamente prive di vegetazione, completamente nude. L'occhio segue le linee talvolta dritte, talvolta sinuose della cresta delle dune, l'alternarsi di luci ed ombre è molto armonioso, le linee delle creste sono arricchite dalle greche composte dal vento sui dorsi delle dune. Il mattino, quando la temperatura è ancora piacevole, ci incamminiamo a piedi sulle dume con la nostra guida. Camminare sulla sabbia è faticoso, è preferibile camminare in vetta per mantenere l'orientamento e per ammirare il paesaggio, però ci si deve impegnare per mantenere l'equilibrio. Ogni tanto ci fermiamo a riposare e ad osservare la distesa di sabbia, mentre la nostra guida si siede a terra e non smette di ammirare il suo Deserto, sembra che voglia raccogliere il maggior numero di ricordi.
Quando il campo è smontato le macchine ci raggiungono, proseguiamo per giorni percorrendo sempre il fondo di nuovi laghi pietrificati. Cerchiamo di immaginare come possa essere stato il paesaggio prima della desertificazione, sicuramente splendido e lussureggiante. Sulle rive dei laghi esistevano molti villaggi, ne troviamo tracce lungo il nostro cammino; troviamo anche resti di vasellame, macine, lance e grattatoi. Questi segni di una vita passata rendono ancora più intensi il silenzio e la totale assenza di persone.
Verso mezzogiorno la temperatura si alza troppo e le macchine non possono proseguire, perché la sabbia diventa sdrucciolevole per il caldo; quindi ci fermiamo a mangiare all'ombra delle macchine. Aspettiamo fino a metà pomeriggio dormendo, chiacchierando e giocando. Il paesaggio è sempre uguale, le dune si susseguono accanto ai laghi pietrificati, sembra, fino all'infinito, però i colori cambiano con il percorso del sole. All'aurora il cielo non si tinge di rosso, i luoghi si illuminano con una luce fiocca, prima che si alzi il sole le tinte hanno una punta di grigio e scuro. All'alba i colori sono brillanti, gialli, rosso, arancione, marrone, alternati dalle ombre scure e sormontati dal cielo blu con nubi bianche rossicce. Quando il sole di alza nel cielo la luce è così forte che i colori diventano sbiaditi, tutto si schiarisce. La sera prima del tramonto tornano i colori gialli, rossiccio e marrone, le ombre iniziano ad allungarsi fino a quando le nubi si tingono di rosso intenso e gli ultimi raggi di sole scompaiono. Di notte vorremmo vedere le stelle, ma generalmente sono coperte dalle nubi. A sera torna immancabilmente la tempesta, dapprima acqua battente, seguita dalla tempesta di sabbia. Ormai ci siamo quasi abituati, ma non smettiamo di stupirci nel vedere tanta acqua nel deserto.

Il rischio di rimanere insabbiati e senza acqua è tale, che i tuareg ci hanno proibito di lavarci durante tutto l'attraversamento dell'Herg Murzuq. L'acqua è razionata ed usata solo per cucinare e bere. Prima di iniziare la traversata si sono fermati a fare i rifornimenti di acqua da un pozzo che preleva acqua da una falda "preistorica", la chiamano acqua fossile. L'acqua viene conservata in taniche e in una pelle di capra. Durante i giorni successivi non avremo altri rifornimenti di acqua. Solo vicini all'uscita dal Murzuq ci viene segnalato un altro pozzo, scoperto di recente mentre veniva cercato il petrolio. L'acqua qui scorre senza interruzione, allora ci possiamo permettere una interminabile e fantastica doccia.
Come l'acqua, anche i mezzi di trasporto sono necessari per entrare e indispensabili per uscire dall'Ideham Murzuq. Quando inizia il percorso nel deserto si sgonfiano le gomme delle macchine, così da facilitare l'aderenza al fondo sabbioso. Le auto proseguono in fila indiana, l'auto del capo-guida apre la strada, sale per primo sulle dune e fa segno di seguire, quando il percorso è fattibile. Invece quando dall'altra parte le dune sono troppo alte e ripide, senza via d'uscita, il capo-guida fa segno di fermarsi e ridiscende. Anche la tecnica per salire le dune è studiata con attenzione: si accelera fino a quando si è vicini alla cresta, qui si decelera come per fermarsi in cima, si raggiunge la cresta con dolcezza e si sterza per far adagiare una ruota dall'altra parte senza insabbiare il muso. Quando si decelera troppo presto la macchina si insabbia prima della cresta o sulla cresta stessa, quindi arrivano le altre guide in aiuto. Lo stesso avviene quando una macchina si rompe; allora i tuareg si danno da fare per ripararla e farla resistere il più possibile .

Durante tutto il viaggio i tuareg ci preparano il loro cibo, a mezzogiorno riso o cous-cous e verdura come pomodori, cipolle, fagioli e patate lesse. La sera c'è sempre la chorba, una minestra in cui sono state cotte le verdure, come patate, zucchine, cipolle e della carne. Il deserto è un luogo asettico, il caldo e il clima secco non permettono ai batteri di svilupparsi, quindi la nostra carne è conservata ad essiccare sul cofano delle macchine. Qualche sera i tuareg ci preparano la carne di montone cotta sul fuoco e il pane cotto sotto la sabbia. La farina viene impastata con l'acqua fino a formare un impasto liscio, l'impasto viene appiattito ad uno spessore di circa un centimetro e viene riposto sotto la sabbia su cui era stato acceso il fuoco, ovviamente avendo in precedenza rimosso le braci. Dopo venti minuti circa il pane viene estratto dalla sabbia cotto, viene asportata la parte rimasta in contatto con la sabbia e può essere mangiato. L'uso migliore consiste nel metterlo spezzettato nella chorba, perché assorbe il liquido rimanendo croccante ai lati. Qualche volta ci fanno assaggiare il thé tuareg, preparato con il thé gun powder, lasciato in infusione fino a diventare molto concentrato e travasato di bicchiere in bicchiere fino a formare una schiuma in superficie.
Dopo aver trascorso diverse notti nell'Idehan Murzuq il nostro viaggio volge al termine. L'ultima sera ovviamente non può mancare l'ultimo scroscio di acqua, ma la tempesta di sabbia inizia prima del solito, ancora prima del tramonto. Quindi possiamo assistere ad un tramonto nella tempesta di sabbia, con gli occhi socchiusi; purtroppo non ci siamo muniti di maschere subacquee. Dopo cena raggiungiamo i tuareg intorno al fuoco. A loro piace cantare, conversare è un po' difficile, noi preferiamo ballare e alterniamo il canto e il ballo. Questa sera decidiamo di dormire sotto le stelle; nonostante la tempesta e il rischio di pioggia, non si può perdere l'ultima notte nel deserto.
Al risveglio la tempesta non è ancora finita, quindi assistiamo anche all'alba sotto la tempesta di sabbia e così per tutto il percorso del giorno successivo. Nella zona che ora attraversiamo la sabbia è più chiara, come il latte, e il contrasto con le ombre e le rocce nere è ancora più forte.


Purtroppo dobbiamo riprendere le macchine e lasciare definitivamente il Mare di Sabbia per avviarci al paese di Murzuq. Mentre percorriamo l'altopiano incontriamo la prima macchina; le nostre guide scendono e continuano ad abbracciarsi, sapremo dopo che sono fratelli. Raggiungiamo un campeggio circondato da una coltivazione di agrumi e da alte tamerici. Qui , al riparo degli alberi, per la prima volta il vento cessa; i sibili sono sostituiti dal canto degli uccelli e dal mormorio dell'acqua che scorre per innaffiare le piante, che ci proteggono con le loro fronde.
Prima di partire pranziamo con i tuareg, che ci parlano un po' di loro. Il capo, Mustafà, è una persona molto preparata ed orgogliosa. Propone sempre giochi matematici, che non riusciamo sempre a risolvere; poi scopriamo che lavora come geometra, si occupa della costruzione di case per la popolazione che lascia il deserto. Quando c'è poco lavoro come geometra, lavora come guida e quando il caldo non permette di lavorare, torna nel deserto con la sua famiglia per accudire i cammelli. Il suo lavoro ha uno scopo: risparmiare per poter sposare una donna a cui offrire una vita agiata. Tutte le guide posseggono il proprio fuoristrada, parlano correntemente almeno due lingue e per tutto il percorso hanno consultato il loro computer portatile. Non posso che ammirare questa fusione tra vita nomade e capacità tecnologiche.
Paola Radaelli, di Brescia, e' dirigente d'azienda, appassionata di viaggi, giardinaggio, sport e fotografia. Fotografa con una Canon 450D. Risposte e commenti
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| inviato il 25 Dicembre 2014 ore 1:07
Bell'articolo, belle foto,peccato che non si capisca dove ci troviamo |
| inviato il 25 Dicembre 2014 ore 5:54
Che bella avventura |
| inviato il 26 Dicembre 2014 ore 14:33
Che posti stupendi Paola! Sono stato 3 volte in Libia: Ghat, l'Akakus, i laghi salati, l'erg murzuq, waw an namus..... Ci ho lascito il cuore, peccato non poterci tornare! |