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Ritorno alle Azzorre


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Ritorno alle Azzorre, testo e foto by Seb46. Pubblicato il 15 Aprile 2018; 9 risposte, 1987 visite.


Il più grande attore delle Azzorre è il vento. È doveroso parlarne perché è lui il protagonista, sempre presente. Anche quando è tranquillo e sembra sonnecchiare, non fidatevi. In una giornata è capace di portarvi il sole e riprenderselo più e più volte, quando meno ve lo aspettate. Raccoglie ogni nuvola dell'Atlantico e la porta a incagliarsi sul Pico, la cima vulcanica più alta delle isole, per poi riprendersela e scagliarla distante. Se questo arcipelago è diventato patrimonio mondiale dell'Unesco è sicuramente un suo merito. È' lui che ha costretto generazioni di coltivatori di vite alla costruzione di quella mirabile ragnatela di muriccioli di basalto, i currais, che, dopo il vulcano, sono la caratteristica più famosa dell'isola di Pico. Ed è lo stesso vento, vorrei credere, che hanno cavalcato le Valchirie per trasferirsi qui dal remoto nord. Ora vivono a Princess Alice e la loro natura si è molto ingentilita dopo la reincarnazione nell'oceano. Princess Alice, per chi non la conoscesse, è a quarantacinque miglia a sud ovest di Pico, in pieno oceano Atlantico.

Il vento gonfia le onde e la risacca, sempre presente non rende la vita facile a chi pesca.

A seconda della barca con cui andrete e delle condizioni dell'oceano, dovrete calcolare all'incirca dalle due ore e mezza alle tre ore e mezza di navigazione, il più delle volte in altalena anche se avete uno skipper coi baffi. Siete arrivati. E quando qualcuno, con la faccia gialla un po' stravolta, che vale più di mille parole, dice che finalmente siete arrivati, guardatevi intorno, osservate il panorama: ecco, a nord, anche se non riuscite a vederlo, c'è l'omonimo polo; a sud, sempre fuori vista, l'Antartide; ad est e ad ovest, nelle stesse condizioni di visibilità, ci sono rispettivamente il Portogallo e gli Stati Uniti. Forse, però, là, ai piedi di quelle nuvolette, c'è la cima del Pico, dalle cui coste siamo partiti tre ore fa. Abbiamo un po' di terra solo sotto di noi, ma per toccarla dobbiamo scendere quasi di una quarantina di metri. Ma siccome è la terraferma più vicina, lo skipper ci si abbarbica con l'ancora. Conoscete la Cavalcata delle Valchirie? Ecco, al termine della tempesta wagneriana, le valchirie si sono trasferite qui e, mutato forma, hanno continuato a cavalcare sotto i flutti.
Ci si immerge. L' acqua è torbida di plancton. La visibilità difetta. C'è pure un po' di corrente. Allontanarsi sconsideratamente dalla cima dell'ancora potrebbe portarci fuori vista della barca, nella direzione di una di quelle grandi terre citate poc'anzi. Fate un po' voi. Io pur non aggrappandomi alla fune, per non correre il rischio di esser coperto dalle bolle mentre sto scattando una foto, me ne sto un poco discosto, ma sempre tenendo d'occhio il respiro dei miei compagni. E arrivano le mitiche creature, quelle che siamo venuti fin qui a cercare, che galoppano sotto le onde.


Le ombre che si vedevano venirci incontro diventano un folto branco di mobule che si avvicina e nel giro di una ventina di secondi scompare com'era arrivato.

È' una cavalcata maestosa, anche se non pare una carica. I mantelli al vento, anzi alla corrente, gli elmi sovrastati da due corna, le furie avanzano, le bocche aperte sotto il cimiero, a fare strage di plancton. Qualcuno, forse per impressionarvi, vi dirà che sono mobule, le reincarnazioni delle mitiche valchirie, e che quelli che sembrano mantelli svolazzanti sono gli apici laterali di un corpo piatto e quasi romboidale. Un gruppo di una trentina di mobule cavalca la corrente. Appaiono come ombre indistinte nell'acqua densa di plancton, e assumono consistenza man mano che si avvicinano. Poi, così come sono arrivate, dopo averci girato intorno si allontanano con dignitosa tranquillità. Altri gruppi, più o meno consistenti, appaiono quasi come un miraggio nell'acqua caliginosa che ci avvolge e svaniscono pure essi facendo strage delle creature del plancton. Li accompagnano stuoli consistenti di remore che, a guisa di rapaci, appollaiati sulla spalla o sul braccio del proprio falconiere, sembrano attendere solo il via per lanciarsi su una preda. La loro presa è talmente consistente che, staccandosi, lasciano sulla pelle dell'ospite le striature della ventosa.


Accompagnata da due remore una mobula mi sfila davanti.

Pur non essendo una Valchiria, anch'io mi sono trovato sul pantalone della muta uno di questi simpatici ospiti, che poi si è spostato sulle spalle. A un certo punto, non vedendolo più, ho pensato che se ne fosse andato, invece l'ho ritrovato poi, alla fine dell'immersione, guizzante sopra il ponte della barca. Si era attaccato alla bombola, mi hanno spiegato, mentre lo rigettavo, ancora guizzante, in acqua. La mobula assomiglia molto alla manta. Anche se di dimensioni minori, è pur sempre cospicua, coi suoi circa tre metri di apertura alare. La bocca è ventrale e le pinne cefaliche sono perlopiù avvolte su se stesse, tanto da sembrare corna, facendo guadagnare al pesce il soprannome di diavolo di mare. Le pinne pettorali, che prolungano la parte centrale del corpo senza soluzione di continuità, terminano in due triangoli acuti, leggermente arcuati all'indietro. Il dorso è oscuro e il lato ventrale biancastro, con orlature e macchie tendenti al grigio che contraddistinguono ogni individuo. La testa, poco sporgente, presenta piccoli occhi neri laterali posti sulla linea d'incontro tra la parte scura e quella chiara del pesce. Al termine del dorso, una piccola pinna triangolare dall'estremità arrotondata sovrasta l'attaccatura della coda, a forma di frusta, munita di un pungiglione velenoso e di lunghezza variabile, a seconda della gentilezza degli squali, che a volte la mordono. Solo due specie, delle nove conosciute, posseggono, però, quest'arma.


Un altro stuolo di mobule si incrocia in una danza dove gli unici che non si divertono sono i componenti del plancton.

Adesso, dopo il saluto alle Valchirie, siamo tornati in mare, su di un lungo gommone ben attrezzato, per affrontare le violente onde dell'Atlantico, perchè vogliamo salutare anche gli altri abitanti dei questo azzurro profondo. Anche adesso ci dirigiamo bene al largo, dove i fondali superano i mille metri di profondità. Fernando, il nostro skipper, ha una stazza da nostromo che sembra non disdegnare la buona tavola. Parla il portoghese, la sua lingua, lentamente, riuscendo a farsi comprendere pure da chi, come me, lo capisce un po' solo quando è scritto, grazie a una discreta conoscenza dello spagnolo, abbastanza assonante su molti vocaboli.
Oggi è il turno degli squali. L'Atlantico è un cliente poco raccomandabile, ma il nocchiero lo conosce profondamente e fa zigzagare il lungo gommone tra le grandi creste e i cavi d'onda attenuando i violenti scossoni. Quando ci arrestiamo siamo al largo di Fayal, nel canale tra quest'isola e Sao Jorge. È una zona di corrente. Viene calata, appesa a una boa fatta allontanare alcuni metri dal gommone, una tanica con una stretta apertura che consente solo l'entrata di una mano e da cui si spande un profumo di pesce già un poco decomposto. La lasciamo a una decina di metri di profondità a richiamare gli squali col proprio olezzo.


L'occhio che ti fissa immoto, le lunghissime pinne pettorali ed il profilo da Ferrari del mare sono tra le principali caratteristiche delle verdesche.

Dal gommone Joao, uno dell'equipaggio, butta in acqua brandelli di pesce e gavettate del brodino nel quale sono a mollo. È anche lui un simpatico portoghese, che però, per la barba, i capelli biondi e l'altezza prenderesti per uno scandinavo. Dico che forse, se pasturasse con aragosta, attirerebbe più squali e lui ride e risponde che quello che usano loro è tonno di qualità superiore...e forse qualche squalo potrebbe crederci. Attendiamo. Non si sa mai quanto bisogna aspettare. In una delle immersioni successive ci vorranno oltre cinque ore di attesa prima dell'arrivo degli squali. Ma oggi non è così. In capo a mezz'ora giunge il primo predone. Dal gommone pendono, appesantite da grossi blocchi di basalto, due cime alle quali i sommozzatori possono tenersi aggrappati. Arrivano a una profondità di quindici metri. Siamo in una zona di corrente ed il gommone è alla deriva. Si entra in acqua. Mi discosto dalle funi perché, aggrappandosi, si è soggetti al continuo saliscendi dovuto all'incessante susseguirsi di onde tuttaltro che piccole. In più, si è in zona bolle di scarico di tutti gli altri che, se si ha sotto qualcuno, impediscono di fotografare. Nel giro di poco tempo, al primo predone arrivato a trovarci se ne aggiungono altri tre.


La verdesca che sfiora il subacqueo è una femmina. Oltre alla mancanza dei claspers maschili, si nota la grande pettorale sinistra addentata da un maschio durante l'accoppiamento. Proprio per evitare guai peggiori le femmine hanno la pelle spessa due volte quella dei maschi.

Hanno il corpo affusolato, carrozzerie da Formula 1, e il muso appuntito con coefficienti proprio da Ferrari. Lunghissime pinne ventrali li fanno planare come alianti. Caudale impari col lobo superiore sagittato. L'occhio è curioso e ti fissa implacabile, con l'iride nera che volge verso di te mentre lui ti bordeggia, sicuro della propria imponenza. Sono verdesche, conosciute anche come squali azzurri. Mi sono già immerso con loro in passato e le giudico veramente affascinanti.
Viaggiano con la consueta signorilità di ogni squalo e sono molto curiose. Ti arrivano dritte contro, fino a dieci centimetri di distanza, giusto per valutare le tue reazioni, poi si scostano leggermente e talvolta ti girano attorno, prima di riallontanarsi pigramente. Una, più birichina delle altre, si avvicina con disinvoltura al gomito piegato di Joao e, allargata la bocca, tenta di farne un assaggino. Il portoghese, però, non è dello stesso avviso e, spostando leggermente il braccio, lascia la furbetta con un palmo di naso. Lei pare un po' contrariata, perchè stava già chiudendo la bocca e sembra che si allontani un po' disgustata. Forse, parafrasando Esopo, avrà poi detto alle compagne che l'arto era acerbo e aveva un lezzo terribile... Il tempo vola quando ci si diverte come matti. Un'immersione memorabile, questa, delle verdesche. Decine e decine di foto.


Parecchi pesci pilota accompagnano questa specie di squali: aiutano le remore a ripulirli dai parassiti e naturalmente banchettano coi piccoli avanzi che sfuggono ai loro potenti amici.

La parte mezzo vuota del bicchiere è che, a un certo punto, nella scafandratura si è formato mezzo litro di condensa. Be' esagero. Per mia fortuna buona parte degli scatti si è salvata. Le immersioni sono poi proseguite alla ricerca degli squali makò. L'Atlantico non è quasi mai di buon umore. A ogni uscita è come se andassimo in altalena, con bruschi scossoni che mettono a dura prova le nostre povere vertebre dorsali. Abbiamo fatto altri interessanti incontri con verdesche, ma purtroppo anche quest'anno i makò non si sono visti. La grande pesca li sta distruggendo e sono sempre di meno. Per fotografarli sarò costretto a tornare ancora alle Azzorre prima che la cupidigia dell'uomo li stermini del tutto. A meno che, nel frattempo, non venga fatto qualcosa di veramente serio per proteggerli. Se ne parla, ma poi non si decide mai niente.



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avatarsenior
inviato il 21 Aprile 2018 ore 8:14

Racconto a dir poco spettaacolare e scatti davvero invidiabili! Complimenti davvero!
Stefano

avatarsupporter
inviato il 21 Aprile 2018 ore 8:48

Grande fluidità nel raccontare, una bella occasione per conoscere un luogo che sostanzialmente ignoravo attraverso un diario pieno di suggestioni sia letterarie che fotografiche. Grazie di averlo condiviso ;-)

avatarjunior
inviato il 22 Aprile 2018 ore 10:53

Grazie a Stewe90 e ad Anarres per aver avuto la pazienza di leggere e per i gentili commenti.
Sebastiano

avatarsenior
inviato il 23 Aprile 2018 ore 17:39

Come sempre i tuoi racconti sono avvincenti e coinvolgenti, scritti in modo divertente e scorrevole.
Accompagnano foto ben realizzate ed esplicative del testo.
Complimenti SebastianoSorriso
Marco

avatarjunior
inviato il 23 Aprile 2018 ore 21:09

Ciao Marco, mi fa sempre piacere sentirti e sarei felice di fare ancora un po' di immersioni insieme a te. Grazie per le gentili parole e un grande abbraccio. Sebastiano

avatarsenior
inviato il 23 Aprile 2018 ore 21:22

Prima o poi riusciremo ad organizzare un viaggio e a fare qualche altra bella immersione insiemeSorriso
Piacerebbe anche a me!!;-)

avatarjunior
inviato il 24 Aprile 2018 ore 6:28

Racconto molto fluente ed accompagnato da belle foto.
Unico difetto: finisce .. Avrei letto ancora pagine e pagine .
Complimenti

avatarjunior
inviato il 24 Aprile 2018 ore 9:48

Grazie Giubbe, puoi leggere anche gli altri articoli, se ti piace. Prima o poi ne pubblicherò ancora perchè ce li ho pronti, ma per pigrizia non mi metto a trascriverli sul sito.
Ciao, Sebastiano

avatarjunior
inviato il 24 Aprile 2018 ore 9:52

Ciao Marco, ti farò sapere di Halmahera, ormai siamo prossimi.
Sebastiano





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