| inviato il 21 Gennaio 2018 ore 1:18
Piccolo aneddoto. Tempo fa partecipai ad un concorso fotografico e, data la mia scarsa abilità fotografica, non venni nemmeno selezionato (stessa cosa mi è capitata alle Call di MilanoMeravigli, ma ormai ci ho fatto il callo). Comunque sia, alla fine della premiazione i giurati si trattengono a parlare del più e del meno ed una mostra ad un'altra un libro di fotografie. A questo punto la seconda domanda: "ma di quando è questo libro?" e la prima "è di due anni fa", "ah, in effetti si vede che sono non molto recenti, oggi una rivista non le accetterebbe per la pubblicazione, hanno un aspetto un po' superato (erano foto del carnevale di Schignano in Val d'Intelvi, Lago di Como), sai com'è oggi le riviste tendono a non prendere in considerazione le foto se hanno uno stile datato di sei mesi". Ho lavorato per 25 anni ne comparto tessile e so come funzionano le tendenze moda, la variantatura dei disegni l'alternarsi della moda coloristica nel succedersi delle stagioni AI e PE, l'obsolescenza programmata l'hanno inventata gli stilisti ed i variantisti. Ma sappiamo che qui si parla di industria. Che questo concetto si applichi alla fotografia è cosa che a me ha fatto specie. Posso capire che questo concetto possa valere alla fotografia di moda, ma per la foto di paesaggio, di architettura, di reportage, per la foto Street per l'esplorazione urbana? A me la cosa fa francamente sorridere, anzi fa proprio cadere le braccia. E qui mi riallaccio al discorso sullo stile. Lo stile in fotografia è concetto abbastanza fumoso. Per farsene un'idea basterebbe al riguardo leggere le righe che in proposito scrisse Susan Sontag negli anni 70 e che, a mio modo di vedere, restano ancor oggi valide. Che si possa chiamare "stile" l'applicazione di una tecnica di postproduzione o di un'azione o una serie di azioni di Photoshop è cosa che io stento a credere e di cui dubito. Questa cosa in genere sconfina nell'effettismo e nel manierismo. Che poi si arrivi allo "stile Primavera-Estate" applicato al paesaggio significa toccare vette di ridicolo. Ma chi volete che mai si ricordi di un autore fotografico per avere prodotto le "varianti di tendenza della stagione Primavera-Estate 2017 o Autunno-Inverno 2018? |
| inviato il 21 Gennaio 2018 ore 9:15
“ Che si possa chiamare "stile" l'applicazione di una tecnica di postproduzione o di un'azione o una serie di azioni di Photoshop è cosa che io stento a credere e di cui dubito. „ Però confrontando stampe e negativi delle foto prodotte da "maestri" della fotografia come Ansel Adams, la stessa domanda dovremmo porcela anche rispetto alle vecchie tecniche di camera oscura. Per chi, proprio come Adams, crede che la fotografia sia l'insieme di tutto quello che passa tra l'idea, lo scatto e la stampa finale, le tecniche di postproduzione sono l'equivalente di quelle di camera oscura, con tutti i pro e i contro che di fatto le accomunano, almeno sul piano "filosofico", ma non possono essere disgiunte dal concetto di fotografia. |
| inviato il 21 Gennaio 2018 ore 10:20
“ Che si possa chiamare "stile" l'applicazione di una tecnica di postproduzione o di un'azione o una serie di azioni di Photoshop è cosa che io stento a credere e di cui dubito. „ Concordo, sono cose che possono essere utili a completare il lavoro ed armonizzare una serie d'immagini di uno stesso progetto, ma lo stile per me è qualcosa di diverso che ha più a che fare col modo di vedere del fotografo e costituisce, quando c'è, una sorta di fil rouge capace di legare l'intera opera dell'autore a prescindere da temi affrontati e tecniche usate. |
| inviato il 21 Gennaio 2018 ore 10:55
Indubbiamente lo stile nasce dall'occhio e dalla mente; però l'occhio e la mente, senza strumenti non ottengono nulla. Direi che il rischio non è tanto nell'uso degli strumenti, quanto nella speranza che questi possano sostituire l'occhio e la mente dove essi siano carenti: è così che si arriva agli eccessi e all'assuefazione. Poi c'è il problema delle mode o, per contro, della spasmodica ricerca del "nuovo" a tutti i costi; quel discorso riportato da Andrea e che lo ha lasciato stupito: “ "ah, in effetti si vede che sono non molto recenti, oggi una rivista non le accetterebbe per la pubblicazione, hanno un aspetto un po' superato (erano foto del carnevale di Schignano in Val d'Intelvi, Lago di Como), sai com'è oggi le riviste tendono a non prendere in considerazione le foto se hanno uno stile datato di sei mesi" „ in realtà affligge le altre forme delle arti visive, pittura, scultura ecc., almeno dagli anni '60 del secolo scorso ed è il segno di un'effettiva mercificazione non solo dell'arte, ma di ogni aspetto della vita. Purtroppo però, questo è un problema che si pone ogni volta che un'economia di mercato pretende di trasformarsi in "sistema sociale": sto rileggendo proprio in questi giorni "Capitalismo e modernità - il grande dibattito" di Jack Goody, dove problematiche simili, riguardo ai rapporti tra arte e mercato, si ritrovano nella Cina del periodo Ming, quindi non proprio l'altro ieri; ma potremmo trovarne traccia anche tra gli scrittori Romani del periodo tardo-repubblicano ecc. Anche in questo caso non si tratta di un problema di strumenti, ma di motivazioni con cui li si usa |
| inviato il 21 Gennaio 2018 ore 11:04
“ non si tratta di un problema di strumenti, ma di motivazioni con cui li si usa „ Ma anche di chi “ legge „ il lavoro direi qui però entriamo in un discorso molto più ampio e complesso, indipendente dallo stile dell'autore ma sicuramente fondamentale in molti ambiti. |
| inviato il 21 Gennaio 2018 ore 11:13
Vero, il problema è sempre relativo a due "attori" quando si parla di linguaggi: colui che comunica e quello/quelli a cui la comunicazione è indirizzata. Ed è altrettanto vero che si trata di un discorso estremamente complesso e di cui, probabilmente, in un momento storico come quello attuale non abbiamo nemmeno l'esatta percezione di tutti i termini. |
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