| inviato il 16 Dicembre 2017 ore 12:50
Taryn Simon è nata a New York nel 1975 e ancora oggi vive e lavora li. Taryn Simon si è avvicinata alla fotografia sin da piccola, affascinata dalle immagini che il padre le mostrava al ritorno dai suoi viaggi in posti spesso sconosciuti e pericolosi, e da quelle scattate dal nonno, collezionista di fotografia macro: insetti, stelle, piante. Dopo aver studiato scienze ambientali alla Brown University, Taryn ha proseguito gli studi in semiotica dell'arte. Oltre a studiare fotografia alla Rhode Island School of Design durante gli anni universitari, una volta laureata Simon decide di affinare il più possibile la sua competenza tecnica facendo da assistente a diversi fotografi. Anche se l'immagine ha avuto sicuramente un'influenza importante sull'evoluzione del percorso artistico di Taryn Simon, definirla una fotografa sarebbe riduttivo. La fotografia è solo uno degli mezzi espressivi che utilizza: le sue opere sono infatti composte anche da testi e da un'attenzione quasi maniacale alla modalità espositiva. Le immagini per Simon hanno un ruolo strumentale, trovano il proprio senso completo solo analizzate nel contesto d'insieme, in cui possiamo seguire lo svolgimento cristallino del pensiero di Taryn: alla base di ogni sua opera sta infatti un concetto forte, definito, che viene portato fino alle sue estreme conseguenze con una logica ferrea e tagliente. Taryn Simon è un'artista completa il cui lavoro è sofisticato e radicalmente contemporaneo pur mantenendo un forte legame con le problematiche del mondo reale. Le questioni che Simon tratta sono infatti legate a temi politici, sociali, di attualità, che non rimangono chiusi in una sterile autoreferenzialità: “Il mio lavoro viene influenzato da quello che accade nella mia vita e dal contesto politico e sociale […] Ho sempre cercato di rimanere al di fuori della mia arte e di fare in mondo che le mie opere esistessero in uno spazio che non parla del loro autore. Penso che sia anche una decisione che ho preso riflettendo sul fatto di essere una donna che lavora nel mondo dell'arte. Ripercorrendo la storia, il ruolo che le donne hanno spesso ricoperto in quel mondo era di frequente legato all'identità e all'esplorazione della propria storia personale. E non voglio davvero che questo sia parte del mio lavoro. Di conseguenza ho lavorato sodo per creare una distanza tra me e la mia arte“. Il tratto riconoscibile, distintivo, di Simon non è quindi individuabile nella tipologia di argomenti scelti quanto piuttosto nella metodologia utilizzata per affrontarli: progetti che durano anni, la maggior parte dei quali dedicati a una meticolosa, accurata fase di ricerca e preparazione. La sua metodologia si può definire autenticamente ossessiva, non solo nelle diverse fasi di indagine ma anche nella presentazione del lavoro, in cui spicca un chiaro richiamo alla precisione e alla serialità tipiche della classificazione tassonomica. I lavori di Simon sono sempre complessi, hanno diversi livelli di lettura e incorporano aspetti intellettuali, sociali ed estetici che in parte sono già presenti, seppure a livello seminale, nel suo primo lavoro, “The Innocents”. Pubblicato come libro nel 2003, questo progetto esplora il significato di giusto o sbagliato, vero o falso, e richiama quel tentativo disperato e in qualche modo sempre disatteso di definire, chiarire, stabilire dei confini netti, presente in tutte le opere di Simon. The Innocents, composto da ritratti di grande formato eseguiti in maniera impeccabile e accompagnati da lunghi testi esplicativi, cerca questi confini nell'ambito morale-esistenziale: i suoi soggetti sono infatti cittadini americani che hanno scontato diversi anni in prigione per crimini mai commessi, persone arrestate e incriminate a causa di un errore di identità spesso commesso sulla base di foto segnaletiche. La domanda che ognuna di queste immagini ci pone è: ma la fotografia può davvero avere lo statuto di prova, essere una testimonianza inconfutabile? Con The Innocents Simon mette in scena le contraddizioni legate indissolubilmente allo statuto ontologico dell'immagine, una rappresentazione che non può mai sostituire la realtà stessa e che quindi, in un certo senso, è sempre una specie di finzione; fotografando i soggetti sulla scena dei crimini che non hanno commesso, in posti in cui non sono mai stati prima, Simon mette a nudo tutta le problematiche del legame a volte dato troppo per scontato tra fotografia e verità. Se anche il nucleo attorno al quale ruota la ricerca artistica è rimasto sostanzialmente stabile, l'approccio estetico di Taryn Simon ha invece subito un cambiamento radicale nel tempo: alla cura stilistica degli inizi, si è sostituita una fotografia spoglia, un'estetica fredda da fotografia scientifica, che elimina dall'inquadratura ogni elemento non essenziale e che nasce da un utilizzo della macchina fotografica quasi meccanico – ma anche questa scelta è in realtà un commentario allo statuto contemporaneo dell'immagine e alla sua perdita di potere. Il tema del reale, del significato, è ricorrente nelle opere di Taryn Simon: oltre a riprodurre eventi che non sono mai accaduti, cose che ufficialmente non esistono e/o non possono essere viste, le sue immagini cercano di concretizzare lo spazio vuoto incolmabile che esiste tra la parola e la sua interpretazione. Già, perché “la mappa non è il territorio” e il linguaggio, per quanto necessario, sarà sempre riduttivo rispetto all'esperienza quindi generatore di fraintendimenti, incomunicabilità, solitudine. Queste tematiche sono affrontate anche nell'opera collaborativa Image Atlas (2012), con cui Taryn mostra le difficoltà comunicative della comunicazione verbale applicate all'immagine. In un momento storico in la fotografia sembra essere diventata il linguaggio universale per eccellenza, Simon dimostra la fallibilità di questo assunto: creato da Simon con il programmatore Aaron Swartz, Image Atlas ci indica in maniera evidente le differenze e le affinità culturali evocate dalle immagini tramite la semplice ricerca di una stessa parola in diverse lingue: la diversità dei risultati è abissale. Con una semplicità disarmante, il lavoro di Simon sembra dirci costantemente che comprensione assoluta – come d'altronde la verità assoluta – non può esistere, e l'isolamento che ne deriva è una condizione connaturata all'esistenza. Sito ufficiale:http://tarynsimon.com/ qualche immagine anche se postarle così ha poco senso momaps1.org/images/exhibition/large/2003/TarynSimon/Ronald%20Jones.jpg tarynsimon.com/works/innocents/images/innocents_5.jpg media.wmagazine.com/photos/58519ca2e3d613c03e1e1d78/master/w_860,h_600 artblart.files.wordpress.com/2010/10/customs-and-border-protection1.jp |
| inviato il 11 Aprile 2018 ore 23:23
Notevole la serie "the innocents". |
| inviato il 11 Aprile 2018 ore 23:55
Segnato anche questo ;) |
| inviato il 12 Aprile 2018 ore 8:15
all'inizio non mi aveva colpito tantissimo, effettivamente le sue foto sono lontanissime dall'effetto wow, ma leggendo bene le sue idee e i lavori che fa devo dire che è veramente una delle fotografe più interessanti in circolazione |
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