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Alla ricerca dell'Orang(o)


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Alla ricerca dell'Orang(o), testo e foto by Marro. Pubblicato il 01 Novembre 2017; 4 risposte, 1863 visite.


Questo articolo è la seconda parte della trilogia indonesiana. Sempre nel 2014, dopo aver visitato i villaggi di Flores, raggiunsi il Kalimantan (la parte indonesiana dell'isola del Borneo) con lo scopo di vedere e fotografare gli oranghi. Arrivammo tramite l'ennesimo aereo senza aver prenotato nessun tour dall'Italia e, sebbene siamo stati molto fortunati, ad oggi consiglierei di arrivare sul posto già con qualche contatto, o quantomeno non arrivare come facemmo noi con i giorni contati. Vi lascio quindi ai racconti di allora, che chioserò di tanto in tanto quando lo riterrò opportuno per non renderli troppo fumosi. Buona lettura.

Adi non si fermò ai primi cento no, che poi in realtà erano un “dopo vediamo”, come quelli dei genitori quando eravamo piccoli nelle feste di paese.
Arrivammo a Pangkalan Bun con un po' di ritardo, e senza un tour per visitare il Tanjung Puting in kotlok lungo il fiume (Sekonyer). Ci aspettavamo di trovare all'aeroporto orde di procacciatori, stile Varanasi, mentre incontrammo solo l'indifferenza generale. La scoperta non trascurabile fu però che persona in indonesiano si dice Orang.
Poi il destino sotto forma di tassista ci aveva portato a Kumai da una donna bellissima che sarebbe riuscita a metterci su una barca, farci accarezzare il fiume e vedere gli oranghi. Il problema è che noi preferivamo un klotok tutto per noi e questo sembrava non essere possibile.
Ci congedammo quindi da tanta bellezza, formando due gruppi alla ricerca di agenzie, barche o geni della lampada. Io invece avevo il compito di fermarmi per strada e guardare gli zaini dell'allegra compagnia. Poco importa se passai quel tempo soprattutto a parlare, fare panning e foto ad un tizio che annaffiava la strada.
Fu allora che Adi si avvicinò, con estrema gentilezza e con il solito refrain, che comprendeva Valentino Rossi, Andrea Pirlo e Mario Balotelli. Provò subito a vendermi un tour con la sua barca che sua non era. Io gentilmente gli spiegavo che avevo quattro amici in giro per Kumai che potenzialmente nel momento in cui noi stavamo parlando avrebbero potuto prenotare tutto…da una zattera ad un transatlantico. Invece la compagnia tornò a mani vuote e ci trovammo a pesare le due proposte: quella della donna dei sogni e quella di un uomo che sognava, capitato lì per caso mentre facevo foto ai passanti. Giorni dopo in Italia qualcuno mi avrebbe detto che “un uomo solitamente vende ciò che non ha, mentre una donna ciò che non è”. Non credo sia sempre vero, ma a pensarci bene in quella situazione era proprio così. Adi non aveva un suo klotok, (era dello zio?), ma aveva la passione per una giungla che lui voleva rivedere e noi scoprire. La donna bellissima aveva una barca, un equipaggio, ma del Borneo e degli Orangh(i) non le importava niente. E questo era fin troppo evidente. Scegliemmo Adi, abbassando ulteriormente un prezzo già buono, perché è più facile avere ciò che non si ha, che essere ciò che non si è. Una volta scelto, il nostro continuò a non fermarsi ai primi cento no.. Ci diede Arak e birra anche se non sembravamo molto convinti. Lui invece beveva acqua dal fiume. O forse faceva finta di farlo. E poi tutto sorridente e festante faceva i versi delle scimmie per avvicinarle a se e a noi: moderni diogene senza botte e lanterna alla ricerca di Oranghi o persone…


E in effetti vedere gli oranghi nel Tanjung National Park è facile. A tal punto che forse si perde un pò quell'alone di magia che invece di solito c'è in un comune safari, quando l'avvistamento non è scontato e la vista di un animale è un regalo prezioso. Il traffico sul fiume Sekonyer è tanto: Ci sono diverse imbarcazioni, che in taluni punti arrivano anche a toccarsi. Ecco questa forse è una differenza notevole con quei safari che di solito si fanno in jeep. L'attrazione qui non sono solo gli animali ma anche la vita che scorre su questi Klotock. Un bimbo gioca, un ragazzo fa il bucato, una madre allatta il proprio bambino.



Poi si arriva a destinazione all'ora stabilita: una corda segna il confine da non oltrepassare. La gente che assiste allo spettacolo è tanta, e non sempre sta al proprio posto con ordine: si sgomita un pò per un posto che aiuti a fare una buona foto. Oltre la corda, ad una decina di metri c'è una grande pedana di legno, come fosse il palcoscenico di un teatro. Un uomo, per mezzo di qualche gradino, raggiunge la pedana e vuota il contenuto di un secchio, poi un altro e un altro ancora. Quel palcoscenico naturale si riempie allora di tante banane (non sbucciate), ma manca ancora qualche colpo di teatro. Per questo l'uomo che ha vuotato i secchi porta entrambe le mani vicino alla bocca e lancia un lungo urlo che funga da richiamo, tipo quello di Tarzan, ruotando la testa a destra e sinistra: le fronde degli alberi si muovono anche se non c'è vento. Gli oranghi, da ogni direzione, finalmente, arrivano. Il maschio dominante risponde all'urlo e avrà la precedenza su tutti gli altri.

Qualcuno arriva dalla parte opposta, ma qualcuno ci passa molto vicino. Mi passa vicino una madre con due cuccioli un pò spaurita. Ricorderò i suoi occhi, espressivi quanto se non di più rispetto a quelli umani per molto tempo.
Sono seguite diverse discussioni relative all'autenticità dell'esperienza. Non abbiamo visto gli oranghi in cattività, questo è certo, ma forse non abbiamo visto gli oranghi completamente liberi e autonomi. Nonostante questo è un'esperienza che merita e rifarei senza ombra di dubbio. Successivamente abbiamo visitato un piccolo museo all'interno del parco, con storia e foto relative alla nascita e allo sviluppo del parco e un centro di recupero di oranghi rimasti orfani. Qui gli oranghi, chiamati per nome, hanno un rapporto con gli umani molto stretto e il loro grado di dipendenza da chi lavora in questo centro è significativo, anche se varia da caso a caso, e varia per lo stesso orango nel corso della sua esistenza.

Il Taniung National Park è ideale anche per osservare le scimmie Nasca. Queste scimmie vivono soltanto nel Borneo e hanno la caratteristica di avere un naso, soprattutto i maschi, molto grande. Il nostro buon Adi ci permette di avvistarle e conseguentemente fotografarle. A differenza degli oranghi, chiaramente, non riusciamo ad avvicinarci molto. Le scimmie Nasca quindi saranno sempre a debita distanza, per quanto ben visibili. Rientriamo infine sulla nostra imbarcazione e consumiamo la nostra cena a base di pesce e cipolla, annaffiata con un pò di coca cola, prima di addentrarci nella foresta per un avventuroso e piacevole safari notturno, che è stato di ispirazione per il successivo racconto. Anche in questo racconto arriva, oltre la genuina passione di Adi per la giungla e per il suo lavoro (?)(se lo fosse ancora adesso non ne siamo sicuri) l'eco della mia sofferenza personale e della mia storia d'amore finita ancor prima di cominciare.


C'è una sorta di continuità tra i nostri viaggi. Una serie di corsi e ricorsi storici, qualcuno magari cercato, qualcun altro incontrato per caso. Adi ha fatto la spesa, ci ha messo nel klotok e portato a vedere gli oranghi. Tanto gli avevamo chiesto e tanto ci sarebbe bastato, ma Adi ha negli occhi e nel cuore una luce non comune, che la donna dei sogni aveva perso o forse non aveva mai avuto. Di notte decide quindi di organizzare un po' di trekking nella foresta del borneo, in compagnia di un ragazzo con i sandali rotti e una torcia che fa poca luce. Con Wilmar due anni prima avevamo fatto qualcosa del genere nella foresta amazzonica, in Bolivia, ma l'esperienza, seppur simile, risulta essere abbastanza diversa. E non solo perché Wilmar mi chiamava “gordito” (in maniera affettuosa) e Adi mi chiama sempre per nome. La differenza principale sta nella durata e conseguente fatica. Nel Borneo camminiamo per ben due ore di notte con la compagnia della luna. Adi ci mostra tane di tarantole. In alcune infila dei ramoscelli per scovare il grosso ragno. In altre infila la mano tra l'incredulità generale. Ci fa vedere uccelli che dormono, fermi come fossero fatti di marmo, rospi velenosi e insetti mortali. Si rammarica del fatto che non sia sceso sulle nostre teste qualche serpente e si scusa per questo. Quando è il momento di tornare sul klotok scova una scimmia nasca su un albero. La disturba con la voce e con la luce. Divertitosi ci dà l'ultima indicazione della giornata, prima che noi potessimo sdraiarci all'aperto sui materassini della nostra imbarcazione. Quando di notte ci alzeremo per andare in bagno dobbiamo gettare un occhio sul fiume. Di notte un coccodrillo sono due puntini rossi vicini. Allora ripenso all'anno scorso. Prima di dormire Mike, che aveva un senso dello humor completamente diverso da quello di Adi, dice la sua. “Niente scarpe fuori la tenda:le iene le mangeranno. Andate in bagno ma sempre con la torcia. Se vedete due puntini luminosi a questa distanza (mimata con le dita) ritornate nella tenda, perché è un leone”.
La mente allora si riavvicina al corpo, nel Borneo: sorrido e guardo subito il fiume. Ecco due puntini rossi. È un coccodrillo, piccolo e solo. Nel mondo degli uomini gli occhi sono lo specchio dell'anima. O almeno così dicono. In quello degli animali invece, quando il buio è totale, sono gli unici a raccontare un po' di verità…





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avatarsenior
inviato il 10 Novembre 2017 ore 12:29

Nel mondo degli uomini gli occhi sono lo specchio dell'anima. O almeno così dicono. In quello degli animali invece, quando il buio è totale, sono gli unici a raccontare un po' di verità…

Molto bello il messaggio finale e appassionante tutto il racconto di viaggio!
Ottime foto, decisamente toccanti e molto tenere quelle con la mamma e il cucciolo di orango...
;-):-P

Un altro gran bel lavoro, David!
Complimenti!

Ciao, Flo
;-)

avatarsenior
inviato il 15 Novembre 2017 ore 6:24



Grande .... belle foto .... interessante commento.

avatarjunior
inviato il 24 Novembre 2017 ore 17:26

Grazie Flo!e grazie Maurizio!:)

avatarjunior
inviato il 04 Febbraio 2018 ore 22:38

Bravo, complimenti!





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