RCE Foto

(i) Per navigare su JuzaPhoto, è consigliato disabilitare gli adblocker (perchè?)






Login LogoutIscriviti a JuzaPhoto!
JuzaPhoto utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti per ottimizzare la navigazione e per rendere possibile il funzionamento della maggior parte delle pagine; ad esempio, è necessario l'utilizzo dei cookie per registarsi e fare il login (maggiori informazioni).

Proseguendo nella navigazione confermi di aver letto e accettato i Termini di utilizzo e Privacy e preso visione delle opzioni per la gestione dei cookie.

OK, confermo


Puoi gestire in qualsiasi momento le tue preferenze cookie dalla pagina Preferenze Cookie, raggiugibile da qualsiasi pagina del sito tramite il link a fondo pagina, o direttamente tramite da qui:

Accetta CookiePersonalizzaRifiuta Cookie

Il segno nella fotografia digitale (parte seconda)


  1. Forum
  2. »
  3. Blog
  4. » Il segno nella fotografia digitale (parte seconda)





user250123
avatar
inviato il 07 Giugno 2024 ore 11:20

DOVE ERAVAMO RIMASTI

Nella prima parte de "I segni nella fotografia digitale" ho iniziato da una citazione sulla PERCEZIONE di Peirce ed il mio scopo è stato quello di proporre - a chi ha seguito l'intera faccenda - una "rappresentazione" in chiave semiotica di come sia possibile trattare concretamente la percezione al di fuori del mero "cognitivismo" dell'io-fotografo. Necessario od inutile? A mio modesto avviso utile, anzi utilissimo, per cercare di "indovinare e riflettere" dove la tecnologia digitale implementata da elementi di intelligenze scientifiche (AIs - al plurale) possa portare la "cultura dell'immagine" e quindi "la fotografia" nel futuro prossimo.

Ritengo la speculazione di primaria importanza per due ragioni conseguenti: la prima è che l'approccio meramente dualistico-cognitivista (i sensi materiali) sia la cosa più facile da "ingannare" di questo mondo [son cose da primo anno universitario] e quindi non può essere utilizzato per indagare su-sé-stesso e la seconda è che, in questa fase tecnologicamente transitoria, più spesso ci troveremo dinnanzi a FALSIFICAZIONI di ciò che è davvero il "pensiero computazionale". Queste falsificazioni sono frutto di meri opportunismi commerciali mordi e fuggi: si tratta l'intelligenza artificiale come un suffisso-di-tendenza e lo si appiccica a qualsiasi soggetto od oggetto abbia un prezzo e sia indirizzato al consumatore finale. Fanno come come l'etichetta PRO, contando sull'altrui ignoranza, i tanti Durante di questo mondo.

Io che, invece, non devo vendervi nulla lo dico chiaro e tondo subito: se non ravvisate un rimestamento del concetto di "potere" non è vero AIs e state solo giochicchiando con delle utilities più emancipate di altre ma ancora - fondamentalmente - stupide. Visto che cito - anche io, qui - il "potere" come una discriminante fondativa per un ragionamento di più ampio respiro è normalissimo andare con la mente al concetto di "volontà" (di potenza, di significato, di personalità, etc.) per come già ampiamente trattati da Nietzsche, Frankl, Adler e Jung. Io però, nel nostro contesto extra-diagnostico, inizierei questa seconda parte di nuovo da una citazione che invece non proviene dalla psico-analitica "classica" bensì dai molto più recenti "teorismi" multi-disciplinari ed accademici californiani (Burkeley).

In qualche modo voglio rimanere concettualmente "vicino" a quell'humus intellettuale che poi - inevitabilmente - si riversa nelle Big-Tech americane a tutti note.


user250123
avatar
inviato il 07 Giugno 2024 ore 11:34

POTERE 2.0

Judith Butler - teorica critica del "Gender trouble" - afferma che:

"Essere dominati da un potere esterno a noi è una delle forme note e dolorose che il potere assume. Altro è, tuttavia, scoprire che ciò che noi siamo, il nostro stesso costituirci come soggetti, dipende in qualche modo proprio da quel potere. Siamo abituati a pensare al potere come a ciò che si impone al soggetto dall'esterno […] se però […] comprendiamo che il potere FORMA il soggetto e al contempo DELINEA le condizioni stesse della sua esistenza […] allora esso non è piú semplicemente ciò cui ci opponiamo, ma anche, in un senso forte, ciò da cui DIPENDIAMO per la nostra esistenza e ciò che accogliamo e proteggiamo nel nostro stesso essere".

user250123
avatar
inviato il 08 Giugno 2024 ore 5:58

IPSE DEXIT

Copio-incollo di seguito il testo generato automaticamente da GTP-3.5 Turbo in risposta ad una mia interrogazione generica utilizzando DuckDuckGo AI Chat BETA:

"Le conseguenze cognitive dell'uso dell'intelligenza artificiale nella fotografia digitale sono un argomento interessante e complesso. L'intelligenza artificiale sta rivoluzionando il settore fotografico, offrendo strumenti avanzati per migliorare la qualità delle immagini, automatizzare processi e creare effetti creativi.
L'uso dell'intelligenza artificiale può avere diverse implicazioni cognitive. Ad esempio, l'automazione di alcune fasi del processo fotografico grazie all'IA potrebbe influenzare la creatività e il coinvolgimento dell'artista. Allo stesso tempo, l'IA può aiutare a superare alcune sfide tecniche, consentendo ai fotografi di concentrarsi maggiormente sull'aspetto creativo della fotografia.
Inoltre, l'IA può influenzare la percezione estetica e la standardizzazione delle immagini, portando a una certa omogeneità nel modo in cui le foto vengono elaborate e condivise online. Questo potrebbe avere un impatto sulla creatività individuale e sulla diversità visiva nel mondo della fotografia.
È importante esplorare in modo critico le implicazioni cognitive dell'uso dell'IA nella fotografia digitale, considerando sia i benefici che le sfide che questa tecnologia può portare. Se hai domande più specifiche su questo argomento o desideri approfondire ulteriormente, sarò lieto di aiutarti".

Riformulo la domanda in modo leggermente diverso ed ottengo in risposta:

"Le conseguenze cognitive dell'uso dell'intelligenza artificiale nella fotografia digitale possono essere varie. Da un lato, l'IA può semplificare e automatizzare molti processi fotografici, consentendo agli utenti di ottenere risultati migliori in termini di qualità delle immagini. Tuttavia, l'uso eccessivo dell'IA potrebbe anche portare alla perdita di creatività e originalità, poiché i filtri e le correzioni automatiche potrebbero omogeneizzare lo stile fotografico delle persone.
Inoltre, l'abitudine a utilizzare l'IA per migliorare le immagini potrebbe influenzare la percezione della realtà e portare a standard irrealistici di bellezza e perfezione. Ci potrebbe essere anche una dipendenza dall'IA per ottenere risultati desiderati, anziché sviluppare le proprie abilità fotografiche.
In definitiva, è importante trovare un equilibrio nell'uso dell'IA nella fotografia digitale, sfruttando i suoi vantaggi senza perdere di vista l'importanza della creatività e dell'originalità nell'arte fotografica".

Insisto e riformulo la domanda per la terza volta, ed ottengo:

"L'uso dell'intelligenza artificiale nella fotografia digitale può certamente influenzare la percezione umana della realtà. Le tecnologie di editing e miglioramento delle immagini basate sull'IA possono alterare in modo significativo l'aspetto delle persone e degli oggetti nelle foto, creando standard irrealistici di bellezza e perfezione.
Questo può portare a una distorsione della percezione della realtà, poiché le immagini modificate possono creare aspettative irreali su come dovrebbero apparire le persone o le situazioni nella vita reale. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei social media, dove le immagini ritoccate possono portare a una percezione distorta di sé e degli altri.
Questa distorsione della realtà può essere pericolosa poiché potrebbe influenzare l'autostima, l'immagine corporea e la percezione di sé stessi delle persone. Inoltre, potrebbe portare a una mancanza di apprezzamento per la diversità e la bellezza naturale delle persone.
È importante essere consapevoli di come l'uso dell'IA nelle immagini possa influenzare la nostra percezione della realtà e cercare un equilibrio tra l'uso delle tecnologie digitali e la valorizzazione della bellezza autentica e della diversità umana".

A questo punto introduco la parola "semiosi" nella mia domanda ed ottengo come quarta risposta:

"L'uso dell'intelligenza artificiale nella fotografia digitale può certamente avere implicazioni significative dal punto di vista della semiosi, cioè dello studio dei segni e dei processi di significazione.
Le tecnologie basate sull'IA possono influenzare la creazione e l'interpretazione dei segni visivi nelle immagini fotografiche. Ad esempio, i filtri e le correzioni automatiche dell'IA possono modificare il significato e l'interpretazione delle immagini, influenzando la comunicazione visiva e la trasmissione di messaggi.
Inoltre, l'uso diffuso dell'IA nella fotografia digitale potrebbe portare a una standardizzazione dei segni visivi, riducendo la diversità e l'originalità nell'interpretazione delle immagini. Ciò potrebbe influenzare la capacità umana di interpretare e apprezzare la complessità e la varietà dei segni visivi presenti nelle fotografie.
In definitiva, l'uso dell'IA nella fotografia digitale potrebbe avere implicazioni profonde sulla semiosi, influenzando la creazione, la trasmissione e l'interpretazione dei segni visivi nelle immagini fotografiche. È importante considerare come queste tecnologie possano modellare la nostra comprensione e percezione del mondo visivo che ci circonda".

Ora faccio questa domanda: Mi interessa sapere come sia possibile per noi governare la semiosi all'interno dei processi autogenerativi che interessano l'intelligenza artificiale nella fotografia digitale.

Risposta:


"Per governare la semiosi all'interno dei processi autogenerativi che coinvolgono l'intelligenza artificiale nella fotografia digitale, è importante adottare approcci etici e consapevoli. Ecco alcune strategie che potrebbero essere utili:

Trasparenza e consapevolezza: È essenziale essere trasparenti sull'uso dell'IA nelle immagini e educare gli utenti sulla manipolazione delle immagini. Promuovere la consapevolezza sull'uso dell'IA può aiutare le persone a comprendere meglio come le immagini vengono modificate e interpretate.

Etica nell'IA: Sviluppare linee guida etiche per l'uso dell'IA nella fotografia digitale, che includano principi come equità, trasparenza, responsabilità e rispetto della diversità. Queste linee guida possono aiutare a garantire che l'IA venga utilizzata in modo etico e rispettoso.

Partecipazione umana: Assicurarsi che l'IA sia utilizzata come strumento per migliorare le capacità umane anziché sostituirle. L'interpretazione e la creazione di significati nelle immagini dovrebbero coinvolgere attivamente le persone, mantenendo al centro il ruolo dell'essere umano nella semiosi.

Diversità e inclusione: Promuovere la diversità e l'inclusione nelle immagini digitali, evitando standard irrealistici di bellezza e promuovendo la rappresentazione autentica e rispettosa della varietà umana.

Monitoraggio e regolamentazione: Monitorare costantemente l'uso dell'IA nella fotografia digitale e sviluppare regolamentazioni adeguate per garantire che venga utilizzata in modo responsabile e rispettoso.

Governare la semiosi all'interno dei processi autogenerativi dell'IA nella fotografia digitale richiede un approccio olistico che tenga conto degli aspetti etici, sociali e culturali coinvolti. Collaborare con esperti di diversi settori e coinvolgere la comunità nella discussione su come utilizzare in modo responsabile l'IA nella fotografia digitale può essere fondamentale per garantire un impatto positivo e consapevole sull'interpretazione delle immagini".

A mia volta replico con questa osservazione: Scusa, ma io ti ho chiesto come sia possibile controllare gli effetti della semiosi dall'interno e tu invece mi hai risposto di come sia possbile controllarli dall'esterno.

Risposta:


"Chiedo scusa per la mia risposta precedente. Per controllare gli effetti della semiosi dall'interno nei processi autogenerativi dell'intelligenza artificiale nella fotografia digitale, potresti considerare le seguenti strategie:

Progettazione dell'IA: Integrare principi semiotici nella progettazione stessa dell'IA utilizzata nella fotografia digitale. Ciò potrebbe includere la creazione di algoritmi che tengano conto della complessità dei segni visivi e della loro interpretazione.

Apprendimento supervisionato: Monitorare attentamente il processo di apprendimento dell'IA e intervenire quando si verificano distorsioni nella semiosi. Ad esempio, potresti regolare i dati di addestramento per garantire una rappresentazione più equilibrata e autentica delle immagini.

Feedback umano: Incorporare il feedback umano nel processo di generazione e interpretazione delle immagini da parte dell'IA. Gli esseri umani possono contribuire a correggere eventuali distorsioni nella semiosi e a garantire una rappresentazione più accurata della realtà.

Auto-regolamentazione dell'IA: Sviluppare meccanismi interni all'IA stessa che consentano di auto-regolarsi in base ai principi semiotici stabiliti. Ad esempio, potresti implementare algoritmi di auto-correzione che rilevino e correggano distorsioni nella semiosi.

Trasparenza e interpretazione: Assicurarsi che l'IA fornisca informazioni trasparenti sulle sue decisioni e sul processo di generazione delle immagini. Questo può aiutare a comprendere meglio come l'IA interpreta i segni visivi e a intervenire se necessario.

Controllare gli effetti della semiosi dall'interno nei processi autogenerativi dell'IA nella fotografia digitale richiede un approccio attivo e consapevole che integri principi semiotici fin dalla fase di progettazione e implementazione dell'IA stessa. Spero che queste strategie possano esserti utili per gestire la semiosi all'interno dei processi autogenerativi dell'IA nella fotografia digitale".

IPSE DIXIT cari miei IPSE DIXIT.

user250123
avatar
inviato il 09 Giugno 2024 ore 8:47

TRIBOLAMENTI

Linko di seguito l'ottimo articolo di Maurizio Natali (Saggiamente) pubblicato proprio ieri (8 giugno 2024) in quanto editore/fotografo/videomaker dinnanzi al fenomeno "emergente" delle IAs.

www.saggiamente.com/2024/06/serve-una-regolamentazione-contro-le-intel

Pur condividendo quanto Natali descrive e riporta, il suo punto di vista - che è quello di moltissimi "artigiani" e "professionisti" del settore coinvolti - non riesce a cogliere il "senso" [per me accademicamente cruciale] della sua secondità-attualistica. Inoltre è un poco buffo confrontare questo articolo con la le risposte che ottenevo, anche io proprio ieri, nella mia chiacchierata con GTP-3.5 Turbo.

Ho scelto la parola TRIBOLAMENTI perché è con questo termine - se ricordate - che Bruno Latour nella sua teoria multi-attore descriveva l'agensività delle "sostanze" all'interno di una reazione chimica. Natali denota invece (e putroppo) l'impostazione mentale "classica" della figura del buon "Pensatore" [Tolstoj-Lenin] che tra Ottocento e Nocecento si chiedeva "Che fare?" dinnanzi a ciò che era percepito come un "problema" statico per quanto sociale. Ma non è questo il caso, come dicevo al termine della prima parte di questa disamina sui segni.

Non c'è - qui - una "rivoluzione" da governare... ergo l'approccio storicistico, per quanto comprensibilmente umano ed interessato [dualisticamente] , non può funzionare ed è un vicolo cieco. Fatta salva, ovviamente, la legittimità di qualsiasi "opinione" [un "secondo me"] ben argomentata come nel caso di Natali al quale va anche riconosciuta l'onestà intellettuale di porsi in mezzo a noi [un "secondo noi"] a differenza dei pizzicagnoli funariani della "Vera fotografia" [vera "mortazza" tagliata a straccetti] che all'ottusità mentale aggiungono pure un quanto basta di disonestà morale e mentre ti sorridono vendendoti "qualcosa" appoggiano il loro crasso dito sulla bilancia.

In questo senso non vi è nulla di piú millantatorio ed anacronistico di una "Vera Comunità di Veri Appassionati della Vera Fotografia" che altro non è se non un costrutto totalmente iper-simbolico auto-referenziale dissociato dallo status-dinamico relazionale nel quale - oltre a noi - anche la cultura dell'immagine "vive" e cresce. Una scusa, persino volgare, per creare un recinto [In&Out] nel quale far confluire polli da spennare, in vario modo. Se questa è l'alternativa a vivere nel "flusso" della semiosi - cioè seppellirsi da soli in un cimitero - non meraviglierà che persino le allucinazioni made in Cupertino (solo un esempio) abbiano - in termini di realismo rappresentazionale - maggiore attrattiva e credibilità.

user250123
avatar
inviato il 11 Giugno 2024 ore 0:29

NOMEN OMEN

“Ecco il nostro prossimo grande passo, la Apple Intelligence" ha annunciato Tim Cook alla Conferenza degli sviluppatori di Cuperino. "L'Intelligenza artificiale deve riflettere i nostri principi: essere potente, intuitiva, integrata ai nostri prodotti, calata nel contesto personale e costruita per mantenere la privacy”. (Fonte ANSA, 10/06/2024)

user250123
avatar
inviato il 11 Giugno 2024 ore 8:47

RIPRESENTAZIONE

Ora, il cittadino-consumatore [già-ma-non-più fotografo] si interrogherà appassionatamente su cosa significhino le nuove implementazioni, presentate iernotte, di visionOS chez Apple: dal poter creare un "video-ricordo" semplicemente parlando, all'avere due schermi 4k appiccicati al volto nei quali interagire - distintamente occhio per occhio - con l'app Foto sfruttando la ricostruzione tridimensionale (AI) delle proprie vecchie foto panoramiche anni duemila. Tutto molto interessante, ma tutto secondità.

Dalla mia prospettiva - tutto ciò e quel che verrà - ha la sola utilità speculativa di farci riflettere su come cambia la nostra "comprensione" dei modi in cui il potere si modella attraverso la "forma" - questa fantomatica entità specialissima - soprattutto quando riconosciamo la forma come un genere di realtà oltre l'umano. In semiosi, tecnicamente, parliamo di "re-presentation". Tale ripresentazione abita sempre il futuro, ma è già tra di noi come futuro-presente.

"E già iernotte fu la luna tonda" - (Dante)

user250123
avatar
inviato il 12 Giugno 2024 ore 8:42

SOPRAVVIVENZA

Che cos'è la sopravvivenza? Uno può dire: il fine ultimo della semiosi. Ciò sarebbe vero se la semiosi desse un valore di segno "positivo" al sopravivvere ma così non è. Casomai, questo processo di significazione, siamo noi umani In quanto sé-simbolici a farlo anche se ci è facile "riconoscerlo" parimenti nell'istinto [di sopravvivenza] che caratterizzerebbe sé-non-simbolici, come gli animali. Ergo: questa cosa del "fine ultimo" storicistico non sembra funzionare per nulla bene. È una coperta troppo corta.

Allora possiamo proporre che la sopravivvenza sia un "come fare" per abitare il futuro. All'interno di questi "come fare" è piuttosto semplice riconoscere la re-presentation semiotica che funzionerà diversamente in base ai sé - di volta in volta - coinvolti. Ad esempio la "predittività" [indicale] degli autofocus "intelligenti" sdoganati dal digitale è un qualcosa che ha moltissime similitudini con i processi di caccia dei predatori in natura.

Se il predatore naturale, come un felino, usa la "predittività" indicale per poter mangiare, e quindi sopravvivere, è anche vero, però, che il suo "come fare" per continuare ad abitare il futuro non si deve relazionare con quei processi emergenti - agensivi - che modificano la "politica" in essere tra prede e predatori. E, in effetti, la "predittività" degli AF - nel nostro sistema di cose - può essere tranquillamente derubricata ad un qualcosa di proto-qualcosa-d'altro visto che, nel regno del "Sempre-Già", l'intero concetto del sopravvivere "subisce" la latenza astoricistica della forma.

Questo "subire" equivale ad un "essere trasformati" dal nostro stesso servirci della strana logica causale della forma. Ripetiamo che - qui - non si tratta più di tirare o spingere o peggio ancora resistere alle dinamiche emergenti: sono pie illusioni dell'io-sé. La forma può "congelare" il tempo secondo modalità che cambiano la nostra comprensione della causalità in considerazione del fatto che, nel regno del "Sempre-Già", tutto il latente [forma compresa] persiste astoricamente. Al "neuronale" macchinico non viene l'Alzheimer, mettiamocelo bene in testa.

user250123
avatar
inviato il 12 Giugno 2024 ore 9:41

DONARSI

Proviamo con la terminologia inglese, meno letteraria: nell'Always-Already la "sopravvivenza" è data, anzitutto, dalla possibilità di accedervi. Se non accedi, semplicemente non-esisti e fine della storia. L'aver traslato - come prima cosa - il diritto di proprietà in diritto di accesso è qualcosa che va oltre il simbolico, è un "come fare" che genera tutto il resto conseguentemente. L'out-out della s-materializzazione, in questo, è stato implacabile e dittatoriale come qualsiasi altro "regime" totalitario.

Quindi, la prima "azione" individuale, noi possiamo ben figurarcela come un "darsi". Noi ci "doniamo", volontariamente, ma non so quanto consapevolmente a qualcosa. Ciò è interessante, perché personalmente mi riporta a Marcel Mauss, filosofo che - più di altri - indagò il "dono" in termini economici. Ma non è interessante solo la sua "economia del dono" quanto il fatto che seppe metterla in relazione al mondo dei morti e degli spiriti, financo alla magia stessa.

Diceva Mauss: "[...] ci si dà donando e, se ci si dà, è perché ci si deve - sé ed i propri beni - agli altri". Questa frase va saputa leggere, perché non è d'immediata comprensione. Ciò che a me preme sottolineare è la perenne condizione di "debito" del sé-individuale rispetto all'ecologia degli altri sé, un debito che, però, paradossalmente si genera da un "donar-sé-stessi" ergo la relazionalità creditore-debitore finisce, anche in questo caso, con il ricadere nell'inversione preda/predatore che abbiamo abbondantemente trattato nella prima parte di questa analitica.

user250123
avatar
inviato il 12 Giugno 2024 ore 11:51

SALE

In precedenza ho già accennato al fatto di come l'antropologia moderna, grazie alla semiosi, abbia abbandonato il lessico "primitivista" etnografico. Oggi un indigeno non può più essere descritto come un "selvaggio" [eccetera eccetera] non solo perché è cambiata la sensibilità e la cultura [secondo l'approccio sociologico] ma anche perchè - da un punto di vista strettamente scientifico - questo approccio dualistico cartesiano non è riconosciuto come coerente in seno alla "rappresentazione" del reale.

Una delle tante assurdità che si possono leggere in merito al vecchio approccio colonialista, tanto per esemplificare, è che la civilizzazione inizierebbe laddove l'uomo ha cominciato a mangiare il sale. Ergo: niente sale = ancora selvaggio. Ora: quando gli antropologi occidentali sono andati a chiedere, con occhi nuovi, agli ex-selvaggi-colonizzati "come mai" in precedenza non mangiassero il sale si sono sentiti rispondere che, in verità, pure loro hanno sempre mangiato il sale nell'antichità e - solo dopo - diventando "selvaggi" hanno smesso - salvo poi riprenderne l'uso una volta colonizzati.

Chiaro il concetto? Secondo gli ex-selvaggi - nelle loro ataviche instanziazioni [tribali] precedenti - erano già consumatori di sale e quindi erano già "civilizzati" prima che la nostra colonizzazione li ri-portasse allo status di "civili". Ergo: il consumo di sale [come metafora, nel nostro discorso] si è ri-presentato e ri-presentandosi ha fatto emergere una dinamica semiotica che ha modificato lo status della civiltà stessa degli indigeni. Domanda provocatoria: non vi pare che l'essere "Sempre-Già" stati "civili" secondo la prospettiva indigena abbia una qualche utilità, per analogia, nel nostro stato di cose?

E se io mi figurassi la pittura come l'ancestrale fase nella quale gli indigeni già "consumavano il sale"?
E se io mi figurassi la fotografia ESCLUSIVAMENTE ANALOGICA come la brevissima fase "incivile"?
Non per immodestia ma ho fatto innamorare diversi artisti-e-fotografi analogici di questa idea.
Sarà perché c'è del romantico nell'idea di essere un poco incivili [in-governati] .
Vi lascio alle vostre riflessioni.

user250123
avatar
inviato il 13 Giugno 2024 ore 8:29

MITO

Dice: ma come hanno fatto i "civili" a diventare "selvaggi"? Com'è che, ad un certo punto, hanno "dimenticato" il sale e si sono inselvatichiti prima che li colonizzassimo? Rispondo con una domanda: ma come ha fatto la pittura a diventar fotografia? Speculativamente la cosa può essere inquadrata nel "mito". Stando ai racconti c'è sempre di mezzo una catastrofe, come un diluvio o simili, che trasla qualcuno da una condizione ad un'altra - e ciò è comune a tutte le civiltà.

Dal sostrato primordiale si "cade" in un limbo diciamo "d'infedeltà" rispetto alla condizione precedente e queste peregrinazioni "mitologiche" determinano l'inselvatichimento temporale ma ciò non scalfisce minimamente l'essere "sempre-stati-già" qualcosa. Dunque: la "terra d'origine" rimane sempre la stessa - immutata - mentre coloro i quali "escono" [cadendo] da essa - e cioè dalla FORMA - entrano nel tempo. Lì inizia la Storia.

Ciò che è importante segnalare, extra-storicamente nel "mito", è che non vi è una progressione che conduce altrove bensi un continuo ruotare attorno ad una figura centrale - il sé - che è "sempre-già" quello che diventerà anche nel suo continuo ed aperto divenire. Ergo: un sé in costante cambiamento, in continuità con le instanziazioni passate e future, ci indica che cosa significhi "prosperare" ecologicamente, in maniera integrata, e senza dualismi.

user250123
avatar
inviato il 13 Giugno 2024 ore 9:19

NOMI

Per come "funzioniamo" dare un nome agli altri è inevitabile e questo fatto è piuttosto centrale nel nostro discorso. Se consideriamo il nome come un'etichetta - domandandoci se sia quella "giusta" - perdiamo di vista un dettaglio importante: nessuno che scatti fotografie con uno smartphone si definisce per questo un "fotografo". Semplicemente: non-si-definisce. Questo "essere-azione" ha più senso se lo inquadriamo come il posizionamento di un "soggetto-relazionale" in un'ecologia [cosmica] dei sé in cui tutti gli esseri vedono sé stessi come persone [degli "io"] . In questo senso una etichetta vale l'altra - e nessuna etichetta andrebbe bene ugualmente se solo fosse possibile, per noi, "funzionare" senza affibbiare "nomi" a qualsiasi entità. Il "soggetto-relazionale" altro non è che il sé nella continuità della "forma" e questo ci riporta al problema dei pronomi già visto in precedenza. L'idea che i "fotografi" siano una tribù funzionerà pure bene nei contesti commerciali per abbindolare i culturisti del proprio ego ma non ha alcuna rilevanza fattuale nella dinamica semiotica che sta alla base dei dispositivi mutanti tecno-scientifici.

user250123
avatar
inviato il 13 Giugno 2024 ore 10:00

SOSTITUTI IMPERFETTI

Approfondiamo un poco la cosa: se trattiamo la parola "fotografo" come un sostantivo perdiamo di vista il modo in cui effettivamente funziona ovvero come un pronome personale: l'io-sono-fotografo. Il problema è che siamo abituati a pensare ai pronomi come a "qualcosa" che sostituisce i nomi ma nella semiosi tale relazione va ripensata ed invertita. Peirce dice che i pronomi "indicano l'entità" nella maniera più diretta possibile e quindi ci aiutano - nonostante il linguaggio - a de-simbolizzare mentre i nomi sono solo indirettamente legati ai loro referenti e quindi ci inducono a iper-simbolizzare. Ciò porta Peirce a questa conclusione: "È il nome ad essere un sostituto imperfetto del pronome e non viceversa". Questa inversione, inevitabilmente, si riversa a cascata su tutto il resto del "nominalismo" conseguente e ciò fa direttamente "gioco" alle tecnologie semiotiche emergenti.

user250123
avatar
inviato il 14 Giugno 2024 ore 6:38

PROPAGANDA

Un 'io' figurato in 'tutti i suoi possibili futuri' equivale anch'esso ad un 'noi'.
Certo è un 'noi' un poco particolare ma è comunque un plurale che viene plasmato da tutti i predicati che ha acquisito strada facendo e questa rappresentazione ci serve per evidenziare quanto sia trasparente e financo invisibile l'io limitato ad un solo istante, come quello del "presente", come quello del carpe-diem a cui siamo tanto dualisticamente legati.

Di contro è sempre l'altro - il 'lui', il 'lei' ed il 'questo' oggettivato - che può facilmente essere "visto" e nominato. Ma 'questo' che si trova al di fuori di noi, secondo Peirce, ricade nella secondità ed allora l'auto-oggettivazione altro non è che una strategia - molto importante - per acquisire una "visibilità" che facilmente possiamo rappresentarci come "politica". Domanda: ma voi - in quanto "oggettivati" - state facendo campagna elettorale?

I 'fotografi' non sono i 'questi' della Storia bensì sono degli 'io' che fanno parte - singolarmente - di un 'noi' continuo, vivo, dentro la vita, che sopravvive e prospera. L'oggettivazione, invece, li trasforma in "oggetti" - in oggetti della Storia - e quindi in suoi "prodotti" [fatti dalla Storia, come una serie di cause ed effetti] . Ciò è assolutamente de-umanizzante ma, ancor peggio, è fatale per l'indistinzione [iconica] che si viene a creare tra il sé-macchinico emergente ed il sé-simbolico. Quindi fa sorridere, soprattutto oggi, chi tenta di cavalcare lo tsunami con una serie di "istantanee" ad personam. È propaganda.

Che cosa ne pensi di questo argomento?


Vuoi dire la tua? Per partecipare alla discussione iscriviti a JuzaPhoto, è semplice e gratuito!

Non solo: iscrivendoti potrai creare una tua pagina personale, pubblicare foto, ricevere commenti e sfruttare tutte le funzionalità di JuzaPhoto. Con oltre 256000 iscritti, c'è spazio per tutti, dal principiante al professionista.





Amazon

Metti la tua pubblicità su JuzaPhoto (info)


 ^

JuzaPhoto contiene link affiliati Amazon ed Ebay e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

Versione per smartphone - juza.ea@gmail.com - Termini di utilizzo e Privacy - Preferenze Cookie - P. IVA 01501900334 - REA 167997- PEC juzaphoto@pec.it

www.juzaphoto.com - www.autoelettrica101.it

Possa la Bellezza Essere Ovunque Attorno a Me