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Autenticità versus singolarità


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user250123
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inviato il 11 Dicembre 2023 ore 13:40

[tracce a latere, 2]

M. - [...] e quindi stavi cercando di fotografare il rosso, diciamo così.
P. - Si, e poi K. ci ha fatto caso, perchè stava tarando qualcosa sul banco ottico e mi vedeva muovere, non so, forse in modo strano, e mi ha chiesto spiegazioni.
M. - e tu...
P. - Niente, gli ho raccontato di questo libro, di Franco Fontana, e bla bla bla.
M. - e lui...
P. - Ha sorriso.
M. - cioè, si è messo a ridere oppure ha solo sorriso?
P. - Diciamo una via di mezzo. Non proprio ridere, no.
M. - naturalmente K. conosce Fontana...
P. - Si si. Ma poi non ne abbiamo parlato.
[silenzio]
P. - Cioè, ha solo detto: "Protect me from what I want". Non l'ho capita tanto sta cosa.
M. - È una famosa citazione di Jenny Holzer, connessa al truismo.
P. - Ma cosa c'entra?
M. - Rispetto all'uscire per fotografare il rosso? Dipende: tutto, o niente. "Protect me from what I want" finì stampato sui preservativi, ma anche al MoMA di New York.
P. - Boh, magari gli sta sulle balle Fontana.
M. - Non credo sia questo il punto.



avatarsenior
inviato il 11 Dicembre 2023 ore 21:23

Sono sicuro che di persona risulti simpatico.
Leggendoti invece ti rispondo che nei monasteri Zen il fatto di radersi per femmine e maschi, e la tonaca e il far fare ai novizi le stesse attività degli anziani serve a rendere uguali.
Persino MU serve a togliere gli strati di falsa personalità.
In breve siamo più uguali che dissimili sino a che non otteniamo la trasformazione della paura in consapevolezza.
Poi si diviene "se stessi" e quindi unici.

user250123
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inviato il 11 Dicembre 2023 ore 23:01

@Juan Luca

Ciao e grazie del commento.
Non posso contraddirti nel merito della forma-mentis orientale dove, però, le ritualizzazioni poggiano su basi teoriche [prima che pratiche] molto diverse dal nostro pensiero occidentale.
Lo dicevamo già in un precedente discussione, quando ti segnalavo come il Vuoto per noi occidentali sia effettivamente un "vuoto-vuoto" (nero) mentre nello zen sia "vuoto-pieno" (bianco).

Questo distinguere, sarai d'accordo con me spero, è fondamentale perchè altrimenti finiremmo per considerare le divise degli studenti dei college americani, o dei militari, alla stessa stregua di quelle dei monaci buddisti. Come si dice? L'apparenza inganna!

Sull'essere "se stessi" e quindi unici,
approfitto per aggiungere giusto due righe perchè trovo interessante segnalare anche quanto scrive Emmanuel Lévinas quando va a definire appunto l'essere-sé:

"Nelle descrizioni psicologiche e antropologiche, questo si esprime con il fatto che l'io è già inchiodato a sé, che la libertà dell'io non è leggera come la grazia, ma già un peso, che l'io è irrimidiabilmente sé".

Quindi: essere-sé [visto come] inalienabile peso-per-sé-stessi.
Una "costituzione esistenziale" nella quale si percepisce la fatica del fardello.
Al negativo diventa: non-poter--non-esserlo.

Tutto ruota attorno al verbo "potere" cioè il verbo modale dell'Io per eccellenza, quantomeno nel nostro mondo Occidentale. Ma su questo punto, immagino, anche gli Orientali sarebbero d'accordo anche se poi "svolgono" le loro filosofie in modo molto diverso dal nostro.

Per ultimo, ancora, il girare a vuoto [vuoto-vuoto] di chi invece s'intestardisce nella prospettiva dell'autenticità "spendibile" sostituendo il verbo "potere" con il verbo "volere": il delirio dell'onnipotenza.





user250123
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inviato il 12 Dicembre 2023 ore 11:21

[tracce a latere, 3]

Elias Canetti, in "Il gioco degli occhi" elegge a suo ascoltatore ideale Hermann Broch, il quale offre il suo ascolto all'Altro. Il suo silenzio ospitale è tutto in ascolto ed invita l'Altro a cercarsi esprimendosi liberamente. Lo spessore del filtro di Broch è VOLUTAMENTE, non strutturalmente, ridotto al minimo. Canetti scrive:

"Si sarebbe potuto dire tutto, lui non respingeva niente, non si provava timore [...] . Mentre di solito in queste conversazioni si arriva ad un punto in cui si ha un soprassalto e si dice tra sé: "Alt, fin qui e non oltre!", perché il desiderio di abbandonarsi è già stato largamente appagato e comincia a diventare pericoloso - INFATTI, come si può tornare indietro e ritrovare se stessi, come si potrà essere di nuovo soli? - bene, con Broch questo punto e questo momento non arrivavano mai, non c'era niente che ordinasse l'alt, non s'incontravano mai linee di demarcazione, si continuava ad arrancare, sempre più avanti, come in uno stato di ubriachezza. È un'esperienza sconvolgente scoprire QUANTE COSE abbiamo da dire su noi stessi; e quanto più ci avventuriamo e ci smarriamo in questo territorio, tanto più la corrente s'ingrossa".

Broch, a differenza di Narciso, percepisce la voce della ninfa Eco, che è la voce dell'Altro.



user250123
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inviato il 12 Dicembre 2023 ore 18:25

[tracce a latere, 4]

Quanti fotoamatori hanno speso il loro tempo sulla questione della "grana" in fotografia?
Seguo il Juza forum da molti anni e ne ho lette di cotte e di crude: molti approcci diversi, molte sensibilità diverse, anche se poi la venuta di strumenti digitali sempre più avanzati e dotati di AI ha modificato la sensibilità generale sul tema.

Qui - in tema di autenticità versus singolarità - mi interessa andare a ripescare una distinzione fatta a suo tempo da Barthes quando, studiando la "grana della voce", se ne uscì con la seguente distinzione: il feno-canto ed il geno-canto.

Secondo l'autore la "grana" è contenuta nel geno-canto, dove non è in questione il senso, il significato, ma la voluttà "dei suoi suoni significanti". Voluttà = piacere. Piacere che si trasmette in modo corporeo, quindi materico. È erotismo, non porno-endoscopia. È la "forza seduttiva".

Dall'altra parte, invece, abbiamo il feno-canto dove si concentrano struttura e comunicazione, descrizione ed espressione. Qui è l'anima, e non il corpo, che interagisce con il suono [o l'immagine] . È quella parte che in molti, da quando la fotografia è nata, hanno la perenne tentazione di "destrutturare".

Quindi:
1) geno-canto = sensualità [corporea, materica]
2) feno-canto = senso [intellettivo, mentale]

La "patinatura" è, di conseguenza, un'attività che si fa all'interno del geno-canto.
Lì si decide come articolare, staccare, enfatizzare, la trama materica che poi soddisferà "la chiarezza" del senso [espresso nel territorio del feno-canto] .

Tutto questo lavoro di Barthes sulla "grana del voce" era facilmente trasbordabile nella fotografia analogica perchè rullini e carte rendevano facilmente possibile percepire e distinguere la matericità dal resto. Rullini, sviluppi e carte erano tutte "singolarità", a prescindere, che ti piacesse o meno. Dovevi scenderci a patti. Dovevi conoscerli per esprimerti.

Con il digitale [s-materializzazione] questa condizione viene meno, fin quasi a sparire del tutto: geno-canto e feno-canto si confondono sopratutto agli occhi di un profano ma non solo e, per usare un termine caro a Novalis, diventano "consonantici": producono lo stesso suono, vibrano insieme, e quindi quello che prima era uno spazio si condiviso ma aperto nel quale geno-canto e feno-canto erano liberi di essere Sé e l'Altro, diventa uno spazio angusto.

In questo modificato stato di cose, perse le rispettive singolarità, inizia la ricerca dell'autenticità [quel "sapore", di melma] con ogni mezzo post-produttivo: aggiungere falsa grana o togliere finto rumore [vero "segnale"] , sono operazioni di maquillage "antagoniste" a monitor solamente per il tecnico del pixel-peeping, che però non avrebbero mai ingannato un Barthes.

user250123
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inviato il 13 Dicembre 2023 ore 10:23

[tracce a latere, 5]

È nota l'espressione di Schopenhauer, secondo cui "l'esistenza umana oscilla inesorabilmente tra il bisogno e la noia". Qui aggiungiamo: anche in fotografia, ed è un bel distinguere.

Bisogno: è anche bisogno di esprimersi, come manifestazione della propria Singolarità.
Noja: ricerca di autenticitá, mossa da un sentimento d'assurdità [mancanza di senso] per lo statu quo.

Perniciosità colleterali a bizzeffe.
La più grave, probabilmente, è confondere quel sentimento d'assurdità con quello d'inferiorità.


avatarsenior
inviato il 14 Dicembre 2023 ore 13:23

Triste


"...... Ti vedo e ti piango"
Teofilatto Dei Leonzi.


user250123
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inviato il 14 Dicembre 2023 ore 14:06

@Maurizioartax

"A volte è la mela, a volte è tutto il cesto".
Ma intanto, essendo altruista, ti sollevo dalla commiserazione.

user250123
avatar
inviato il 15 Dicembre 2023 ore 15:32

[tracce a latere, 6]

Koan per occidentali

Quando l'occhio vede qualcosa
di se stesso?


[Solo se è malato]
Viktor Frankl, autenticità & cataratta.


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