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Jacques Henri Lartigue (Courbevoie, 13 giugno 1894 – Nizza, 12 settembre 1986) è stato un fotografo e pittore francese.
Fin da bambino, sento di avere una specie di malattia: tutte le cose che mi stupiscono si dissolvono senza che io riesca a conservarle abbastanza. (J.H. Lartigue) Questa riflessione di un Jacques Henri Lartigue già ultrasettantenne rivela quanto sia superficiale marchiarlo tout court come “il fotografo della felicità”.
Riepiloghiamo brevemente la vicenda personale e fotografica di questo maestro anomalo, e se vogliamo partire dalla fine, diciamo che egli è rimasto quasi sconosciuto come autore fino all'età di settantanni, debuttando direttamente al MOMA di New York mandolini della sua “scoperta”, dovuta allocchito infallibile di John Szarkowski (anche se, in Europa, alcune sue foto erano già state pubblicate ed esposte) .
Nato in una ricca famiglia, la sua vita si dipana tra i piaceri, la bellezza, gli agi, i divertimenti: Costa Azzurra, corse in auto, belle donne, ville, eleganza. Mentre tutt'intorno, dopo la Belle Epoque, si addensano, prossime ma “lontane”, nubi nere di conflitti, problemi razziali, economici, politici.
Un bambino fortunato, si direbbe dunque. Eppure il piccolo Jacques, già a pochi anni, avverte un disagio legato alla sua ipersensibilità: tutto è magnifico, ma egli non riesce a trattenere nulla perché il tempo scorre portandosi via i ricordi e le immagini. Ciò che resta in lui, è un'impalpabile malinconia, un senso continuo di perdita, al punto da inventarsi questo rituale: ogni volta che vive una situazione incantevolmente bella e piacevole, prima che sia finita, chiude e riapre gli occhi per “catturarla”. Senza rendersene conto, fa qualcosa che assomiglia già ad una fotografia, anche se solo mentale.
Unico antidoto, dunque, tenere quasi ossessivamente dei diari nel tentativo di fissare ogni momento degno di essere fissato.
Inutile dire che, avuta in regalo la prima macchina fotografica all'età di 7 anni, questo diario diviene – e sarà per tutta la vita – anche fotografico. Esso coprirà quasi per intero il '900, dal momento che Lartigue condurrà la sua “terapia” per oltre 80 anni, accumulando 14.423 pagine in 135 grandi album pieni di grazia, leggerezza, sorrisi, modernità, ma anche di sperimentazioni fotografiche (doppie esposizioni, foto panoramiche, prime autocromie, e poi il movimento come soggetto…). Insomma, una pratica del tutto personale e privata, la sua, senza grandi velleità extra-casalinghe.
Egli si dichiarava, piuttosto, un pittore: con i suoi dipinti – peraltro mediocri – aveva tentato una carriera d'artista. Il mondo scopre la grandezza di Lartigue fotografo quando ormai la vezzosa frangetta di capelli bianchi arreda il suo viso. Una mostra al MOMA, come detto, e contemporaneamente la pubblicazione di una selezione su Life, lo rivelano e lo consacrano. Da quel momento viene osannato e collezionato, mentre lui continua a fotografare.
Lartigue lascia la macchina fotografica e questo mondo nel 1986 a 92 anni, dopo una vita che più intensa e lunga non si può.
Oggi tutta la sua enorme eredità fotografica viene raccolta, ordinata e valorizzata dalla Donation Jacques Henri Lartigue. Attualmente, per esempio, la Donation e la galleria parigina Jeu de Paume presentano, al Castello di Tours, una mostra dal titolo Lartigue, l'émerveillé (fino al 26 maggio). Nei giorni scorsi, al MIA, la casa editrice Johan & Levi ha riproposto in versione italiana lo splendido volume Lartigue. L'album di una vita.
Fin dalla sua tardiva apparizione, Lartigue è stato definito – di volta in volta – il fotografo della felicità, dell'ottimismo, del buonumore, eccetera. Tutte cose che, indubbiamente, sono materia costitutiva delle sua immagini (senza dimenticare la precoce genialità compositiva e il talento innovatore), ma non lo collocano forse nella sua più vera dimensione psicologica.
Nelle periodiche e costanti revisioni a questi diari personali, non a caso, egli li ha via via ripuliti dalle frequenti annotazioni tristi, dagli episodi duri che anche a lui la vita ha imposto (per esempio la morte della seconda figlia di pochi mesi).
Infatti – come lui stesso rivela tra le righe – queste formule magiche in forma di fotografie erano essenzialmente, per l'alchimista JHL, l'esito di una lotta, di un corpo a corpo contro l'inesorabile panta rei, nel tentativo di usare il mezzo che per definizione “ferma il tempo”.
E in qualche modo aveva visto giusto: lui non c'è più, ma noi possiamo e potremo ancora partecipare al suo mondo di emozioni e di grazia, intriso di quella strana gioia malinconica.
Resuscito questo vecchio post per chiedere se qualcuno ha avuto la fortuna di vedere la mostra alla fondazione Ferrero che a me è purtroppo sfuggita. E chiedo anche se per caso qualcuno sa se sia visibile da qualche altra parte in Italia o Europa .
user248991
inviato il 14 Luglio 2023 ore 22:56
Strepitoso Lartigue...ho attinto dal suo possente archivio fotografico per realizzare qualche mio scatto da Street che peraltro mi sono venute bene.
Ciao MaxVax, l'ho vista un sabato che ho fatto un salto al mercato di Alba. Una mostra ben allestita e peraltro gratuita. Tante foto che mostravano uno spaccato interessante della belle epoque, c'erano sia quelle che conoscono tutti ma anche altre tra moda e costume. Notevolissime quelle sul movimento se si considera l'epoca e i mezzi a disposizione. Peccato non essere andato alla chiusura che c'era una conversazione di Scianna. La mostra aveva girato altre sedi ma non so se hanno in programma nuove esposizioni.
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