| inviato il 15 Febbraio 2012 ore 9:23
sono davvero stupito della critica alla foto vincitrice: è semplicemente una rappresentazione della Pietà, la storia dell'arte ne è piena (la più nota è il marmo di Michelangelo). Le crocifissioni e i San Sebastiano trafitti popolano ogni chiesa e sono ancora più cruenti di una Pietà, e non riesco ad immaginare come queste ed altre immagini possano suscitare un orrore vivo. |
| inviato il 15 Febbraio 2012 ore 9:41
La fotografia bella o brutta che sia racconta sempre una storia ,negativa o positiva, sta alle persone interpretarla in modo "giusto"...Io sarei dell idea che certe fotografie , dovrebbero essere fonte di studio nelle scuole ,in modo da trasmettere ai giovani un messaggio piu immediato che spesso le parole e i libri non trasmettono. Troppo facile nascondersi dietro a un reality a inseguire la moda del momento .La realta é ben altra , queste foto la raccontano. Grazie a Gabro per la segnalazione |
| inviato il 15 Febbraio 2012 ore 11:25
Ciao ragazzi, volevo segnalarvi (magari già lo avete visto) anche questo: www.oasisphotocontest.com/stampa/ Io credo che per tutti gli amanti della fotografia valga la pena postare anche questo... |
| inviato il 15 Febbraio 2012 ore 11:44
Notevole la vincitrice della categoria sport, punto di vista decisamente inusuale, da tesserato di una squadra di triathlon apprezzo! |
| inviato il 15 Febbraio 2012 ore 12:06
scusate ma... a voi non sembrano così... tutte uguali!?! non nei contenuti, ma nei colori, nella luminosità, nel contrasto... ne guardo una e la successiva è identica. ho questa impressione... Voi? |
| inviato il 15 Febbraio 2012 ore 15:25
Ottima segnalazione, me le sto studiando |
| inviato il 15 Febbraio 2012 ore 17:07
Sono immagini molto toccanti, purtroppo è colpa di come vanno le cose nel mondo se vincono foto del genere e non immagini che volgono alla vita e alla sue bellezze. Penso che essendo un concorso di fotogiornalismo comunque (e purtroppo) colpiscano di più il pubblico immagini di questo tipo "brutte" per quel che mostrano, ma "belle" per come sono state colte dai fotografi. ciao Chiara |
| inviato il 15 Febbraio 2012 ore 18:52
Amici del forum, se posso dire la mia, credo che l'esito di questo concorso e l'immagine vincente siano un'ottima base per una nostra riflessione sul modo in cui leggiamo la fotografia, su cosa le chiediamo e sugli effetti che essa produce. Quale scopo doveva assolvere quell'immagine quando è stata scattata? E' riuscita nell'intento? Cosa è diventata l'immagine nel momento in cui estrapolata dal servizio foto-giornalistico è diventata una concorrente del W.P.A. e ha vinto? Personalmente ho avuto qualche perplessità nei confronti della foto scelta. Così a pelle, dopo una prima impressione sicuramente positiva per l'indubbia bellezza classica dell'immagine, è subentrata un'altra sensazione, meno bella. Come di assistere a una messa in scena, costruita ad arte, troppo perfetta per essere vera. Non voglio mettere in dubbio la spontaneità dello scatto, e non credo assolutamente che i soggetti fossero in posa. Però la foto ha una compostezza plastica che ne è in qualche modo il limite. I richiami iconografici fin troppo scontati. Anche la scelta dei giurati forse è stata troppo "facile". Tutti noi nel momento in cui prendiamo in mano una macchina fotografica componiamo e scattiamo usando regole e background culturali che sono propri dei nostri modelli di riferimento. Quelli con cui ci siamo formati. La pietà di Michelangelo, da questo punto di vista, è un archetipo. Ma riproposta in quella forma sembra confezionata per piacere ai giurati del W.P.A., e rischia di diventare clichè, privando così la fotografia reportagistica di immediatezza e valore cronistorico. Il passaggio non è scontato, e magari mi sbaglio e mi lascio andare a elucubrazioni inadatte alla valutazione di quello che alla fine è un concorso di fotografia. Che premia quindi anche l'estetica dell'immagine. Ma poi ripenso ad alcune immagini del passato che hanno segnato la fotografia reportagistica con un solco profondo, senza ricercare bellezze classiche, compiacimenti estetici, ma semplicemente raccontando la tragedia umana in maniera forte e drammatica e colpendo con un pugno allo stomaco l'osservatore. Per ottenere uno scopo. Che andasse oltre il "godimento estetico" e ci spingesse a una vera presa di coscienza, financo a un senso di ribellione o di vergogna. Ripenso ad esempio alla bimba vietnamita ripresa da Nick Ut nel 1972. Quanta distanza c'è nei modi e negli intenti di quella fotografia dalla pietà yemenita? Dopo qualche giorno dalla presentazione dell'esito del concorso è uscito su Repubblica un caustico articolo di Michele Smargiassi con una profonda analisi semantica dell'immagine. L'ho trovato molto interessante ed in qualche modo mi ha aiutato a capire da cosa nascesse il mio disagio. Per chi non l'avesse letto questo è il link: smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2012/02/13/wpp-luniversale Detto questo rendo comunque il giusto onore al bravissimo fotografo vincitore, che come tutti i reporter mette continuamente a rischio la propria vita per raccontarci quello che passa davanti ai suoi occhi. |
| inviato il 16 Febbraio 2012 ore 9:55
Tamata, grazie per il tuo intervento, fornisce sicuramente un notevole spunto di riflessione. Potresti linkare direttamente l'articolo di repubblica per facilitare chi, come me, non è su feisbuc e oltretutto non può raggiungerlo dal PC dell'ufficio?!?! Invece quello che vorrei approfondire con te è proprio lo spunto che hai dato sul confronto tra la foto vincitrice e quella della bambina vietnamita. Quanta distanza c'è nei modi e negli intenti, secondo te? Sinceramente io non saprei valutarla se riferita al fotografo che l'ha scattata, perchè non ho informazioni a riguardo che mi consentano di farlo, quello che posso fare è solamente guardare le due immagini e fare delle considerazioni, ma per parlare delle intenzioni del fotografo, dei modi, dovrei avere dati oggettivi (ad esempio parlare col fotografo o leggere una sua considerazione a riguardo) che al momento non ho. Guardando le due foto, indipendentemente da elementi quali il colore e la dinamicità, sono il contesto, sicuramente assai diverso, in cui esse sono state scattate e soprattutto i soggetti ripresi, che determinano una certa distanza tra i due scatti, però per il resto non posso dire nulla di più. Ciao, Roberto |
| inviato il 16 Febbraio 2012 ore 12:33
Ciao Roberto, mi scuso intanto per aver preso il link dal mio facebook. Non mi ero accorto che fosse vincolante per la lettura dell'articolo essere iscritti al social network. Lo ripropongo, con tutto il dibattito molto interessante che si è sviluppato a seguito dell'articolo di Smargiassi. smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2012/02/13/wpp-luniversale Sullo spunto che ho dato con la foto di Nick Ut, potrebbe fornire qualche indizio su modi e intenti la storia della foto, ormai arcinota. Il fotografo si trovava in mezzo alla strada quando gli abitanti del villaggio bombardato col napalm hanno invaso la strada. Fra loro molti bambini con la pelle che cadeva a brandelli. L'istante colto in quella fotografia, con la bambina che corre incontro al fotografo è pienamente reso dall'immagine, che non inscatola l'evento trasformandolo in fatto compiuto, in scultura, ma gli lascia intatto tutto il trasporto temporale e storico, che inevitabilmente si porta dietro. E' solo una differenza nella dinamicità della foto dunque o c'è ben altro? Qualcosa che attiene al ruolo della fotografia reportagistica, alla sua capacità di condensare in un solo scatto un prima un durante e un dopo? Altra differenza è che nello scatto vietnamita non c'è un'estetizzazione voluta . I bordi del fotogramma sono aperti alla dinamica dell'evento, a una compresenza di altro. La cornice non è richiesta perchè non vuole essere arte incorniciata. Aranda, probabilmente inconsapevolmente, estrapola l'evento dal contesto, lo rende icona universale, produce nell'osservatore un'immediata e estasiata contemplazione, senza che ci sia ulteriore stimolo a porci perchè su un prima o un dopo. Il fatto è compiuto. Resta il clichè del dolore. A ciò probabilmente contribuisce l'armonia cromatica, la mancanza dei volti, che umanizzano e rendono più reali le persone. Ma forse la distanza fra i due scatti, più che nei modi e negli intenti dei fotografi, che probabilmente sono gli stessi (e basta vedere l'intero servizio sullo Yemen di Samuel Aranda) sta nel modo in cui noi guardiamo la foto e nelle ragioni, peraltro smascherate, che hanno portato a premiare quella foto riconoscendovi la bellezza e le iconografie culturali prettamente cristiane. Eccola la distanza. Nella lettura dello scatto. Nell'essere icona (occidentale) universalmente riconosciuta del dolore, della compassione, e come tale sradicata dal substrato storico - narrativo che è invece proprio del reportage giornalistico. MA forse, questa distanza, può essere colmata dal dibattito che si è scatenato, che implicitamente ci porta all'andare oltre la superficie patinata della foto da copertina e porci i giusti interrogativi su ciò che è realmente accaduto. Ad ogni modo questa immagine resterà nella storia. In quale storia sarà tutto da scoprire. |
| inviato il 16 Febbraio 2012 ore 14:10
Bosforo65, Tamata, innanzi tutto grazie per il link. “ Tamata: ...Ma forse la distanza fra i due scatti, più che nei modi e negli intenti dei fotografi, che probabilmente sono gli stessi (e basta vedere l'intero servizio sullo Yemen di Samuel Aranda) sta nel modo in cui noi guardiamo la foto e nelle ragioni, peraltro smascherate, che hanno portato a premiare quella foto riconoscendovi la bellezza e le iconografie culturali prettamente cristiane. Eccola la distanza. Nella lettura dello scatto. Nell'essere icona (occidentale) universalmente riconosciuta del dolore, della compassione, e come tale sradicata dal substrato storico - narrativo che è invece proprio del reportage giornalistico.... „ Non avrei saputo dirlo meglio. Aggiungo che, il contesto dei due scatti è fondamentale, secondo me. Aranda si trova all'interno di una struttura, probabilmente sicura, adibita ad Ospedale, e probabilmente non ha nemmeno in dosso, ne elmetto ne giubbotto antiproiettile, e forse non ha nemmeno assistito, pochi istanti prima, alla causa che possa aver provocato le sofferenze del suo soggetto, in pratica è in uno stato d'animo, per un professionista, tale che gli sia consentito di porre una maggiore attenzione alla composizione dello scatto, molto più di quanto potesse essere per Ut. Il resto poi, come già detto da te, lo fà il modo in cui l'osservatore, con il suo background culturale, guarda la foto. Ciao, Roberto |
| inviato il 16 Febbraio 2012 ore 15:34
@Tamata: verissimo quello che dici sul riconoscimento di un'iconografia cristiana ma questo è riconducibile a tutto il nostro approccio all'arte, che è sempre figlio del nostro percorso di conoscenza di questa complessa e fluida materia. semplicemente ancora una volta si sfata il concetto che la bellezza sia soggettiva: è invece oggettiva e determinata dalla sedimentazione di tante bellezze viste in precedenza, sia quando le abbiamo considerate tali istintivamente che quando ce le hanno proposte come tali e noi le abbiamo accettate con questa veste più o meno passivamente. lo stesso avviene nelle arti primarie, impropriamente definite tribali. essendo spesso impossibile conoscere l'autore e l'epoca di tali manufatti, la differenza qualitativa tra un pezzo e un altro viene spesso determinata dall'aspetto estetico che, essendo il mercato di tali oggetti esclusivamente occidentale, non può che essere determinato dal gusto di chi vende e compra questi oggetti, tutta gente che alle spalle ha immancabilmente una formazione artistica volta verso l'eleganza delle forme e verso la simmetria, nonostante l'aspetto estetico nella scultura africana fosse spesso un aspetto secondario rispetto ad altri attributi che doveva avere l'oggetto. vi sono certe tipologie di sculture africane decisamente "brutte" per i nostri canoni (pezzi di legno quasi informi, ricoperti di stoffe poi asperse di sostanze propiziatorie) che, pur essendo parimenti autentiche, godono di apprezzamento molto inferiore ad altri tipologie, e conseguentemente hanno meno mercato. in pratica sono gli occidentali che stanno determinano quali sono i capolavori dell'arte africana in base al loro gusto sviluppato in millenni di studio dell'arte, e non gli africani che le hanno prodotti, probabilmente privi di tutte queste sovrastrutture . |
| inviato il 16 Febbraio 2012 ore 17:45
Giustissimo Bosforo. La discussione è affascinante e può prendere mille sbocchi a questo punto. Aggiungerei che il nostro modo di percepire la bellezza, oltre che dal nostro background culturale occidentale, ulteriormente influenzabile e sempre in divenire (si pensi alle mode), è soprattutto dipendente, nei suoi parametri più classici e istintivi, dalla nostra natura umana. Ci piace "di più" esteticamente una donna con forme proporzionate, quel sedere e quel seno, piuttosto che un'altra, oppure a orecchio preferiamo un suono armonico a una dissonanza. Questa è natura, istinto, leggi pressochè immutabili. Ma il discorso che in questa sede poniamo, rapportandolo alla fotografia giornalistica e alla foto presa in esame, mi sembra di capire sia questo: ha senso ed è necessario quel tipo di bellezza (classica) in uno scatto che in primis dev'essere testimonianza? E' un "accessorio" obbligatorio, ne possiamo anche fare a meno oppure il giusto sta nel mezzo, ovvero è un valore aggiunto a patto che non si adombri la comunicazione con la contemplazione? In fin dei conti la giuria ha giustificato il premio proprio in quanto foto di reportage intensa e dal significato profondo, che in più attingeva a piene mani da una iconografia classica. Insomma, secondo molti, questo innalzamento a icona universale è un valore aggiunto. Eppure la pittura, l'architettura, il cinema, hanno ormai superato abbondantemente la necessità di ricorrere ad un'estetica "classica", della ricerca della bellezza ne fanno a meno se non è funzionale al concetto espresso, o alla funzione svolta! E' mai possibile invece che il ritorno a quei canoni venga celebrato e reso motivo di premiazione in una disciplina (il fotogiornalismo) che per sua natura può benissimo farne a meno? Forse mi sono spinto un po' troppo addentro un ginepraio complesso e la discussione diventa difficile da governare. Se mi imbatterò in qualche lettura interessante e chiarificatrice non mancherò di riportarne i contenuti. A presto :) |
| inviato il 16 Febbraio 2012 ore 20:52
“ ha senso ed è necessario quel tipo di bellezza (classica) in uno scatto che in primis dev'essere testimonianza? E' un "accessorio" obbligatorio, ne possiamo anche fare a meno oppure il giusto sta nel mezzo, ovvero è un valore aggiunto a patto che non si adombri la comunicazione con la contemplazione? „ ti potrei rivoltare la domanda: perchè preoccuparsi se c'è una "bellezza classica"? io direi che ci deve essere innanzitutto un messaggio forte (e quello c'è) e se in più c'è anche una grande qualità estetica, classica o non classica importa poco, questo mi sembra un plus, non un minus: è pur sempre un premio ad un arte visiva. la famosa foto citata di nick ut è innarrivabile per pathos ma non così eclatante a livello estetico-formale, a dimostrazione che si possono avere esempi eccezionali sbilanciati sul lato "emotivo" così come ce ne sono sul lato "estetico". poi direi che anche fra le foto scelte (del resto, sono talmente tante) ve ne sono di molto belle dal punto di vista estetico ma con un messaggio non particolarmente incisivo (penso a quella dei tuffatori in controluce) e altre che invece ben trasmettono un senso di urgenza in maniera, a mio parere, esteticamente poco convincente (alcune di piazza tahrir in egitto ma anche altre). poi non conosco la storia di questo premio, non so se in passato si sono fatte scelte diverse e se la commissione sia sempre la stessa, credo che siano scelte che variano di anno in anno. se quest'anno è stata fatta una scelta "classica" non è detto che sia sempre stato così o che lo sarà sempre in futuro. |
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