| inviato il 14 Marzo 2015 ore 8:59
Caro Leoconte, personalmente non ho mai avuto reticenza alcuna a esporre le mie visioni, a palesare quella sincerità a cui fai appello. Ma, visto che parli ai "dirigenti", ovviamente io non c'entro. Solo, mi chiedo se questo possa e debba ragionevolmente essere esplicitato urbi et orbi, in ogni discussione, a prescindere dal merito della stessa. E se questo non rischi, in concreto, di finire per creare quel "salotto buono" di cui parlavo, e che mi pare non fosse nelle intenzioni. Parere ovviamente, chè non sta a me dire cos'è e cosa non è |
user20639 | inviato il 14 Marzo 2015 ore 9:13
Gentile Francesco, la proposta è lo scambio di idee...non altro. Anche tu, credo voglia sentire la voce dell'uomo di adesso e non quella delle citazioni che parlano per esso. La cultura serve? Chiede una risposta autentica oltre che razionale. |
| inviato il 14 Marzo 2015 ore 9:25
Leo, posso farti un'esempio personale, quando sono andata a vedere la mostra di Joan Miró, l'ho fatto più per curiosità che altro, pur comprendendo sia un grande non è tra i miei autori preferiti, eppure trovarmi davanti alle sue immagini ha cambiato molto il mio modo d'intendere la composizione, quindi ancora si! La cultura serve Buon fine settimana. |
| inviato il 14 Marzo 2015 ore 11:03
Mi pare che dalla discussione inizi a trasparire una sorta di legame comune tra la considerazione che oggi si ha del concetto di "cultura" e di quello di "arte" ? parlo ovviamente a livello di "senso comune", non di singole opinioni. Il fatto che ad un certo punto della Storia si sia iniziato a parlare di "Arte per l'Arte" ha provocato di riflesso anche la nascita del concetto, magari inespresso e apparentemente rifiutato, di "Cultura per la Cultura" (o forse ne derivava, ma era tabù esprimere lo stesso pensiero in riferimento all'intera sfera culturale, perciò se ne parlò solo a proposito della sua manifestazione più immediata e palese: l'Arte), mentre in precedenza l'arte e la cultura erano "per l'uomo"; a partire da quel momento l'uso della maiuscola per Arte e per Cultura diventa purtroppo funzionale al discorso, nel senso che nel prosieguo di tempo si è prodotto e poi allargato un divario tra arte e cultura popolare, da un lato, e Arte e Cultura "superiori" dall'altro, con l'implicito "riconoscimento" che solo quelle con la maiuscola potessero onorare quei nomi, mentre le altre sono sempre più scivolate verso definizioni "di mestiere" (artigianato, istruzione ecc.) per poi cadere direttamente tra quelle spregiative (subcultura, kitsch ecc.). Intendiamoci, è sempre esistita una sfera "colta" che si elevava al di sopra di quella popolare, ma il legame rimaneva più stretto, entrambe attingevano dal medesimo serbatoio di aspirazioni, di conoscenze, di simboli e di valori. Oggi che le conoscenze sono aumentate a dismisura e sembrano prevalere su tutto il resto, ma rimangono appannaggio di pochi, il divario appare incolmabile. Per questo concordo solo in parte sul fatto che i grandi artisti continuino ad attingere dalle intuizioni e dall'originalità popolari; le opere di Kandinsky e persino le istanze del cubismo non sono comprensibili, se non "a pelle", senza un riferimento al "relativismo", teoria che all'epoca andava per la maggiore nell'ambito della Cultura, ma di cui la massa è tuttora digiuna. L'idea (di formazione scientifica) per cui ogni "osservazione", e perciò ogni rappresentazione, venga influenzata dall'osservatore, non esisteva nell'antichità e soltanto adesso sta arrivando alla massa, e ancora in termini confusi e spesso imprecisi: basta vedere la diffusione del concetto per cui "non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace", inteso unicamente in senso soggettivo, mentre la frase sottintende che il concetto non ha basi "naturali" e perciò assolute, ma si è modificato nel tempo in rapporto a "modelli" ispirati da mutamenti di portata "sociale", quindi tutt'altro che soggettivi. Tuttavia credo che questa discussione sia nata per sondare l'importanza di un altro aspetto della cultura, quella personale, cioè quella che ciascuno di noi si è costruito "per sé", indipendentemente dal fatto che le basi provengano dalla cultura o dalla Cultura. Penso che, da questo punto di vista, se uno scambio ci deve essere non possa consistere in uno scambio di idee (come scrive Leo), ma di esperienze, perché sono queste che costruiscono la cultura personale, persino quelle che facciamo ponendoci di fronte ad un trattato scientifico o all'opera dei Maestri, come nel caso citato da Caterina. Tuttavia, se esprimere un'idea può essere relativamente facile perché si tratta di un costrutto razionale, credo che far comprendere un'esperienza sia molto più difficile, perché entrano in gioco elementi emozionali e irrazionali che sono tipici, e in parte esclusivi, della personalità di ognuno di noi. |
user20639 | inviato il 14 Marzo 2015 ore 13:56
Caterina, anche per me Mirò è un genio, senza dubbio, penso che ne avrai grandi vantaggi. Però, vorrei fare una ipotesi: se a una delle tue mostre (forse sarà successo già), un giornalista vuole intervistarti, e sfortunatamente ti chiedesse se la cultura serve? Se hai accettato l'intervista dovrai rispondere. Dovrai farlo parlando di te stessa, senza citazioni, altrimenti l'intervista non sarebbe pubblicata, cosa diresti? Daniele, ti assicuro che risponderò.....devo ancora capire delle cose. ciao |
| inviato il 14 Marzo 2015 ore 17:21
Leoconte Cos'hai contro le citazioni? La citazione permette ad uno di intervenire nel discorso attraverso un altro, non potendolo fare di persona. È un'opportunità. Se contano le idee e non chi le ha espresse non dovrebbero esserci problemi. Quanto al concetto di arte il frainteso continua. Fai confusione tra "concetto di arte" e "canone estetico". Quando parlo del "concetto di arte" del tardo '700 NON intendo il canone estetico dell'arte del tardo '700, ma proprio l'idea stessa dell'arte che si è formata in quell'epoca. Cioè l'era in cui l'arte è stata... destinata al museo. Stiamo tirando in ballo qui il concetto di arte di cui parlo io perché, nel produrre una fotografia, non vogliamo che sia una foto ricordo, né una foto di un catalogo pubblicitario, e neppure una foto documentaria, ma una foto che sia "valida di per sé" che abbia per unico scopo quello di essere significativa per quello che è, senza alcuna funzione secondaria (questo è il significato di "arte per l'arte"). Se avessimo voluto solo una foto ricordo o un catalogo pubblicitario anche una concezione di tipo funzionale sarebbe stata adeguata a giudicare la rispondenza allo scopo. Se questo plus non ci interessa, possiamo continuare a scattare tutte le foto che vogliamo senza nessuna preoccupazione: a noi e forse a qualcun'altro continueranno a dire qualcosa. E se non dicono niente a tutti gli altri poco male. Se vogliamo invece che le nostre foto dicano qualcosa agli altri nonostante non abbiano alcun altro scopo evidente (ricordare i nostri cari, mostrare un oggetto per una perizia, informare i lettori di un giornale dell'imponenza di una manifestazione, illustrare prodotti da vendere etc...) è necessario che tra il loro essere (la loro forma, il loro essere costituiti da) e ciò che significano sussista un rapporto di essenzialità che fa sì che l'oggetto sia indagabile nella sfera estetica, dove si determina se l'oggetto ha o non ha un valore. L'ideai che sostieni, cioè che la concezione dell'arte per l'arte comporti un allontanamento dell'arte dall'uomo, potrebbe al limite essere sostenuta come tesi distinta: dovrebbe essere dimostrata come una conseguenza del mutato concetto. Ma andrebbe almeno argomentata e dimostrata. A me sembra piuttosto il contrario. Alla nascita, il nuovo concetto di arte era legato strettamente all'idea romantica di una arte che NON fosse esclusivo appannaggio del ceto nobiliare, ma fosse rivolta anche a coloro che non avevano potuto avere una educazione specifica: un'idea, quindi, di universalità. E proprio per questo scopo i linguaggi artistici (i canoni estetici) predilessero una specie di... "deregulation": ciò che nell'arte si doveva "imparare" doveva essere bandito e sostituito da quanto fosse "naturale". A ben vedere sembra una concezione molto vicina a quello che stai sostenendo tu! Anche Daniele ha avuto una deriva dicendo: “ Il fatto che ad un certo punto della Storia si sia iniziato a parlare di "Arte per l'Arte" ha provocato di riflesso anche la nascita del concetto, magari inespresso e apparentemente rifiutato, di "Cultura per la Cultura" (o forse ne derivava, ma era tabù esprimere lo stesso pensiero in riferimento all'intera sfera culturale, perciò se ne parlò solo a proposito della sua manifestazione più immediata e palese: l'Arte), mentre in precedenza l'arte e la cultura erano "per l'uomo"; „ Ripeto: Arte per l'arte non significa che prima l'arte era "per l'uomo" e poi non lo è stata più: anzi, a ben vedere, semmai significa l'esatto contrario, perché un oggetto che ha per unica funzione quella estetica non può che essere diretto all'uomo, senza possibili scopi secondari. E, da un punto di vista più... sociale, l'uomo destinatario dell'arte romantica è assai più numeroso di quello destinatario dell'arte precedente. Paolo |
| inviato il 14 Marzo 2015 ore 19:42
“ Ripeto: Arte per l'arte non significa che prima l'arte era "per l'uomo" e poi non lo è stata più: anzi, a ben vedere, semmai significa l'esatto contrario, perché un oggetto che ha per unica funzione quella estetica non può che essere diretto all'uomo, senza possibili scopi secondari. E, da un punto di vista più... sociale, l'uomo destinatario dell'arte romantica è assai più numeroso di quello destinatario dell'arte precedente. „ Paolo, su questo non sono d'accordo, perché secondo me erano proprio le "funzioni secondarie" quelle che per secoli avevano costituito la base interpretativa comune a tutti i livelli sociali, quelle che fornivano chiavi di lettura comprensibili a tutti, e lo facevano proprio grazie a canoni estetici comunemente riconosciuti; prendi ad esempio i rilievi della Colonna Traiana, in cui chiunque avrebbe riconosciuto le fasi salienti della campagna contro i Daci, o quelli romanici realizzati con intenti di "catechesi", o le "madonne" del '300, che quando uscivano dalla bottega del pittore per essere collocate in Duomo vedevano una processione di tutti i cittadini con tanto di serrata dei negozi. Fondamentalmente è stata proprio l'arte dei Musei che si è allontanata sempre di più dalle classi popolari, proprio perché venivano a mancare quelle funzioni che magari erano sempre state gestite dall'alto e in modo autoritario, ma che facevano parte del patrimonio culturale comune; che chiavi di lettura fornivano alla gente comune le opere delle ultime avanguardie, qual'era l'operaio o il contadino che riusciva a percepire qualcosa da un'opera di Duchamp o di Mondrian? Proprio i linguaggi di questi artisti, per venire compresi o almeno indagati, richiedevano uno sforzo culturale che le masse non erano più in grado di fare; a maggior ragione perché venivano a cadere i "canoni estetici" comunemente accettati, al punto che, paradossalmente, da metà ottocento in poi l'arte, per essere compresa, ha avuto bisogno di un'educazione sempre più mirata e approfondita e, addirittura, oggi deve venire "spiegata", col linguaggio scritto o verbale, persino nei suoi aspetti puramente formali. Anzi, da questo punto di vista la fotografia si è sempre in qualche modo salvata per il fatto di essere quantomeno obbligata a riprodurre oggetti reali e riconoscibili e quindi a lasciare a tutti se non altro una leggibilità "formale". Almeno è così che io leggo la Storia degli ultimi secoli. |
| inviato il 14 Marzo 2015 ore 21:19
Daniele “ su questo non sono d'accordo, perché secondo me erano proprio le "funzioni secondarie" quelle che per secoli avevano costituito la base interpretativa comune a tutti i livelli sociali „ Sì, ma ti sei tradito: hai appena chiamato secondarie le funzioni dell'arte funzionale (con ciò prendendo anche tu le parti del concetto romantico, e facendo trasparire che è tuttora il tuo riferimento). Il problema è che non si trattava di funzioni secondarie: quelle erano lo scopo primario ed il significato dell'opera prima dell'art pour l'art. Il lato estetico, ove valutato, era il secondario. Ripeto: usiamo la stessa parola "arte" ma per significare aspetti opposti. È evidente che trattare oggetti la cui funzione è prestabilita e nota, e il cui giudizio si riduce pertanto a quello di "rispondenza alla funzione" è molto più semplice che addentrarsi nell'impervio campo dell'estetica. Su questo credo che trovi tutti d'accordo. L'aspetto estetico NON era considerato dirimente nel giudizio dell'opera "perché essa aveva comunque il suo scopo", una finalità, che veniva considerato più importante: la funzione. E dunque non perché fosse più diretta all'uomo. Questa è un'arte etica: il bello coincide con il buono con l'utile. Il concetto di arte a cui si faceva riferimento nel nostro discorso, invece, non è quello dei secoli passati: io credo che noi parlavamo esclusivamente dell'arte bella. Anche nel forum mi sembra di aver colto una differente considerazione (da parte dei più) tra coloro che sono dediti principalmente all'"avifauna" o comunque fotografia documentaria di ambiente naturale e coloro che fanno generi più astratti (meno tecnici). E mi sembra che la differenza sia percepita abbastanza generalmente. Il lato "artistico" è, evidentemente, piuttosto riconosciuto ai generi non tecnici. Lo stesso successo presso il forum degli splendidi paesaggi di Caterina (e forse anche di quello che mi sembra il suo erede prossimo Antonio Magh Aleo) affonda le radici nella pittura dell'ottocento: credo che nessuno potrebbe negarlo. Se ritieni che l'origine della disaffezione all'arte sia coincisa con il suo diventare fenomeno estetico esclusivo la soluzione ai nostri problemi sarebbe facile: si torni a considerare valida l'opera che assolve ad una funzione. Si faccia fotografia commerciale, o giornalismo, o aerofotogrammetria, o qualsiasi altro "genere" professionale, lo si chiami pure "arte", e saremo subito soddisfatti. Avremo una serie di regole e di parametri per definire "l'opera ben fatta" ed il lavoro dell'artista consisterà nel rispettarli il più fedelmente possibile. (Possiamo anche riunire gli artisti in corporazioni per regolare l'accesso alla professione). Poi però ci sarà qualcuno che trasgredirà queste regole; e pian piano la maggior parte delle persone troverà più significativo ed appagante il lavoro di questo qualcuno. E nascerà di nuovo "l'art pour l'art": che forse altro non è se non un momento di presa di coscienza del fattore estetico assoluto. Non c'è mai stato così grande entusiasmo, così grande considerazione per le opere d'arte come nell'ottocento. Addirittura il "sublime" - canone estetico romantico - è una categoria religiosa. E noi ci portiamo come eredità di quell'epoca questo atteggiamento, nonostante nella cultura contemporanea le cose siano molto cambiate. Nella cultura popolare odierna ancora le avanguardie storiche sono fenomeno sospetto, e se questo è vero lo è perché i grandi capolavori del passato, proprio per come sono stati celebrati nel periodo romantico, costituiscono "il" riferimento concreto del concetto di "opera d'arte". Lo stesso rifiuto dell'arte contemporanea dal grande pubblico nasconde l'incapacità a staccarsi da un riferimento che si è fatto emblematico e che si vorrebbe sottrarre allo scorrere del tempo. |
| inviato il 14 Marzo 2015 ore 21:53
Paolo, io credo che il rifiuto da parte del grande pubblico nasca dal fatto che gli vengono a mancare regole "linguistiche" comprensibili; pubblico e artista parlano linguaggi differenti. Che questo abbia portato nell'arte una libertà mai vissuta prima è indiscutibile, ma solo per l'artista, perché in realtà questa libertà ha penalizzato la comunicazione, al punto che mi domando se per molti artisti l'arte non sia realmente solo quella "espressione di sé" che Smargiassi stigmatizza come il peggior fraintendimento generato dall'educazione artistica insegnata a scuola. Se poi mettiamo sul piatto anche il fatto che la maggior parte degli artisti tiene volutamente nascoste al pubblico le chiavi di lettura delle proprie opere, fornendole solo ai critici, ma col tacito accordo di non renderne partecipe il pubblico mantenendosi sempre, nelle proprie recensioni, su un piano linguistico ugualmente criptico, mi pare che oggi l'arte sia un "affare per iniziati" molto più di quanto non fosse quattrocento anni fa; tutt'altro che arte per l'uomo, a meno che per uomo non si intenda unicamente l'artista. (mi sa che siamo finiti vagamente OT) |
| inviato il 14 Marzo 2015 ore 22:14
“ Paolo, io credo che il rifiuto da parte del grande pubblico nasca dal fatto che gli vengono a mancare regole "linguistiche" comprensibili; pubblico e artista parlano linguaggi differenti. „ Questo è vero. Ma, temo lo sia stato sempre, se non per un periodo abbastanza limitato, in cui si è riscontrata una coincidenza degli orizzonti di artisti e pubblico. In genere il pubblico capisce un'opera solo dopo un po' di tempo che la frequenta. C'è chi ha teorizzato che diventa Capolavoro solo un'opera che sovverte le abitudini e le attese del pubblico per crearne di nuove. È fisiologico in parte. Come dici tu però, occorre che la nuova proposta sia per lo meno percepibile sulla base della comune esperienza: se così non fosse la comprensibilità ne sarebbe impedita per la impossibilità di concentrarsi sull'oggetto. Sull'arte che NON vuol farsi capire sono invece d'accordo con te: per me è una forma di impostura basata sulla cultura delle lobbies italica, e su una gestione privatistica del fenomeno che ne decreterà l'irrilevanza assoluta. Comunque rispetto la tua opinione, che peraltro non è affatto minoritaria, anche se continuo a pensare che non sia il carattere "estetico" dell'arte in sé il responsabile della crisi, quanto piuttosto le altre ragioni. |
user20639 | inviato il 14 Marzo 2015 ore 22:16
Cari, Daniele e Paolo, siete stati gentilissimi. Voi però, state parlando dell'arte del passato, invece per me è necessario parlare del presente e del futuro, anche se è molto più complicato e difficile da codificare. “ L'ideai che sostieni, cioè che la concezione dell'arte per l'arte comporti un allontanamento dell'arte dall'uomo, potrebbe al limite essere sostenuta come tesi distinta: dovrebbe essere dimostrata come una conseguenza del mutato concetto. Ma andrebbe almeno argomentata e dimostrata. „ Paolo, sarò ancora più radicale, solo per essere chiaro: l'uomo è l'arte, se l'uomo vivesse senza l'arte: la sua esistenza sarebbe impossibile. Il frutto delle sue scoperte e delle sue creazioni è arte. Dalla scoperta della ricetta del pane, all'intuizione dello strumento della prospettiva, fino alle ipotesi più suggestive dell'orizzonte degli eventi e della singolarità, l'uomo è arte e cultura....ma potrei andare molto oltre... Non sosterrò mai che l'uomo si allontani dall'arte, o che l'arte sia negativa per l'uomo, sostengo invece, che l'arte è dentro a tutti gli uomini e che nulla vada sprecato. Ecco, in sostanza quello che vado a dire, che l'arte è nell'uomo...., come non possiamo giudicare la vita degli altri, non possiamo nemmeno essere inquisitori della loro arte. Tutte le vite sono un' arte, nel bene e nel male, spetta a noi la scelta. Mi sento nella dimensione dell'arte, ma ne posso parlare solo nella dimensione umana, ho escluso i tecnicismi da anni. Tento anche di escludere gli stereotipi di chi considera l'arte come una componente evoluta e dotta dell'uomo, dico solo che né è l'essenza. Una dichiarazione d'amore, quando è detta con il corpo, con la testa e con il cuore, per la persona che la riceve se ben disposta ad avere un io ospitante, è soggettivamente e oggettivamente un opera d'arte. Questo concetto, dell'uomo che è arte e cultura, se volete lo svilupperemo..... Mi scuso, ma sono stufo di parlare di estetica, di forme e di tradizioni, credo siano questioni superate da tempo, proprio perchè: pratico delle arti. La mia riflessione e credo la domanda, sulla necessità di cultura in questo mondo globalizzato possa servire, è radicale, l'uomo è arte e cultura. Bisogna guardare l'arte e le culture in senso evoluzionista, le domande del passato oggi danno delle risposte, ma ne aprono altre mille. Abbiamo ora, un uomo che è un artista nel male e nel bene, che va oltre qualsiasi aspettativa, ma saprà continuare la sua esistenza?. Ehilà, ma siete andati avanti.... |
| inviato il 15 Marzo 2015 ore 9:22
Ragazzi, sono un po' frastornato da queste ultime deviazioni rispetto alla domanda iniziale, ma siccome sono comunque deviazioni utili a focalizzare almeno gli aspetti "comunitari" del concetto di cultura, ho bisogno di metabolizzarli un pochino. |
| inviato il 15 Marzo 2015 ore 10:13
Buongiorno a tutti Ringrazio Leo, Paolo, Alessandro per le risposte alla domanda “ la fotografia popolare ha un suo valore permeabile con quella "d'autore", oppure dobbiamo buttarla via per dedicarci tutti all'elevazione dei grandi maestri? „ Domanda per la quale non avevo risposta, ma che al contempo conteneva un implicito assist, magistralmente colto da Caterina e Filiberto. Ieri ho scritto una specie di "metafora", che vorrei farvi leggere: Perchè possiamo dire che un granello di sabbia sia più intelligente di una montagna? perchè esso ha dovuto staccarsi dalla madre e vivere lo struggimento dell'abbandono. ha dovuto sopportare il sentirsi sospinto dalla forza dell'acqua e del vento, senza poter fare nulla. Ha dovuto conoscere il mare, che a ogni sfuriata lo sbatteva contro i suoi simili, riducendolo a brandelli sempre più piccoli. Ha dovuto persino inventarsi una cultura, un arte, una fotografia, per poter raccontare il vento, il mare e l'abbandono senza essere fatto ogni volta in mille pezzi. Un granello di sabbia possiede una vasta e variegata intelligenza, perchè è passato attraverso a milioni di esperienze. Eppure desidera una cosa sola: essere la montagna. Ognuno di noi combatte per affermare la grandezza del "sè" , perdendo di vista che un granello di sabbia non può essere la montagna, ma che tutti insieme lo sono già. Leo, ti capisco quando dici che al mondo c'è qualcosa di profondamente ingiusto. Per me nel mondo c'è qualcosa di così grande e giusto, che ognuno lo vorrebbe per sè. Ma se Dio non avesse voluto capire cosa sono la rabbia, l'invidia, l'offesa, il perdono, l'amore, non si sarebbe fatto in mille pezzi e probabilmente noi non esisteremmo. Per cui nulla di male se un Wild vuole fare il saggio e uno Shambola lo prende per il naso, o se un Paolo e un Daniele spadeggiano per stabilire se è nato prima l'uovo o la gallina Ovviamente scherzo... nei vostri interventi c'è molto da leggere e da imparare. La cultura serve? Essa crea una pausa. Per un attimo smettiamo di glorificare il "sè" e ci affacciamo al mondo con curiostà. Per me il difficile è restare in quella pausa, in quel piccolo spazio vuoto in cui risiede il legame tra noi e il mondo che ci circonda. Vorrei aggiungere una cosa, poi smetto di rompervi le palle.. Mi è piaciuto l'intervento di Filiberto, che trovate in alto a pag 12, perchè spiega che in fotografia, oltre alla cultura e sensibilità, serve la velocità e la capacità di cogliere l'attimo. Attitudine che secondo me si percepisce bene guardando le sue foto. Stamattina nel canestro non trovo una domanda... Daniele, hai ragione, ho bisogno pure io di metabolizzare.. Esco a fare qualche foto, poi ci risentiamo. Buona domenica!! Ciao Emiliano |
user20639 | inviato il 15 Marzo 2015 ore 10:18
Si, bisogna mettersi in "contemplazione", no in competizione. Un piccolo esempio, La frase di Juza:“ Possa la Bellezza Essere Ovunque Attorno a Me „ E' una di quelle frasi del mondo classico, piene di fanali puntati. In realtà la bellezza è la bruttezza viaggino a manina, il nostro vero nemico è l'indifferenza. Leopardi, il più grande poeta della natura, ancora oggi, diceva: che la bellezza è un inganno, offusca la verità e la nasconde, la natura delle cose è la verità. Che dire, parliamo ancora di queste cose? o ci mettiamo a ragionare di quello che accade adesso, naturalmente, con il bagaglio di acquisizioni ricevute dal passato. Arrivederci Complimenti Wildvideo, per la tua riflessione. Questa domenica mattina, sto cucinando le triglie le sardine, il baccalà e i calamari, speriamo ne esca un'opera d'arte. |
user39791 | inviato il 15 Marzo 2015 ore 10:37
Emiliano quando ho postato quel mio intervento a pagina 12 pensavo ad una persona in particolare. A Philippe Daverio e al suo programma televisivo Passepartout, forse non a caso soppresso (il programma ) sebbene facesse oltre 1 milione di ascolti a puntata......Daverio si è inventato uno stile per comunicare l'arte presso il grande pubblico, riuscendo ad essere al contempo originale e comprensibile a tutti. E lui è un intellettuale con le contropalle, non è un uomo di spettacolo che si è reinventato come esperto e divulgatore di arte. Fatte le dovute proporzioni (almeno per quanto mi riguarda) credo che sia quello lo stile da perseguire se si vuole cercare di interessare molti alle tematiche trattate in questa sezione. In caso contrario, credo, che rischierebbero di rimanere pochi utenti (tra i quali io non sarei compreso) a cantarsela e a suonarsela tra di loro......... |
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