| inviato il 08 Maggio 2025 ore 3:45
Per rasserenare il clima e per stemperare gli interscambi anche pepati sin qui trascorsi... Mi viene spontaneo il richiedere contributi su quale sia il Messaggio che si può celare nell'Arte, entrambi in doveroso maiuscolo in quanto, a quanto pare, veri archetipi e ormai protagonisti imprescindibili per il comune sentire di tanti utenti e forumisti, dunque dicevo del fantomatico Messaggio nell'Arte del ritratto, e ancor più specificatamente dell'autoritratto... Per riassumere ancor meglio il quesito messaggistico, mi sorge spontaneo linkare un esempio concreto ed eloquente che possa riassumerne al meglio il concetto, palese o nascosto che vi sia racchiuso, con tutte le sue sfacettature del caso e in attesa che giungano lumi interpretativi in tal senso... : www.juzaphoto.com/galleria.php?l=it&bk=n-1-&t=5052084 |
| inviato il 08 Maggio 2025 ore 6:35
Visto anche il titolo, un bellissimo esempio di sineddoche |
| inviato il 08 Maggio 2025 ore 7:50
La risposta fotografica a Courbert É un sito pieno d'arte |
| inviato il 08 Maggio 2025 ore 9:15
Oltre che Courbet ricorda anche il concettualismo del grande Mutandari. Tutto l'intervento mi sembra un pezzo avanti. |
| inviato il 08 Maggio 2025 ore 10:44
tornando seri e parlando di autoritratto e messaggio citerei Zanele Muholi
 Credo che l'autoritratto si presti bene alla discussione aperta originariamente da Andrea |
| inviato il 08 Maggio 2025 ore 11:04
Parlando di "messaggio" e autoritratti penso non possa mancare anche Cindy Sherman |
| inviato il 08 Maggio 2025 ore 12:02
è interessante vedere come l'autoritratto spesso coinvolga minoranze o categorie che faticano a far sentire la propria voce. E le donne, malgrado il loro numero superi il 50% della popolazione mondiale. Storiacamente hanno trovato nell'autoritratto un modo di far sentire il proprio pensiero in un mondo tendenzialmente maschile |
| inviato il 08 Maggio 2025 ore 22:54
Credo vadano doverosamente citate le parole di Roland Barthes: "Davanti all'obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte" |
| inviato il 09 Maggio 2025 ore 8:32
Ci sono coloro che pensano che un ritratto, disegnato, dipinto, fotografico sia ben riuscito se trasmette un messaggio, messaggio il cui contenuto dovrebbe essere l' "essenza" della persona ritratta. È una pretesa illusoria. Lo stesso Barthes nel suo La camera chiara parla della foto di sua madre nel giardino: “ "E qui incominciava a profilarsi la questione essenziale: la riconoscevo io veramente? Secondo le foto, in certune riconoscevo una regione del suo volto, il tale rapporto del naso con la fronte, il movimento delle sue braccia, delle sue mani. Io la riconoscevo sempre e solo a pezzi, vale a dire che il suo essere mi sfuggiva e che, quindi, lei mi sfuggiva interamente. Non era lei, e tuttavia non era nessun altro. L'avrei riconosciuta fra migliaia di altre donne, e tuttavia non la «ritrovavo». La riconoscevo differenzialmente, non essenzialmente. La fotografia mi costringeva a un lavoro doloroso; proteso verso l'essenza della sua identità, mi dibattevo fra immagini parzialmente vere, e perciò totalmente false. Dire, davanti alla tal foto, «è quasi lei!» era per me più straziante che non dire davanti alla talaltra: «non è affatto lei»." [...] "Così, solo nell'appartamento nel quale era morta da poco, io andavo guardando alla luce della lampada, una per una, quelle foto di mia madre, risalendo a poco a poco il tempo con lei, cercando la verità del volto che avevo amato. E finalmente la scoprii. Era una fotografia molto vecchia. Cartonata, con gli angoli mangiucchiati, d'un color seppia smorto, essa mostrava solo due bambini in piedi, che facevano gruppo, all'estremità d'un ponticello di legno in un Giardino d'Inverno col tetto a vetri. Mia madre aveva allora (1898) cinque anni, suo fratello sette. […] Osservai la bambina e finalmente ritrovai mia madre. La luminosità del suo viso, la posizione ingenua delle sue mani, il posto che essa aveva docilmente occupato senza mostrarsi e senza nascondersi, la sua espressione infine, che la distingueva, come il Bene dal Male, dalla bambina isterica, dalla smorfiosetta che gioca all'adulta, tutto ciò formava l'immagine d'una innocenza assoluta (se si vuole accogliere questa parola nella lettera della sua etimologia, la quale è 'Io non so nuocere'), tutto ciò aveva trasformato la posa fotografica in quel paradosso insostenibile che lei aveva affermato per tutta la vita: l'affermazione d'una dolcezza". „ A mio avviso in questo passo la lucidità del saggista va parzialmente persa nel turbinio degli affetti. "Proteso verso l'essenza" crede di averla trovata e parla di "verità" ma poi soggiunge "del volto". Cominciamo con il dire che la foto della madre non compare riprodotta nel saggio e mai è stata ritrovata. È mai esistita? Semplicemente Barthes di rendeva conto che l'essenza di sua madre se anche fosse potuta arrivare dalla foto a lui certo non sarebbe potuta arrivare ai suoi lettori. Perché ogni foto, compresa quella del guardino in inverno, non può che essere ambigua, attesta l'apparenza delle cose in un dato momento ma non la realtà delle cose né tanto meno l'essenza. Dunque il messaggio di un ritratto è il sembiante della persona, la sua apparenza esteriore. Diffido sempre dei fotografi ritrattisti che sostengono di andare alla ricerca dell'essenza. Cercatela in profumeria l'essenza, non in una foto. |
| inviato il 09 Maggio 2025 ore 11:16
“ Diffido sempre dei fotografi ritrattisti che sostengono di andare alla ricerca dell'essenza. Cercatela in profumeria l'essenza, non in una foto. „ Domanda NON provocatoria: hai mai avuto esperienze in set (privati o meno, in interna o esterna, ambientati o meno) di ritratto? PS: proprio per non essere provocatorio spiego il motivo della domanda, vorrei capire il livello di esperienza in ambito ritrattistico per citare in questo ambito un saggio così |
| inviato il 09 Maggio 2025 ore 14:08
Non ho esperienze di fotografia in set, in studio. Non sono un fotografo professionista semplicemente faccio o ho fatto qualche ritratto o a persone che conosco bene, o a persone che conisco appena da qualche decina di minuti, o a persone che ho fermato per strada o ritratti di musicisti in concerto, ma onestamente non capisco il senso della domanda. Ti rispondo con una richiesta: mostra una foto ritratto da cui si evinca l'essenza della persona ritratta (dalla foto ovviamente, non dai dati biografici o altro) e spiega con qualche frase quale sia quell'essenza. |
| inviato il 09 Maggio 2025 ore 14:18
Prendiamo ad i ritratti sopra postati di Zanele Muholi. Cosa possiamo dire dell'essenza della persona, senza fare ricerche su google e senza nulla sapere di quella persona? Io dico niente se non vaghe supposizioni. |
| inviato il 09 Maggio 2025 ore 14:22
Ti rispondo con una richiesta: mostra una foto ritratto da cui si evinca l'essenza della persona ritratta (dalla foto ovviamente, non dai dati biografici o altro) e spiega con qualche frase quale sia quell'essenza. ******************************************** Presto detto caro Andrea: Migrant Mother. Ma direi anche Saigon Execution, oppure Napalm Girl. Insomma è probabile che non siano tante tante... e a ben vedere le seconde che ho citato non raggiungono le vette della prima, però ci sono. |
| inviato il 09 Maggio 2025 ore 14:24
Cioè Paolo? Completa la richiesta cosa sappiamo dell'essenza di quella madre? Possiamo fare inferenze sullo stato d'animo di quella madre in quel momento, non certo sulla sua essenza; di più, quelle inferenze le possiamo fare perché conosciamo la storia di quella foto, perché c'è una didascalia diversamente brancoleremmo |
| inviato il 09 Maggio 2025 ore 14:30
Sono stati fatti molti ragionamenti in merito. Spesso chi vede una particolarità della persona è perchè è influenzata dalla conoscenza di quest'ultima. Questo è un dato di fatto, ossia che non siamo obiettivi, ma abbiamo sempre nella nostra testa delle sovrastrutture che ci fanno notare o ricercare qualcosa che non è detto sia oggettivo. Spesso un estraneo non vede quei tratti, quel "particolare" atteggiamento perchè è probabile che in foto non ci sia o ci sia solo qualcosa nella posa o nell'espressione di accennato, ma che innesca in chi ha conoscenza del soggetto un trigger emotivo Prendiamo un lavoro volutamente oggettivo come i ritratti fatti nel 1981 da Ruff. Li ha fatti volutamente con una luce asettica e uniforme in stile passaporto, quindi il più oggettivi possibile. “ Volevo fare una specie di ritratto ufficiale della mia generazione. Volevo che le fotografie fossero simili a quelle sui passaporti, ma senza altre informazioni, come l'indirizzo del soggetto, la religione, la professione o le precedenti convinzioni,Non volevo che la polizia/lo spettatore avesse informazioni su di noi „ Questo ritratto oggettivo è un po' straniante, non siamo abituati a vederci con quella luce diffusa, senza ombre, su sfondo neutro, perfettamente frontali (sono poche le vere occasioni in cui guardiamo frontalmente una persona). Sono "oggettivi" e al contempo per chi conosce la persona, manca qualcosa. |
Che cosa ne pensi di questo argomento?Vuoi dire la tua? Per partecipare alla discussione iscriviti a JuzaPhoto, è semplice e gratuito!
Non solo: iscrivendoti potrai creare una tua pagina personale, pubblicare foto, ricevere commenti e sfruttare tutte le funzionalità di JuzaPhoto. Con oltre 252000 iscritti, c'è spazio per tutti, dal principiante al professionista. |

Metti la tua pubblicità su JuzaPhoto (info) |