| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 16:28
Il titolo del post, un po' sibillino - ma lo è perché mi infastidiscono i titoli troppo lunghi-, prende spunto da un'affermazione di Dorothea Lange che ritrovo nel saggio " L'infinito istante " di Geoff Dyer- Einaudi, 2007, che sto lentamente rileggendo. A pag.6 l'autore riporta alcune frasi di Lange: " sapere in anticipo che cosa stai cercando significa che stai solo fotografando i tuoi preconcetti, cosa che è molto limitante". Seconco lei era bene che un fotografo lavorasse " completamente senza pianificazione" e che fotografasse solo " ciò che isitintivamente gli procurava una reazione ". Certamente l'idea di D. Lange si scontra in qualche modo con l'idea di progetto fotografico, almeno a prima vista. E poi: quanto, secondo voi, c'è di condivisibile nella sua affermazione? La si può ridurre a un rozzo invito a 'fotografare d'istinto', oppure in essa c'è una riflessione attenta a non considerare il progetto come una gabbia precostituita? Propongo questa riflessione perché immagino che il tema, specie nell' atto di ' uscire con la fotocamera per fare qualche scatto ' ce lo siamo posti o continuiamo a porcelo |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 16:38
Prima la pensavo così . Ora no . Il genere fotografico poi è determinate su questa scelta : se faccio street o ritratti ovvio che seguirò l'istinto . Se il mio genere é sportivo o still life penso che una programmazione sia necessaria . Con gli anni poi si hanno già in testa le foto che uno farà ( o che non farà ) Un altro discorso si potrebbe fare sulla luce : molto spesso pensiamo che una determinata luce non sia adeguata alle foto che abbiamo in testa . Ecco su questa variabile ammetto che bisognerebbe essere più istintivi . |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:07
Certamente è vero Paolo (la faccenda del preconcetto). Non so se ne farei solo e semplicemente una questione di progetto, perché il preconcetto interviene nel nostro comportamento in modo relativamente automatico, e credo che sia così più o meno per tutti. Quindi il demarcatore del fotografare d'istinto potrebbe essere relativo. Faccio un banale esempio (un preconcetto non si esprime solo in negativo ovviamente: non serve dire "i neri sono peggio", ma basta dire "i bianchi sono meglio"....). Il bokeh per molti è considerabile bello in sè, per cui non è necessario programmare troppo, per aprire il diaframma, che serva o meno, che migliori una foto o meno. Oppure se si pensa che "non si fotografano mendicanti" (io sono tra questi) quando scatti in una città li eviterai, sia che tu abbia pianificato come raccontarla oppure no. Quando poi ci si dedica a una fotografia il cui sfondo ha una natura anche solo relativamente sociale, la questione può diventare ancora più evidente. Immaginiamo uno scenario come quello del tristemente famoso G8 di Genova: una posizione preconcetta verso le forze dell'ordine, di un segno o di quello opposto, avrebbe davvero potuto portare a una fotografia "neutra"? Poi, nel caso di una Lange, va ovviamente considerato chi era e cosa ha fatto: nel suo caso la "pianificazione" assume un significato un po' differente dal progetto "lampioni della mia città" o "il lato nascosto della Ferilli". E nella sua America, chiamati a raccontarne lo stato come fu lei, il pregiudizio poteva assumere contorni tali da deformare la storia. Ed essere molto difficile da schivare, in una fase di pianificazione... Poi non so ovviamente il contesto della frase, che non conoscevo, e che potrebbe cambiarne i contorni rispetto all'apparenza. |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:18
E' vero che " il demarcatore del fotografare d'istinto potrebbe essere relativo": forse anche limitante ! Ma mi chiedo: quanto può essere vero il fatto che è la foto ( non: la Fotografia ) che 'viene a cercarti' ? Al netto di ogni concezione un po' esoterica o misterica: c'è qualcosa di vero nell'aspetto fortuito e, talvolta, non voluto, di uno scatto che, almeno soggettivamente, consideriamo riuscito? Ovvero: ci potrebbe essere una sorta di progetto 'a posteriori', cioè un riordino di una serie di scatti che abbiano un minimo di omogeneità, rivisti e riconsiderati soltanto dopo la loro esecuzione. Chi può dire quanti siano i progetti fotografici non dichiarati e, soltanto ex post, organizzati, nella Storia della Fotografia? |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:26
Detto che a sto mondo c'è di tutto Paolo, sulla foto che viene a cercarti, penso sia sempre relativo... Se decidi di andare nella campagna toscana o in un certo quartiere di Bombay sai già che ti "cercheranno" cose diverse. Senza esoterismi (sarebbe un capitolo diverso) io credo che, a livello subconscio perlomeno, noi cerchiamo sempre qualcosa che dentro abbiamo. E fotografiamo in buona parte in funzione di quello. Per cui, con tutte le eccezioni del caso, forse ci accorgiamo di una parte soltanto di quel che "ci cerca", e magari non è casuale che proprio di quella ci accorgiamo. La fotografia tende a contenere sempre un minimo di giudizio morale, a incorporare un punto di vista sulle cose (specie per coloro che hanno maggiore maturià fotograficamente parlando), per cui penso che il totalmente fortuito sia l'eccezione e non la regola. Il progetto "a posteriori" poi è un'ulteriore opzione per piegare la fotografia alla nostra concezione del mondo. Anche solo selezionando le foto atttraverso cui rappresentare Napoli oppure Caracas... |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:36
In effetti è una questione interessante e complessa, non liquidabile con facilità. Escludiamo l'opposizione pianificazione/istinto quando riguarda aspetti tecnici oggettivi. Cioè ad esempio quando per fare una certa fotografia devo "pianificare" l'uso di una certa attrezzatura oppure l'essere in un certo luogo in un certo momento. Riguardo al tema del "progetto", credo si possano fare alcune affermazioni che contengono una parte di verità pur essendo apparentemente in contraddizione: - su qualsiasi argomento al mondo io ho un giudizio almeno parzialmente già formato (un pre-giudizio), quindi davanti a qualsiasi soggetto io non agirò mai completamente d'istinto con un comportamento da tabula rasa; - se, preparandomi ad un progetto, mi costruisco un'ipotesi "di ferro" su un argomento, quando sarò sul campo rischio di "riconoscere" e fotografare solo quello che rientra e conferma la mia ipotesi; - se io non mi preparo bene sull'argomento che affronterò con il mio progetto, le mie foto saranno superficiali perché la mia conoscenza è superficiale. Senza la conoscenza di una realtà, rischio di formarmi un'opinione sbagliata e preconcetta di quel che vedo. E molto facilmente non dirò qualcosa di originale ma ripeterò cose già viste. Quindi credo che pianificazione e istinto non siano in antitesi, ma occorra trovare un equilibrio fra entrambi, dando più spazio all'una e all'altro a seconda delle circostanze. |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:44
“ Senza la conoscenza di una realtà „ Sempre attento mio caro Ale e interessante leggerti. Aggiungerei un'estensione: che la conoscenza della realtà, a sua volta, ricomprende il pregiudizio. La realtà dello stato dell'immigrazione a Cantù, sai che è e non non è la stessa per tutti, a prescindere dal grado di esplorazione... Per cui le due cose si intersecano, inevitabilmente. |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:47
E' vero anche che si potrebbe lasciare che la fotocamera prelevi ciò che le pare dalla realtà su cui è puntata. Quando Winogrand dice: " Fotografo per vedere come appare una cosa una volta fotografata" forse sta facendo un po' lo sbruffone ( lo dico senza provocazione ) oppure sta semplicemente dicendo che, per quanto vogliamo operare una selezione nella realtà, l'obiettivo è lui che fa la foto e che potrebbe essere interessante constatare a posteriori ciò che ha combinato. Senza inutili accorgimenti, vorrei dire che l'idea stessa di Fotografia che ognuno di noi si è fatto ( a vari livelli ) è già di per sé una forma costrittiva e misitificatoria: ci sono certi stilemi condivisi, per cui se fotografo un volto 'come sta e giace', è meno 'fotograficamente' interessante del fotogramma di un volto più...studiato. E qui si sconfina nel campo del cliché o del kitsch, quando si fa una Fotografia 'atteggiata', la quale poi è manierismo bello e buono.... |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:49
Assolutamente d'accordo. Ritorniamo al tema dell'equilibrio fra le due posizioni. Quello che non mi piace è quando si propaganda l'istinto come libertà espressiva opposta alla rigidità della pianificazione. In particolare se si fotografa per documentare qualche realtà del mondo, credo che l'approfondimento sia eticamente doveroso. |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:52
Certo! Infatti, restando a questa porzione del discorso, sono convinto che per fotografare ' a ragion veduta' ( !!! ) una realtà, bisogna prima conoscerla nei suoi risvolti di complessità e molteplicità. Però con il rischio del...preconcetto |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 17:53
“ Quello che non mi piace è quando si propaganda l'istinto come libertà espressiva „ Come s'ha da di'.... quotone |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 18:03
Detto questo credo che se ci soffermiamo sul meccanismo che presiede all' "incontro casuale con il soggetto" è innegabile che ci sia una grossa quota di "irrazionalità". Personalmente quando mi metto in certe condizioni, mi sembra di predispormi a questo tipo di "incontro" in modo che potremmo definire istintivo. Come una specie di apertura verso il mondo che non mette filtri, ma mi fa improvvisamente arrestare davanti a qualcosa che vedo. Anche se sono o credo di essere "dentro a un progetto". |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 18:04
Non per fare il filologo o l'esegeta, ma Lange parla di fotografare ciò "che isitintivamente gli procurava una reazione ", il che, a rigore, non significa scattare d'istinto o il 'fàmolo strano' contrabbandandolo per libertà espressiva... |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 18:05
Continuiamo a procedere in tre in parallelo... |
| inviato il 26 Gennaio 2020 ore 18:06
“ Come una specie di apertura verso il mondo che non mette filtri, ma mi fa improvvisamente arrestare davanti a qualcosa che vedo. „ Ecco, sì ! |
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