Dalla parte del porco
L'inverno era il mese più bello per me, tutta la campagna sembrava incantata. Sparita sotto la coltre di neve, i luoghi più comuni trasformati, mutati davanti ai miei occhi, sotto i grandi fazzoletti bianchi che cadevano volteggiando dal cielo. In silenzio, con il naso appiccicato al vetro ascoltavo il rumore della neve. Un rumore leggero che si espandeva nelle strette carraie, tra i bassi filari, lungo i fossi sino a gli alti pioppi che lambivano il fiume. Gli alti pioppi che dalla finestra, in lontananza apparivano come grandi cerini. Ed io fantasticavo avventure nella neve, battaglie e fortini di ghiaccio. Regine su carrozze bianche che attraversavano veloci i coltivi addormentati. Regine in cerca di prede dall'animo semplice da circuire e portare con se nel grande palazzo di ghiaccio. Si stava in casa davanti alla finestra per ore aspettando che la mamma desse il via libera per uscire. Ci costringeva a mettere imbarazzanti calzamaglie di lana sotto i pantaloni di fustagno. Enormi calzettoni fatti a mano, che a malapena entravano negli scarponi di cuoio. Il giorno della nevicata la mamma stava ore a passare il grasso sulle cuciture per evitare che vi entrasse l'acqua, i primi erano quelli del papà che gli servivano a lavorare con gli animali. Perché nonostante la campagna fosse addormentata i porci, loro, dovevano sempre mangiare. Che vi fosse la neve o l'acquazzone la zotta doveva essere preparata. Nella porcilaia la grossa caldaia a legna era sempre accesa pronta per scaldare l'acqua ed in mezzo alla bufera, dalla mia camera vedevo il vapore fuoriuscire dal camino di fronte alla finestra.