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Eccomi, solo. L'auto era parcheggiata in un angolo del grande spiazzo in località Pian del Lupo. Non mi era mai capitato prima. Forse a causa del giorno – uno dei tanti venerdì lavorativi – o magari del tempo, tutt'altro che confortevole. Resta il fatto che ero solo.
Attraversai Chiareggio alle prime luci dell'alba. Il piccolo abitato alpino appariva deserto, surreale, come un villaggio fantasma incastonato tra le montagne della Valmalenco a 1600 metri. Un leggero nevischio cadeva silenzioso tutt'intorno, mentre l'odore pungente del ghiaccio sovrastava ogni altra fragranza.
Lo zaino, carico di attrezzatura fotografica, indifferente al tempo trascorso, tornò presto a pesare sulle spalle, ormai disabituate a simili incombenze. Il passo era deciso fin dall'inizio, guidato da un ritmo incalzante, come quello di un direttore d'orchestra che, scrupolosamente, segue lo spartito, rispettandone rigorosamente i tempi.
Il sentiero, ampio e regolare, mutava dolcemente pendenza, quasi volesse risparmiare un corpo non più avvezzo allo sforzo, adagiato al comodo torpore del benessere moderno. Un sibilo accompagnava il respiro, il cuore batteva rapido, le gambe si fecero presto legnose, rivelando senza remora il proprio disagio.
Man mano che salivo, la neve si faceva sempre più fitta, celando il ghiaccio presente nelle sponde solive delle valli. I pensieri, impegnati a gestire ogni passo, ogni appoggio, ogni piccolo ostacolo, si persero, dissociandosi dalla fatica, seguendo altre vie. E così, lentamente, il malessere si attenuò, lasciando spazio a una strana e silenziosa armonia.
La memoria più profonda riaffiorò, e tornai a sentirmi un tutt'uno con l'ambiente circostante. Quasi come fosse incisa nella storia primordiale dell'essere umano, come una pietra modellata dall'evoluzione, smussata dai cambiamenti sociali, ma traccia indelebile delle fatiche degli uomini di montagna.
Le sensazioni divennero presto piacevoli, e più guadagnavo quota, più aumentava il profondo piacere di quell'istante di amata solitudine.
Aumentava anche la quantità di neve che, inaspettatamente, ricopriva completamente il pianoro dell'Alpe dell'Oro, meta del giorno. Nessun incontro, né animale né umano, intaccava il silenzio che regnava e che si poteva percepire ovunque, tutt'intorno. Come se, quell'istante, nessuno osasse interrompere.
“Etched in Stone” nasce in quel preciso momento, in quell'attimo rubato alla vita di tutti i giorni. Nasce nel silenzio di un attimo sospeso, lontano dal frastuono della vita ordinaria.
Un silente tributo a costruzioni dimenticate, figlie di tempi antichi, scolpite nella fatica.
Testimoni di un'esistenza aspra, incomprensibile agli occhi moderni, ma impressa indelebilmente nella memoria della pietra.
Sullo sfondo, con il loro impercettibile mutamento, le stesse, immense montagne.
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