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Si racconta che all'inizio del secolo scorso una società inglese tentò di acquistare la cascata per costruirvi una diga. Sigríður, una contadina del posto e proprietaria di Gullfoss, minacciò di buttarsi nella cascata nel caso il governo islandese avesse approvato il progetto. Due cose colpiscono di questa storia, la prima è che una contadina potesse possedere una delle cascate più spettacolari del nostro pianeta e la seconda è la vittoria della natura sull'uomo: istantanea perfetta che descrive con dirompente realismo quest'isola. A proposito di istantanee, la ricerca di uno scatto che rendesse giustizia a questo posto straordinario non è stata affatto semplice: la cascata è molto scenica - la tentazione della dozzinale foto da cartolina è forte - offre molti livelli di profondità, si snoda dal percorso lineare del fiume Hvítá e si tuffa quasi aggrovigliandosi su se stessa in una gola per proseguire il suo cammino verso l'oceano. Si raggiunge da una breve camminata e rimane celata sino all'ultimo scoprendosi solo un attimo prima di essere schiantati dalla sua maestosità: subito ci si trova avvolti da un'immensa nuvola di rugiada che annebbia gli occhi e gli obiettivi ma che non impedisce di apprezzare gli scorci da cartolina. Ho provato qualche scatto ma i punti panoramici, che non mancano, non soddisfacevano la ricerca di una fotografia in grado di raccontare quel pomeriggio grigio, quella luce piatta; finchè non ho notato un ragazzo asiatico che incurante del pericolo ha superato le barriere e si è avventurato sino alla punta erbosa che si affaccia sull'ultimo salto di Gullfoss. Mi è sembrata una scena bellissima: un piccolo uomo vestito di giallo, impavido, avvolto da una polvere di acqua di fronte alla grandezza della natura; mi ha ricordato un po' la storia di quella contadina.
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