JuzaPhoto utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti per ottimizzare la navigazione e per rendere possibile il funzionamento della maggior parte delle pagine; ad esempio, è necessario l'utilizzo dei cookie per registarsi e fare il login (maggiori informazioni).
Proseguendo nella navigazione confermi di aver letto e accettato i Termini di utilizzo e Privacy e preso visione delle opzioni per la gestione dei cookie.
Puoi gestire in qualsiasi momento le tue preferenze cookie dalla pagina Preferenze Cookie, raggiugibile da qualsiasi pagina del sito tramite il link a fondo pagina, o direttamente tramite da qui:
La madre dell'ucciso è una statua realizzata dallo scultore nuorese Francesco Ciusa tra il 1906 ed il 1907. È vestita di dolore con gli occhi perduti nel tempo; una Pietas solitaria che niente e nessuno può liberare dall'ombra che avvolge.
"E' il 3 luglio del 1897. Nelle campagne di Nuoro si consuma un brutale omicidio. A morire è un giovane di poco più di trent'anni, il suo nome è Mauro Manca, ma nessuno lo chiama così. E' conosciuto come “Muredda”, e ad ammazzarlo è stato un bandito di Orgosolo, tale Giuseppe Lovicu, pare con la complicità di due delinquenti come lui, Elias e Giacomo Serra Sanna. Gliel'avevano giurata, gli assassini, dopo che la sua testimonianza li aveva fatti condannare al carcere in un processo per un furto di maiali. «Il cadavere era disteso supino in mezzo al grano, la camicia aperta sino all'addome, le braccia aperte come Cristo, tenendo ancora in mano la falce». A parlare è Francesco Ciusa, a quel tempo appena quattordicenne. Quel mattino s'era sparsa la voce che avevano ammazzato uno dalle parti di Tertilo e il ragazzo non aveva saputo resistere alla tentazione di vedere il corpo. Appena arrivato sul posto, s'era imbattuto nell'immagine di una donna “urlante, come ombra nera di malaugurio” che gli era sbucata davanti mentre si precipitava incontro al cadavere del giovane morto, suo figlio.
L'impressione che l'episodio suscita in Francesco è enorme. Gli ci vorranno anni a elaborarla, ma non lo abbandonerà più. Più tardi, Francesco diventerà un grande artista. La scultura è la sua passione e i genitori, per assecondarla, lo mandano a Firenze a studiare, beneficiando anche di un sussidio di cui l'ha provvisto il municipio di Nuoro. Negli anni a cavallo fra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, egli può così frequentare l'Accademia delle Belle Arti nel capoluogo toscano ed entrare in contatto con alcuni dei grandi artisti che la animano, fra cui l'anziano Giovanni Fattori. Il realismo, il simbolismo e l'arte rinascimentale esercitano una profonda influenza su di lui. Così come le idee anarchiche, il socialismo e le lotte operaie che a quell'epoca si combattevano un po' su tutto il territorio nazionale. Ma nel profondo del suo cuore è sempre la sua terra, la Sardegna, a dominare. Vi è tornato dopo l'esperienza fiorentina e ha cominciato a raccontarla con la sua arte.
Dopo una prima esposizione a Nuoro, in cui le sue opere destano un certo interesse, la grande occasione gli si presenta con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1907.
Francesco decide di presentarsi accompagnato da ciò che ha di più caro: i miti, i simboli, le angosce e l'enorme vitalità di casa sua. E riesce, miracolosamente, a racchiuderli tutti in una scultura, che quasi magicamente li contiene e li moltiplica in sé. “La madre dell'ucciso”, si intitola, e rappresenta la maniera, per il giovane artista, di rispondere a quel bisogno impellente che sente crescere dentro di sé da quel giorno di dieci anni prima in cui il lamento di Grazia Puxeddu, la “vera” madre dell'ucciso, gli è parso ospitare l'universo di dolore e la voce di una terra intera.
E' morta nel 1905, Grazia, senza che Francesco potesse osservarla quanto voleva per carpirne l'intimo segreto da infondere nella sua statua. Ha dovuto rivolgersi a un'altra donna, per realizzarla, ma quella statua parla di lei, è lei.
Nella sua opera, Francesco incarna la Sardegna, la potenza selvaggia e primordiale che preme nelle sue viscere e si manifesta, di tanto in tanto, in grandiose opere d'arte che fanno scoprire al mondo il suo fascino senza tempo.
Il grido di Grazia, che ancora lacera la memoria dell'artista, si trasfigura nella sua opera in un silenzio cosmico. «Non ho avuto più pace, mi aveva preso la smania di raccontare quel silenzio del nostro tempo tragico, che abbiamo vissuto da soli», racconterà in seguito Francesco. Quel silenzio simbolico, che racconta dell'isolamento dell'isola, della sua solitudine ancestrale, le vicende senza tempo che ne animano ogni sasso, ne colmano ogni recesso, si esprime nelle labbra ostinatamente serrate della donna, nel capo chino e nello sguardo sfuggente dei suoi occhi bassi, confitti in una terra cui ella sente di appartenere completamente. La donna viene colta nell'atto di compiere la rituale veglia funebre detta “Sa rja”, accoccolata su di un focolare ormai spento, quasi a impersonare l'archetipo stesso della madre che veglia sul focolare domestico fino alla fine, anche quando esso è definitivamente estinto."
Scritto tratto da un articolo di Filippo Innocenti, 17 Marzo 2019. Pubblicato su Il Sestante il 31 Gennaio 2019
Hai domande e curiosità su questa immagine? Vuoi chiedere qualcosa all'autore, dargli suggerimenti per migliorare, oppure complimentarti per una foto che ti ha colpito particolarmente?
Non solo: iscrivendoti potrai creare una tua pagina personale, pubblicare foto, ricevere commenti e sfruttare tutte le funzionalità di JuzaPhoto. Con oltre 256000 iscritti, c'è spazio per tutti, dal principiante al professionista.
Certe emozioni "scolpiscono" l'anima e non si scordano più. Al solito mi hai fatto leggere parecchio ma la lettura è stata piacevole ed interessante. La scultura è profondamente bella e dona immortalità al dolore di una madre. Bravo Giuseppe.
nonostante tutto ogni tanto anche qui su questo sito si apprezza e impara qualcosa come sempre un ottimo lavoro di divulgazione oltre che fotografico saluti
Questa statua esprime un dolore così profondo che ti entra dentro già prima di aver letto la storia del giovane ucciso e lo strazio impresso sul volto di sua madre. Mi ha colpito molto la motivazione che ha spinto l'artista a realizzarla e come simboleggi diversi significati legati alla tua terra, Giuseppe! Complimenti a te e al grande artista!