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Vagabondando in Vietnam (2023)


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Vagabondando in Vietnam (2023), testo e foto by Juza. Pubblicato il 05 Marzo 2023; 83 risposte, 14010 visite.


Provo a dormire coricato tra due sedili dell'aereo. Mi fa impressione pensare che sotto di me ci sono 12000 metri d'aria, un etereo cuscino. La temperatura fuori è di -56 gradi e l'aereo sfreccia nel buio a oltre mille chilometri orari... che cosa incredibile che è volare - e al tempo stesso spaventosa, al pensiero che solo pochi centimetri di metallo mi separano da un ambiente dove non potrei sopravvivere un istante.
Questi e altri pensieri mi hanno tenuto sveglio, e adesso che sono atterrato ad Hanoi, la luce dell'alba mi ricorda che qui il fuso orario è sei ore avanti rispetto all'Italia, e non c'è tempo per recuperare la notte in bianco. È giorno: che l'avventura abbia inizio!



28 Febbraio

Come tante città asiatiche, Hanoi è caotica: mi ricorda un po' l'India, ma con ancora più motorini. Il traffico in centro città è un incredibile intreccio di mezzi a due ruote che ignorano ogni regola del codice stradale: passare col rosso, andare contromano, fare inversione nei posti più assurdi è la normalità. Per un occidentale guidare qui sarebbe ai limiti della sopravvivenza - non è un caso che quasi nessun autonoleggio permetta di guidare personalmente, tutte le auto noleggiate in Vietnam sono con autista e sono piuttosto costose, motivo per cui ho optato per muovermi a piedi e con i mezzi pubblici.

Anche a piedi, però, girare per Hanoi è una bella impresa. I marciapiedi sono spesso impraticabili, coperti da infinite distese di motorini parcheggiati; i pochi spazi rimanenti sono occupati da bancarelle, e attraversare la città significa fare un continuo slalom tra gli innumerevoli ostacoli. E quando bisogna attraversare la strada? è impensabile che qualcuno si fermi per farvi passare, neanche dove appaiono timide strisce pedonali (non viene rispettato il semaforo, figuriamoci le strisce...). Dopo i primi momenti di panico, osservando come si muovono i locali ho capito la tattica da seguire: senza preoccuparsi del fiume di motorini che arrivano da ogni direzione, si attraversa, lentamente, la strada. I vietnamiti sono abituati a questo assurdo traffico, e hanno ormai sviluppato una vera e propria arte per evitare di scontrarsi con altri motorini o pedoni; nessuno si fermerà, ma all'ultimo riusciranno a schivarvi. Almeno spero.

Dopo aver esplorato un po' il centro, decido di uscire dalla città per visitare Quang Phu Cau, un villaggio noto per la produzione di bastoncini di incenso rosso. In Vietnam, ogni villaggio è specializzato in una singola attività di artigianato, e ho letto che ci sono oltre cinquemila villaggi di artigiani, ciascuno dedito alle sue peculiari opere. Prendo un paio di bus, al prezzo di meno di un euro, e in circa due ore e mezza raggiungo il villaggio. Gli autobus che attraversano le campagne sono spesso molto piccoli, dieci posti o poco più, e oltre a trasportare le persone fanno anche da corrieri: ad ogni fermata caricano merci, ogni tanto si fermano e l'autista consegna un pacco a qualcuno, riceve un pagamento, ritira una qualche spedizione (il che spiega le oltre due ore per percorrere una cinquantina di chilometri).




La notte in bianco comincia a farsi sentire (senza contare che già la notte ancora prima avevo dormito poche ore); mi incammino, parecchio stanco e rintronato, tra le vie del villaggio. Dopo un po', mi appaiono i famosi mazzi di incenso: l'effetto visivo è incredibile, distese di rosso così intenso da sembrare quasi irreale, come entrare in un dipinto. Ci sono decine di piccole imprese familiari che li producono; ne esploro diverse, fino a trovarne una che ha riempito quasi un'intera piazza. Da subito sono stupito dall'ospitalità e l'accoglienza della gente, oltre all'entusiasmo di tutti i bambini che mi incrociano e puntualmente mi salutano con un "hallooo".




Gli artigiani preparano l'incenso in grandi pentole, miscelandolo con una tinta rossa (o, più raramente, altri colori); i bastoncini di circa 30 centimetri di lunghezza, già legati in grandi fasci (come poi li vedremo esposti) vengono rapidamente immersi nel liquido per metà della loro lunghezza. Ogni fascio misura circa 35-40 centimetri e ha un peso attorno ai 4-5kg. Dopo pochi secondi, vengono scrollati per rimuovere il liquido in eccesso e disposti in grandi cataste, per poi essere trasportati in qualsiasi spazio che si presti all'essicazione - cortili privati, marciapiedi, spazi vari ai lati della strada, piazze. I lavoratori hanno imparato a disporli in modo che il fascio si apra a forma di fiore in modo da ottimizzare l'asciugatura, e questo va a creare lo spettacolo che potete vedere nelle foto.

Il tempo necessario per la preparazione varia, ovviamente, in base al meteo: col sole può bastare anche un solo giorno, ma se piove i lavoratori devono rapidamente raccogliere le centinaia di fasci, riportarli al coperto e quindi esporli nuovamente alla prima occasione.

Rientrato in albergo, controllo gli orari per il treno del giorno successivo, in direzione Ninh Binh - un sito lo dà alle 8:50, un altro alle 9:00 - e nel dubbio metto la sveglia due ore prima per arrivare con largo anticipo. Mi corico alle otto locali e, per una volta, crollo nel sonno.






1 Marzo

Ho imparato una nuova cosa sul Vietnam: non si ci può fidare troppo delle informazioni che si leggono online. Una volta arrivato in stazione, ho scoperto con terrore che il treno non era alle 8:50 nè 9:00, ma... alle 15:30! Giro per qualche agenzia di viaggio per cercare trasporti alternativi, ma tutti partono la mattina del giorno successivo, così mi rassegno a passare la giornata ad Hanoi e partire nel pomeriggio (solo in seguito scoprirò un sito, www.bookaway.com , che in Vietnam e altri paesi asiatici permette di vedere tutti i minibus disponibili e prenotarli con grande facilità). Il caos della città non mi fa impazzire, ma non avendo altre scelte passo il tempo esplorando vicoli e strade; oltre al già citato traffico, quello che mi colpisce è il miscuglio di odori che permeano la città... un continuo alternarsi di fragranze esotiche, onnipresenti fritture, immondizia abbandonata in strada, odori di gente, di profumi, di sudore, di vecchi motori e motorini che si trascinano tra nuvole di fumo, e tanti altri odori indescrivibili, talvolta piacevoli e talvolta disgustosi.

Oggi non faccio foto; ho in mente l'idea della campagna dove mi porterà il treno, tranquilla e lontana dal martellante rumore dei clacson che qui vengono usati in continuazione, spesso solamente per segnalare la propria presenza, a volte apparentemente senza motivo, solo per aggiungere altro rumore al rumore della città. Viaggio su un vagone letto, non per mia scelta ma perchè era l'unico rimasto; per me che sono alto la cuccetta è piuttosto scomoda, e mi spiace che non permetta di vedere molto da finestrino, se non facendo posizioni che mi garantiranno un discreto mal di schiena.

Ninh Binh non potrebbe essere più diversa da Hanoi. Alle cinque del pomeriggio la città è avvolta nel silenzio, poche auto passano lungo le ampie strade semideserte, l'aria è quasi pulita. Per uno come me è un benvenutissimo cambiamento, e la camminata di un'ora e mezza per raggiungere il mio alloggio, prima attraverso la città e poi tra i campi, è un bel momento di relax, accompagnato da una pioggerella leggera e un venticello fresco.



2 Marzo

Sveglia alle cinque per raggiungere la cima di uno dei vicini monti, dove c'è il famoso Hang Mua, un punto panoramico sulle campagne circostanti. Le informazioni che avevo trovato si dimostrano (ancora una volta) sbagliate: c'è sì un cancello per arrivare alla salita di 500 scalini che porta in vetta, ma alle cinque e mezza è già aperta e la guardia mi fa entrare. Chi aveva descritto le tempistiche non doveva essere molto in forma: arrivo in vetta in poco più di dieci minuti invece dei quaranta previsti. La vista sarebbe notevole, ma l'onnipresente foschia non dà molte opportunità fotografiche, anche se con un po' di fortuna riesco comunque a portare a casa una foto: una ragazza con un vestito rosso mi passa davanti ed entra nell'inquadratura (cosa che abitualmente fa il mio amico Riaz, come saprà chi ha seguito le mie avventure negli anni passati; ogni tanto l'ho sfruttato come elemento umano nella composizione, e ogni tanto gli ho tirato un po' di accidenti). In questo caso però l'intrusione è certamente benvenuta, e aggiunge uno sfavillante tocco di colore in una scena che sarebbe altrimenti dominata da ben poche tonalità, grigio in primis.




Dopo un paio d'ore scendo e percorro a piedi gli otto chilometri fino al punto di partenza del minibus. Sono circa le tredici quando arrivo al rendez-vous con i miei compagni: Domenico, Daniele e Alex. La stanza dell'albergo che abbiamo prenotato è enorme e pulita; lascio giù tutto tranne l'attrezzatura e prendiamo un taxi per Thu Sy. Non concordiamo prima il prezzo: gravissimo errore, in Vietnam se si va a tassametro si viene pelati, e dopo una ventina di minuti la spesa sta salendo a un ritmo proibitivo, nonostante le promesse dell'autista "yes sir, cheap, very cheap". Mi girano le scatole e gli dico di farci scendere immediatamente; dopo un po' di insistenze si ferma a lato della strada, paghiamo (seppur con un certo disappunto) e via. Ma via dove? Siamo in mezzo al nulla. Raggiungiamo a piedi un villaggio, scherzando lungo il cammino sui tanti modi migliori in cui avremmo potuto spendere quei soldi; il villaggio, però, è minuscolo e nessun taxi risponde alle chiamate qui.

Dopo un po' ne vediamo uno parcheggiato e vuoto: gli abitanti del villaggio, che guardano incuriositi i quattro arrivati a piedi dall'autostrada, capiscono la situazione e vanno a cercare l'autista, che stava dormendo da qualche parte. Trattiamo il prezzo per giungere a destinazione: per assurdo, un'ora si viaggio ci costerà meno (20 euro) del venti minuti fatti da Hanoi con l'altro taxi. L'autista ci delizia con acrobazie che rendono il trasferimento particolarmente avvincente: a un certo punto, siamo su una sorta di autostrada, e dovremmo girare a sinistra. Pensate che il nostro eroe abbia proseguito per quei due chilometri che mancavano all'uscita, per poi tornare indietro e imboccare la strada?

Non sia mai: con sprezzo del pericolo (e della vita), sfutta un varco nello spartitraffico centrate per prendere contromano la corsia opposta dell'autostrada, prosegue per trecento metri schivando le auto e i camion che ci vengono contro e infine si infila sulla strada a sinistra. Non male.

Arriviamo finalmente a Thu Sy e iniziamo l'esplorazione del dedalo di viuzze, prima tutti assieme e poi ciascuno per conto proprio. Una ragazza a lato della strada sta saldando del metallo, col volto protetta solo da una maschera di tessuto e occhiali alla buona. Ad ogni lampo le scintille volano nell'aria come piccoli fuochi d'artificio: sono affascinato e mi avvicino, fino a sedermi di fronte a lei. Col grandangolo 35mm bisogna stare parecchio vicini: si entra nella scena, con tutti i pro e contro del caso. Cerco di evitare la luce accecante ma resto lì, a costo di beccarmi le scintille... un lampo, due, tre, e alla fine riesco a cogliere l'attimo che cercavo. Alex mi ha insegnato a salutare in vietnamita: "cam on" (per ricordarsi, si può pensare all'inglese "come on"), così saluto e riprendo la camminata.




Fotografo un po' di artigiani che realizzano trappole da pesca, e a un certo punto quattro uomini seduti a un tavolo mi fanno cenno di raggiungerli - con la macchina fotografica in mano, si dà parecchio nell'occhio - e mi mostrano orgogliosamente le trappole che producono, per poi invitarmi a prendere il the con loro. Anche se nessuno parla una parola d'inglese, a gesti e sorrisi più o meno ci si capisce. Mi colpisce la loro solare gentilezza, un'accoglienza a cui noi non siamo abituati.

Assaggio il the - amarissimo - e cerco di finirlo velocemente per togliere dalla bocca il retrogusto, col risultato che i miei gentili ospiti, pensando che l'abbia particolarmente gradito, me ne versano un'altra tazza prima che possa dire di no. Sono più che felici di farsi fotografare, e io trovo incredibilmente bello il mix di colori della casa e dei loro vestiti dalla sobria eleganza.




Poco dopo, proseguendo il mio cammino con Sony alla mano, vengo fermato da una signora che mi fa cenno di seguirla e mi porta da uno degli artigiani più noti del villaggio: quest'uomo ha fatto della lavorazione delle nasse l'impresa di tutta la sua famiglia; quando arrivo sta lavorando assieme a due anziane signore, mentre una vivace bimba di qualche anno zampetta avanti e indietro. L'anziano artigiano, unendo l'antico lavoro con un po' di moderna furbizia, ha trasformato il cortile in una pittoresca esposizione delle sue opere, assieme a una bicicletta parcheggiata di lato dove mostra come vengono trasportate le trappole (caricando all'inverosimile la bicicletta, versione antica degli attuali motorini cargo che si vedono ovunque in Vietnam).

Chiede l'equivalente di qualche euro per farsi fotografare; è il primo nel villaggio che chiede un compenso, ma tutto sommato penso sia una richiesta più che legittima visto il piccolo museo che si è prodigato di costruire, e così facendo riesce integrare il guadagno del suo lavoro. Alla fine, non tanto per filantropia quanto per mia imbranataggine nel contare i dong, finisco per dargli ben più di quanto richiesto, per la gioia dei presenti - una delle anziane signore mostra una delle banconote alla bimba, che la prende e saltella in giro come avesse un grande tesoro.

Le trappole qui prodotte, dette nasse, hanno una forma simile a una sorta di anfora; una volta che il pesce entra, attirato da un'esca, non riesce più ad uscire. Costruire a mano una di queste trappole richiede un'enorme pazienza: si parte dal legno di bambù, che viene tagliato a fascette sottilissime, flessibili ma al tempo stesso robuste. Queste vengono poi intrecciate creando la forma ovale delle trappole (o cilindrica, in alcune varianti); gli artigiani lavorano con calma e lentezza, creando opere di incredibile perfezione.




A sera mi ritrovo con i miei amici; ancora una volta la ricerca del taxi non è facile, ma troviamo un abusivo che ci fa salire, per poi nascondere frettolosamente l'insegna del taxi. Se ci fermano, siamo tutti amici. Il nostro nuovo amico trascorre la guida col cellulare in una mano, con cui sta facendo un gioco di scommesse sportive, e lo sguardo diviso tra il cellulare e lo schermino dell'auto, dove sta guardando ragazze in bikini che ballano. Ogni tanto dà una rara occhiata alla strada.






3 Marzo

Il programma è visitare dei produttori di soia durante la mattina, per poi prendere il minibus verso HaLong all'ora di pranzo. Dopo una rapida colazione prendiamo un taxi e raggiungiamo il posto dopo un'ora in mezzo al solito assurdo traffico. Siamo in giro da poco quando Domenico ci fa: "ragazzi, non ho più il cellulare".

Controlla in tutte le tasche: non c'è. È rimasto in taxi, il dannato telefono.

Dopo il primo momento di panico, corriamo ai ripari: proviamo a chiamare l'assistenza di Grab (l'uber vietnamita), ma il numero verde non funziona telefonando con le sim italiane, e quelle locali che abbiamo sono solo dati. Chiediamo a un amichevole ragazzo agguantato per strada di chiamare col suo cellulare: niente, non funziona neanche a lui.

Dopo un po' ci dividiamo: io e Dani cerchiamo di contattare l'assistenza via chat, Dom e Alex prendono un altro taxi e, sfruttando il sistema di localizzazione Apple, partono all'inseguimento. Passa un'ora: io nel frattempo riesco ad avere un contatto telefonico, con la promessa che avrebbero rintracciato l'autista e l'avrebbero rimandato da noi. Nell'attesa prendiamo uno strano panino ripieno e un wurstel (non voglio neanche sapere di che bestia e con quante zampe) a un banchetto sgangherato lungo la strada; la signora li raccoglie con le mani unte e ce li porge.

Ma che è successo nel frattempo ai nostri eroi? Avete presente le scene dei film in cui un agente salta su un'auto e fa "polizia! insegua quell'auto!"? ecco, hanno fatto una cosa del genere, e sorprendentemente il loro tassista ha capito la questione e si lancia a tutta velocità in mezzo al traffico per recuperare i quasi quaranta minuti di svantaggio. L'inseguimento proseguire per un'ora, finché il fuggiasco si ferma nei pressi di Hanoi: il Dom lo localizza e finalmente riesce a recuperare il cellulare.




Si è ormai fatto tardi e decidiamo di rientrare tutti ad Hanoi: gli inseguitori sono già lì, così io e Dani dobbiamo rientrare per conto nostro; cerchiamo un taxi, ma a un certo punto vedo un bus fermo a un semaforo. Salto su, chiedo "hanoi city center?", l'autista fa cenno di sì e con poche lire riusciamo a tornare all'hotel. Trascorriamo un'oretta a chiacchierare con la ragazza della reception, che ci ha preso in simpatia e ci racconta un po' la sua vita, felice conclusione di una mattinata movimentata.

Nel pomeriggio ci trasferiamo ad Ha Long, una baia che dovrebbe offrire vedute veramente spettacolari, se non fosse che la troviamo avvolta nella foschia, un grigiume assoluto, stavolta non rallegrato da nessuna modella improvvisata. Scattiamo qualche foto con poca convinzione per poi concludere la serata in un ristorante locale: ci aveva colpito perchè frequentato solo da vietnamiti, nessun turista in vista. Proviamolo!

I tavolini sono bassissimi, e si mangia seduti su minuscoli sgabelli. Al centro del tavolo è piazzato un fornelletto a gas, e la cena è a buffet: si va su un ampio bancone dove una grande varietà di carni e alimenti sono piazzate in varie casse (parte della cena si muove ancora: in una delle casse ci sono dei gamberoni ancora vivi). Ciascuno può prendere tutto quello che vuole; tutto è crudo, e deve poi essere cotto personalmente al proprio tavolo. Noi sappiamo subito farci riconoscere: incapaci di usare il fornelletto, mettiamo la fiamma al massimo e dopo poco tempo dal nostro tavolo si alza una bella colonna di fumo, tra i risolini degli altri commensali.




Alla fine riusciamo a regolare la fiamma e mettiamo a cuocere un po' di roba da mangiare sul tavolo unto e bisunto con le bacchette o con le mani (io, incapace di usare le bacchette, scelgo quest'ultima opzione). Alla fine tra uno schizzo d'olio e l'altro riusciamo a consumare la nostra cenetta, ma non senza una certa sindrome di inferiorità nei confronti dei locali che armeggiano tra pietanze e fornelletti come se fossero chef stellati. Momento saliente della serata: il buon Dani mangia qualcosa di non ben identificato e carnoso; lo sente stranamente croccante e duro all'interno, senza contare che grazie alle nostre capacità col fornelletto è per metà bruciato e metà crudo. Alla fine viene a galla la verità, anzi la gallina: quella che ha appena mangiato è una zampa di gallina, con ossa e tutto, che era stata vagamente già fritta e impastellata.



Da sinistra a destra: i miei compagni di viaggio a cena; la versione locale della Red Bull (non malaccio); le varie offerte del buffet.

Io me la sono cavata meglio, mangiando i miei soliti wurstel (che però hanno uno strano sapore dolciastro), patatine (molli e insipide) e panini fritti (agrodolci pure loro); una volta conclusa l'esperienza, al costo di circa 6 euro a testa e probabilmente qualche mese di vita, rientriamo alla base sognando taglieri di salumi, tortelli e paste all'amatriciana.



4 Marzo

La perenne foschia ci fa compagnia anche all'alba: facciamo un'oretta in giro in barca, ma la bellezza della baia di Ha Long non si concede a noi. Alla fine decidiamo di ripartire, anche grazie ai suggerimenti ricevuti da vari contatti che mi hanno fatto scoprire dei bei villaggi di artigianato nei pressi di Hanoi.

Nel nostro piccolo gruppo ciascuno ha le sue mansioni: Alex si occupa di cercare i taxi su Grab; io penso a trovare gli alloggi. Cerco una stanza per i prossimi due giorni, ovviamente sempre low budget: la media del viaggio è 10 euro a notte (a testa). Tra le tantissime opzioni che si trovano ad Hanoi, mi colpisce un appartamento in una zona fuori dal centro: è enormemente spazioso - 70 metri quadrati - e si trova in un grattacielo... chissà che non ci sia un bella vista. Prenoto, prendiamo poi il solito minibus e per l'ora di pranzo siamo ad Hanoi.

L'appartamento si dimostra eccezionale: siamo al ventesimo piano e la vista è davvero notevole; alcune finestre si possono aprire, e mi riprometto di tentare qualche scatto notturno. Proseguiamo poi visitando il villaggio di Quat Dong, dove vengono realizzati splendidi quadri con ago e filo; passeggiamo un po' anche per il mercato, dove tra i mille alimenti esotici e bizzarri vediamo anche il famoso cane arrosto che farà inorridire un po' di occidentali.




La foto della giornata nel complesso non sono un granchè, ma vengono ricompensate dalla vista del nostro appartamento: vista dall'alto, Hanoi è un affascinante alternarsi di case più o meno fatiscenti e moderni, imponenti grattacieli; le strade, come arterie, vene e capillari, sono un continuo scorrere della luce arancione del traffico, la linfa vitale di questa città, e al tempo stesso la sua condanna - Hanoi è tra le città più inquinate del sud-est asiatico, con un valore di polveri sottili 17 volte superiore a quello considerato come limite per un'aria salubre. Diciassette volte! Tantissime persone vanno in giro con la mascherina, e non per paura di un ritorno del covid: viene utilizzata per cercare di sopravvivere all'inquinamento.






5 Marzo

In mattinata visitiamo Bat Trang, il villaggio della terracotta: qui ammiriamo talentuosi artigiani che partendo dall'argilla creano vasi di incredibile bellezza, sfavillanti di colori e riccamente decorati.

Mentre stiamo tornando verso la strada principale dove cercheremo in taxi, un tipo ci agguanta e ci fa cenno di seguirlo al centro di una piazza dove si sta radunando parecchia gente. Sul terreno hanno costruito una sorta di piccola arena temporanea, circondata da mezzo metro di recinzione attorno a cui si accalcano gli spettatori. Non capiamo di cosa si tratti, ma spinti dalla curiosità attendiamo.

A un certo punto arrivano due ragazzi con un maiale: l'animale viene liberato nell'arena, dopodiché quattro volontari tra il pubblico si fanno avanti. I giocatori vengono bendati, e al via devono acchiappare il maiale: ovviamente, non potendo vedere, vanno in giro brancolando tra le urla del pubblico che gli grida dove girarsi; cadono, si scontrano tra di loro e talvolta si "attaccano" scambiando l'un l'altro per il maiale, finché uno non riesce a prendere la povera bestia e la folla esplode in un boato di vittoria.

Lo spettacolo si ripete più volte; assistiamo a tre round di questa "corrida" che, tutto sommato, non fa male a nessuno e sostituisce le scene cruente con un rocambolesco susseguirsi di cadute e comiche.

Nel pomeriggio proseguiamo per un altro villaggio dove, in teoria, vengono prodotti coloratissimi ventagli giganti. Il posto però non si trova, e finiamo per ritrovarci in uno sconosciuto villaggio di campagna, un posto dove nessun turista passa mai, fuori da qualsiasi rotta programmata.




L'accoglienza è staordinaria: tutti ci guardano come se fossero sbarcati gli alieni da un altro pianeta; i bambini ci seguono e ci vogliono stringere la mano. Qualcuno addirittura ci fotografa col cellulare, e un paio di ragazzotti su uno scooter mi seguono per un po' per filmarmi... si vanno quasi a ribaltare i ruoli; siamo noi la curiosità, l'attrazione da fotografare.

Giriamo a caso tra le vie del paese, immortalando scene di vita quotidiana e osservando con curiosità tutto quello che ci circonda. Le rosse bandiere con falce e martello sventolano tra le case, e spesso sui muri si vedono dipinti che ritraggono Ho Chi Min, il "padre" della nazione.

Un brusio di voci e musica ci attira in una traversa, dove ci imbattiamo in un banchetto di matrimonio: chiediamo di entrare e ci accolgono con entusiasmo e gentilezza, al punto di proporci di mangiare alla tavolata, unendoci ai festeggiamenti. Ci fanno bere birra e un "vino" locale derivato dalla fermentazione del riso (il tradizionale Ruou De); ha un sapore liquoroso che mi ricorda vagamente il nostro passito. I commensali sono già abbastanza brilli e ci versano vino in profusione, porgendoci un nuovo bicchiere ogni volta che ne svuotiamo uno e invitandoci a infiniti brindisi (alla fine arriverò al sesto, anche se devo dire che l'ho retto meglio del previsto).

Mi sono chiesto spesso in questi giorni perché non si possa vivere tutti così, in pace e gentilezza. Pur essendo un paese molto più povero dell'Italia, la criminalità è sorprendentemente bassa e non ho mai avuto paura ad andare in giro con la fotocamera in mano; la gente spesso lascia aperte le porte di casa, motorini e bici sono parcheggiati senza lucchetto, la gente lascia borse e merce in giro senza preoccuparsi... immaginate fare una cosa del genere da noi; in cinque minuti vi ritroveste senza bici e senza borsa.




Ma a che pro questo nostro continuo voler fregare il prossimo, questo vivere da "homo homini lupus"? A chi giova? Perché anche il ladro può essere derubato, anche il disonesto può ricevere una fregatura: in un ambiente malsano, nessuno ne è immune. Viceversa, comportarsi in modo perlomeno decente, o addirittura amichevole e altruistico, crea un circolo virtuoso di cui alla fine beneficiano tutti, chi aiuta sarà a sua volta aiutato. Una bella utopia.



6 marzo

Della giornata di oggi non pubblicherò il racconto ;-)



7 Marzo

Ultimo giorno ad Hanoi, con l'idea di prendere un bus questa sera per raggiungere il confine con la Cina.

Salutiamo Ann, la ragazza della reception con cui ormai siamo entrati in amicizia, e ci avviamo verso il villaggio, o meglio il quartiere di Le Mat. Hanoi, crescendo a dismisura, ha finito per inglobare i villaggi circostanti. Qui allevano serpenti, e in particolare cobra, che come potete immaginare finiscono poi nel piatto: dopo un po' di ricerche, incontriamo uno degli allevatori, una piccola impresa di famiglia con qualche decina di serpenti. Questi vengono tenuti in una serie di loculi disposti "ad alveare" su una parete; l'uomo ci mostra un paio di cobra, sguinzagliandoli sul pavimento. Fa impressione averli così vicini, vederli che si rizzano e mi fischiano contro, mentre cerco di fotografarli da pochi centimetri con l'obiettivo 18mm. Con grande destrezza, il proprietario li maneggia e li blocca con un bastone prima che riescano ad attaccare e mordermi: può tardi ci racconterà che in vita sua è stato morso due volte, la prima quando aveva 25 anni, e ancora adesso (che è sulla sessantina) ha le cicatrici sulle mani dovute all'azione distruttiva del veleno... e gli è andata bene.




Oltre ad essere cucinati, i serpenti vengono anche immersi in alcohol per farne una sorta di liquore; ci fanno sedere e portano a tavola varie bottiglie con liquidi giallastri in cui sono immersi cobra e altri serpenti. Mi lascio andare e li assaggio tutti; il sapore va da una sorta di grappa a un altro che ha un sapore simile alla frutta candita, in versione pesantemente alcolica (grazie al traduttore, ho poi scoperto che oltre al serpente immerso conteneva bile e sangue di serpente).




Mi viene proposto di uccidere un cobra per berne il sangue e ingoiarne il cuore; ringrazio, ma gli faccio cenno che ora preferisco tornare alle mie mansioni di fotografo. Da qualche parte avevo letto che se Adamo ed Eva fossero stati cinesi (o vietnamiti, aggiungo), probabilmente la mela l'avrebbero lasciata sull'albero e si sarebbero mangiati il serpente: ho pochi dubbi a riguardo :-)

Passiamo la mattinata a fotografare l'attività dell'allevatore, che per salutarci ci porge un serpente non velenoso da tenere in mano. Lascio che il serpente mi scorra sulle braccia, sulle spalle, sul collo; è una sensazione piacevole, non trasmette alcuna paura, è freddo e liscio.




A pranzo, dopo esserci persi a vagabondare tra stretti vicoli, finiamo in un piccolo locale che, ovviamente, cucina serpente. Non sono un gran assaggiatore di piatti esotici, ma a questo giro mangio anch'io serpente, probabilmente perchè ancora ubriaco dopo aver bevuto il liquore col cobra, sangue e bile. E' sorprendentemente buono: sa di pollo. Chissà che prima o poi non provi anche topi, pipistrelli, cavallette e compagnia varia.

Nel pomeriggio rientriamo in centro città, visitiamo un bizzarro locale ricoperto di post-it e infine prendiamo in tranquillità l'autobus per Lao Cai. Ci credete? Certo che no! La tranquillità non fa parte di questo viaggio. Il finale reale è stato decisamente più movimentato: arriviamo nel punto dove il bus ci avrebbe dovuto prendere, ma è sbagliato, quello giusto è a 400 metri... che potrebbe sembrare pochi, ma in mezzo tra i due punti passa un'autostrada dove transita mezza Hanoi, un flusso pazzesco di motorini e auto. Per quattro volte la attraversiamo avanti e indietro rischiando la vita perché col contatto telefonico dell'agenzia non si riesce a capirsi, e lo facciamo correndo perché il tempo passa e siamo ormai all'orario di partenza del bus.



Juza alle prese con lo sleeping bus e i suoi ristretti spazi.

Alla fine, in extremis, col fiatone e sudati marci riusciamo a trovare l'autobus e fiondarci su. E' un night bus, un autobus notturno a lunga percorrenza, dove i sedili sono sostituiti da tre file di letti a castello. Le cuccette sono in formato vietnamita e io che sono alto 1.85 ci sto piuttosto stretto; comunque sia, l'importante è esserci su ed essere in viaggio. Vediamo cosa ci aspetterà a Lao Cai.



8 Marzo

Sapa, perlomeno se intendiamo la città, è un orrendo trappolone per turisti, con tanto di figuranti vestiti in abiti tipici che si fanno fotografare (dietro compenso) sullo stile dei nostri centurioni romani o altri personaggi in maschera. Le montagne e le loro risaie terrazzate sarebbero belle, ma come sempre c'è foschia; decidiamo quindi di fare un percorso lontano dalla città, proseguendo su una stradina sterrata scelta a caso. Qui troviamo vari piccoli villaggi: in uno di questi, c'è un'enorme catasta di legno che le donne stanno trasportando da una parte all'altra del villaggio, immagino per qualche costruzione. Hanno grandi cesti sulla schiena che vengono riempiti di legna fino all'inverosimile, dopodichè indossando solo ciabattine si lanciano con passo veloce e deciso su un ripido sentiero in discesa. Una delle operaie ha anche un bimbo che le zampetta attorno; a un certo punto, sentendosi poco considerato, scoppia a piangere e la mamma - senza posare il suo enorme carico di legna - lo prende il braccio e prosegue il suo lavoro tenendoselo al petto.




Proseguiamo il cammino fino a sera, sempre più avvolti dalla nebbia; al ritorno il nostro alloggio è umido e freddo - questa sarà l'unica giornata del viaggio in cui mi capiterà di patire il freddo; siamo abbastanza in quota e la stanza non ha nessun riscaldamento.


9 Marzo

Ormai deciso ad evitare i posti turistici come la peste, passo a un nuovo modo per programmare il viaggio: una benda sugli occhi e dove cade il dito sulla mappa si va. Così, dopo un trasferimento di quattro ore, ci ritroviamo a Yen Bai, una piccola città totalmente fuori dalle rotte turistiche, anche perché del tutto priva di attrazioni: è veramente genuina e non incrociamo nessun altro occidentale. Anche qui dormiremo in una casa che affitta dei posti letto: uno stanzone con quattro materassi durissimi sbattuti sul pavimento. Il bagno è un piccolo capolavoro: il tubo di scarico del lavandino è mozzato e tutta l'acqua si riversa per terra, per poi defluire da un buco nel pavimento. Per fortuna non hanno pensato ad usare la stessa tattica col cesso.

Iniziamo a girare a caso tra le vie del paese, dividendoci in due gruppi: Alex e Dani finiranno per fermarsi a giocare a pallone con dei ragazzi locali, mentre io e il Dom seguiamo i binari della ferrovia (che qui sono del tutto aperti, si possono attraversare ovunque, facendo solo attenzione a non farsi mettere sotto). Arriviamo in un cantiere ferroviario dove vengono riparati i vecchi treni: proviamo ad entrare e ancora una volta veniamo accolti con enorme ospitalità... provate a fare una cosa del genere in Italia; vi urlerebbero contro e dopo due minuti chiamerebbero la sicurezza per buttarvi fuori. Qui invece ci sorridono e ci lasciano girare liberamente, e avvicinarci finché vogliamo, al punto che per fotografare un saldatore standogli a fianco mi becco un po' di scintille sulla pelle. Mi affascina tantissimo l'esplosione di scintille nel buio; è ipnotizzante, surreale, ancora di più in un posto come questo dove si mischia ai colori e odori esotici.




Alla fine ci invitano a bere con loro in una piccola saletta dove si riposano; sorseggiamo il the amarissimo (che a quanto pare è una specialità del Vietnam) e poi sono loro a chiederci foto assieme, e con qualcuno ci scambiamo anche i rispettivi contatti.

Dopo aver salutato i nostri amici, camminiamo ancora a lungo seguendo i binari; tra una cosa e l'altra la sera facciamo tardi, e quando usciamo per cena ormai i pochi "ristoranti" sono chiusi: ne troviamo solo uno, una minuscola stanza dove si serve un'unica portata, una sorta di zuppa con carne (meglio non chiedersi di cosa), noodles e una quantità disumana di coriandolo. Io e Alex optiamo per il digiuno, mentre gli altri pards tentano l'assaggio, senza esiti particolarmente felici.




Il buio della notte porta un po' di frescura, e io come sempre mi perdo a lavorare fino alle tre di notte... in questo viaggio sto portando al limite la mia resistenza: mi alzo all'alba, passo la giornata in giro a fotografare e la notte a lavorare - e anche così, mi servirebbero giornate di 40 ore per riuscire a fare tutto. Nonostante ciò, non sento troppo la fatica: questo posto, la sua gente e le esperienze del viaggio mi trasmettono un'energia infinita.


10 marzo

Decidiamo ancora una volta di tentare la fortuna, dirigendoci verso la capitale ma fermandoci in una città a caso; questa volta il dito cade su Viet Tri. Come arrivarci? proviamo a chiedere a un taxi ma il prezzo che ci propone è troppo alto; noi vogliamo spendere al massimo 800K dong. Dopo un po', un tizio che ci aveva sentito parlare col taxista ci si avvicina, proponendo un trasferimento con bus privato. Un bus intero? Immagino che parli di un minibus, ma sarà caro; noi insistiamo che vogliamo pagare 800K, e il tipo accetta.

Dopo un po' arriva il bus: enorme... è mai possibile che un intero bus tutto per noi costi meno di un taxi? Le cose si fanno sospette quando il bus si ferma e fa salire un tale. Vabè, sarà un amico a cui dà un passaggio. Poi sale altra gente, e poi altra ancora. Alla fine ci rendiamo conto che è una sorta di bus di linea, e il tipo è stato ben felice di accettare la nostra proposta di 800K perchè il prezzo sarebbe attorno ai 350K: sostanzialmente abbiamo insistito per pagare il doppio del dovuto ;-)

Non solo: dato che non è un bus privato, non ci porterà fino all'albergo, ma si ferma in vari punti lungo la strada, e il più vicino a Viet Tri dista 7km dalla città. Ci scarica direttamente in autostrada, assieme a qualche altro passeggero: scavalchiamo il guardrail e ci troviamo in un "autogrill" che consiste in quattro sgabelli, un'amaca e un baracchino che vende bibite, il tutto su un fondo di terra battuta. Sul cemento del cavalcavia sono stati scritti a mano, stile murales, i numeri di telefono dei tassisti: ci rassegniamo a prenderne uno e arriviamo finalmente a destinazione. Come ogni città, Viet Tri ha il suo caotico, variegato, disordinato mercato; io, unico occidentale nella zona, vengo visto con grande curiosità, probabilmente allo stesso modo con cui io osservo loro. Alle bancarelle ci sono in prevalenza donne; tante di loro, per riempire i momenti vuoti e muoversi un po', mettono musica e iniziano a ballare di fronte al loro banco, una scena allegra e inaspettata.


11 Marzo

È il giorno del rientro ad Hanoi. Scrivo ad Ann, ma il suo albergo è al completo, così ripiego su una struttura vicina, sempre a un costo attorno gli 8 euro/notte a persona. I miei compagni di viaggio vogliono riposare un po', così parto da solo per una lunghissima camminata per allontanarmi dal centro. Quest'ultimo è fortemente turistico, un susseguirsi di negozi, bar e palazzi relativamente moderni... non è la vera Hanoi: quella la dovete cercare in periferia, e così ho fatto.

Uscendo dal centro, attraverso il quartiere dei tessuti: qui si trova un enorme mercato che vende tessuti di tutti i tipi e colori, oltre a un'infinità di negozietti di abbigliamento. Il mercato è un labirinto di minuscoli loculi di circa 2 metri x 2 metri, stipati all'inverosimile di tessuti appoggiati uno sopra l'altro, con la proprietaria "incastrata" in mezzo, talvolta seduta sui tessuti stessi. Dedico un'ora ad esplorare questa zona, entrando anche in una sartoria dove fotografo le ragazze al lavoro. Come al solito, la mia tattica quando trovo un posto interessante è semplicemente entrar dentro, sorridere e fotografare; se non mi cacciano ne possono uscire foto interessanti, e ogni tanto anche qualche amicizia in più.




Proseguo sempre più lontano dal centro città: i quartieri periferici sono un dedalo di strettissime viuzze; edifici di 5-6 piani e oltre sono costruiti a meno di un metro l'uno dall'altro, creando un impressionante labirinto dove anche in pieno giorno arriva ben poca luce. Mi fa pensare a una versione meno estrema di Kowloon, la leggendaria walled city che fu costruita nei pressi di Hong Kong. A Kowloon, gli edifici erano veri e propri grattacieli, costruito uno a un metro dall'altro, e nelle strade c'era una notte perenne, con i lampioni accesi 24 ore di 24; era una mostruosità di cemento dove i grattacieli si erano fusi creando un unico, enorme blocco un cui per decenni vissero oltre 50000 persone, finchè nel 1990 questa visione distopica fu demolita, e gli abitanti ricollocati nella vicina Hong Kong.

Io avevo solo nove anni quando Kowloon crollò: potessi tornare indietro nel tempo, è un posto che assolutamente vorrei visitare.

La periferia di Hanoi non è così estrema, ma anche qui la città ha un fascino caotico, fatiscente. A un paio di metri sopra le strade sono appesi disordinatamente centinaia di cavi elettrici: qui i cavi non vengono fatti passare sottoterra e neppure nelle pareti; al contrario, sono sospesi sopra la strada e da lì raggiungono le abitazioni attraverso le finestre e i balconi, una cosa inimmaginabile nel nostro paese.




Le strette vie sono sporche e strapiene di bancarelle e rifiuti gettati per terra; qui non esistono cassonetti, e i rifiuti si buttano in strada dove capita. Se non altro, a differenza di altri posti dove si butta tutto in strada (come l'India), perlomeno il Vietnam ha un efficiente sistema di spazzini per far sì che la sporcizia non si accumuli.

Questa immagine sporca e decadente è controbilanciata dalla colorata allegria delle case: molte abitazioni sono essenzialmente delle stanze con la facciata rivolta verso la strada totalmente aperta, così che ad ogni passo vedo uno scorcio della vita di una famiglia vietnamita. Pur nella loro povertà, le case hanno una dignitosa bellezza, e sono decorate con una miriade di oggettini, portafortuna e tempietti. Siamo in una zona povera, ma non disperata: la gente si arrangia con quello che può, e tutto sommato sembrano avere trovato un loro equilibrio. Curiosamente, in tutta Hanoi non ho visto un solo mendicante; ho l'impressione che qui chiunque, anche il più povero, riesca a trovare qualche piccola occupazione, un suo spazio e una fonte di sostentamento.




La scena che più ricorderò della giornata sono due bambine di 4-5 anni che mi sono corse incontro con un entusiasmo incontenibile e mi hanno abbracciato, o meglio, si sono strette alle mie gambe, così avvinghiate che non riuscivo neppure a camminare; le mie due piccole fan sono state un po' così, sorridendo felici come se avessero acchiappato il buon signore appena sceso dal cielo; alla fine ho barattato la libertà con un paio di foto e carezze. Il loro affetto, così gratuito, immeritato e caloroso mi ha davvero commosso, è stato un dono.


12 marzo

Questa sera prenderemo il volo che ci riporterà in Italia: sono determinato a vivere fino all'ultimo istante l'avventura in Vietnam, e anche stamattina farò un'esplorazione in solitaria. Dom e Dani si rilassano al bar; Alex in teoria mi avrebbe dovuto seguire, ma alle dieci è ancora a letto e così decido di andare e lo saluto, con la promessa che da lì a breve si sarebbe alzato e avrebbe fatto il checkout.

Oggi mi dirigo verso i quartieri dietro la stazione. Anche qui è un brulicare di gente, un intreccio di vicoli, un susseguirsi di bancarelle: sembra quasi che ogni abitante di Hanoi abbia qualcosa da vendere. L'igiene è scarsa; spesso il cibo è disposto direttamente sulla strada; animali di tutti i tipi, cucinati e non, vengono lasciati al caldo sui banconi o nelle ceste poggiate per terra, e cose indefinibili friggono in litri d'olio. Eppure, devo dire che non provo nessun disgusto, e anzi tutto ciò mi dà l'impressione di una straordinaria forza vitale, un fluire di energia e vita che se ne frega di tante delle nostre paturnie da occidentali.




Tra i tanti incontri, uno che mi è rimasto nel cuore è l'allegro venditore di uova: aveva una celletta così stretta che malapena riusciva a starci seduto sul suo minuscolo sgabello; in fondo aveva costruito un tempietto (questi piccoli altari sono molto frequenti sia nelle case che nei negozi e alberghi), mentre di lato c'erano le uova in vendita, e un po' di altra merce disposta disordinatamente in sacchetti e secchi. Gli ho scattato qualche foto e quando ha incrociato il mio sguardo, mi ha sorriso con un bonario calore, un sorriso che trasmetteva un calore paterno, come un abbraccio. Sono felice che quel ricordo viva ancora nelle foto che ho scattato.




L'esplorazione è casuale; inutile cercare di seguire un percorso o la mappa, tanti vicoli non appaiono neppure sulle mappe. Giro per diverse ore, finchè arriva il momento di rivedersi con i ragazzi, così mi dirigo verso una strada principale e torno verso il punto d'incontro.

Ma nel frattempo, cosa hanno fatto i nostri eroi? Lo scopro, indirettamente, ancora prima di incontrarli: mi arriva un messaggio dalla reception dell'albergo, per lamentare che sono quasi le 13 e non abbiamo ancora lasciato la stanza. Ma come? Io sono in giro da ore, Dom e Dani sono fuori anche loro, e Alex... Aaaaalex! Invece di alzarsi come promesso, capisco che il ragazzo sta ancora dormendo adesso. Mi scuso con l'albergo e gli rispondo che "you can enter in the room and kick his ass on my behalf": più tardi, Alex mi confesserà che effettivamente stava ancora dormendo all'ora di pranzo, finché si è trovato un vietnamita in stanza che l'ha svegliato, tra lo spavento di entrambi.

Mangiamo al volo un riso con salsa esageratamente piccante e poi prendiamo il bus 86 per l'aeroporto.

Il viaggio si dimostra avventuroso fino all'ultimo: arriviamo in aeroporto e lo troviamo stranamente diverso da come ce lo ricordavamo, sono spariti tutti i money change, cosa che mi preoccupa perchè ho parecchi dong rimasti da cambiare nuovamente in euro. Scopriamo che siamo scesi all'aeroporto sbagliato: siamo al terminal dei voli domestici, mentre quello dei voli internazionali dista un paio di chilometri. Per fortuna abbiamo ampio anticipo e così, dopo un'ultima corsa, arriviamo al gate. Si riparte: ma questo è solo un arrivederci.



Conclusione

Camminando per Hanoi, ho ripensato al primo giorno in cui sono arrivato qui... confuso in mezzo al traffico pazzesco, rintronato dai clacson, in difficoltà anche solo ad attraversare la strada perchè qui nessuno mai si fermerà per farvi passare. Appena sbarcato, non avevo avuto una buona impressione.

A fine viaggio, ho cambiato radicalmente opinione, o meglio ho compreso il senso di tutto ciò. Il frastuono dei clacson, ad esempio, non va frainteso come un "rimprovero" verso qualcuno: mentre da noi il clacson si usa in caso di emergenza o di giramento di scatole, qui in Vietnam è solo un modo per segnalare la propria presenza. Se qualcuno vi suona, non ce l'ha con voi: vi sta solo dicendo "occhio, arrivo io da dietro" o "per favore fammi passare". Il clacson si usa con la stessa facilità e frequenza con cui noi usiamo, ad esempio, le frecce.



Alcuni dei posti dove abbiamo dormito: uno splendido appartamento al ventesimo piano di un grattacielo; uno spartano alloggio costituito da materassi buttati per terra, con tende a separare le "stanze"; un freddo e umido homestay a Sapa; una piccola stanza a Yen Bai.

Anche il non fermarsi mai per i pedoni non va scambiato per cafoneria: semplicemente, il flusso di traffico e gente è tale che se si fermassero per far passare la città si immobilizzerebbe, andrebbe in tilt. Se siete a piedi, funziona così: attraversate la strada e basta, quando vi pare, anche se stanno arrivando motorini e macchine. All'inizio mette un po' di apprensione perchè dà l'idea che vi vengano addosso, ma all'ultimo vi schiveranno, vi sfioreranno, ma non verrete travolti; i vietnamiti sono veri artisti nella guida cittadina. Non bisogna correre, cosa che metterebbe in difficoltà chi vi deve evitare, ma attraversare di passo tranquillo e costante, mentre bus, auto e moto passano a pochi centimetri da voi. Sembra incredibile, ma funziona: in due settimane non ho visto un singolo incidente (anche se bisogna dire che le velocità in gioco sono minime; nel traffico cittadino raramente si superano i 30km/h, e la media è tra i 10 e i 15km/h; fuori dalle città in genere si va tra i 40 e i 70km/h, il che spiega i tempi biblici anche per fare piccolo percorrenze). Nel complesso, il traffico vietnamita è caotico e sregolato, ma "funziona", come tante altre cose in questo paese.




Dal punto di vista logistico, un viaggio indipendente come il mio è certamente fattibile, a patto di sapersi destreggiare tra bus, treni, minibus, taxi e alloggi; serve spirito di iniziativa e intraprendenza, però avrete un risparmio enorme (a parte gli 800 euro di volo, io ho speso meno di 400 euro per l'intero viaggio). Ovviamente, al di là del risparmio, la cosa più bella di viaggiare così è che si vive un'esperienza vera e libera, invece di seguire i pacchetti preconfezionati per turisti.

La criminalità è minima - io sono sempre andato in giro con la fotocamera a tracolla, in bella vista, anche nei bassifondi e non mi sono mai trovato in situazioni di rischio. L'inglese è poco parlato, anche se la diffusione della lingua sta crescendo rapidamente tra i giovanissimi; ho trovato diversi bambini attorno ai dieci anni che parlavano un po' di inglese, ma tra gli adulti è raro, al di fuori delle strutture turistiche. In ogni caso, la maggior parte della gente è amichevole e pronta ad aiutare, e in qualche modo ci si capisce, almeno per le cose di base.

Che dire? Il Vietnam mi è rimasto nel cuore, forse perchè ho voluto viverlo con la massima intensità, immergendomi totalmente nella sua vita, lasciandomi coinvolgere dal suo vortice di suoni e colori, e così ne ho potuto abbracciare la sua anima viva e calorosa. Tornerò, senza dubbio, per esplorarne ancora le mille strade e i tanti posti che ancora voglio vedere.



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avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 4:36

Mamma mia!
Uno straordinario senso dell'avventura, curiosità, intelligenza, volontà e determinazione! Ma complimenti!!
Anche se forse non riesco bene ad immaginare, dev'essere stata alla fine una notevole esperienza personale immergersi in una cultura strutturalmente così diversa dalla nostra.
Veramente suggestiva e particolare quest'ultima avventura, caro Emanuele.
Ancora tanti complimenti!! Ciao

avatarsupporter
inviato il 05 Marzo 2023 ore 4:50

Boia!... stai attento...mah..forse tra un po',qualcuno,uscira' da dietro le quinte ,e dira': siete su scherzi a parte!!!MrGreen
Avventura straordinaria...anche se per assaporare meglio il tutto,dovevi lasciare a casa l'apparecchiatera fotograficaMrGreen

avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 6:12

Memorabile avventura, la fotografia diventa un di più. Grande

avatarsupporter
inviato il 05 Marzo 2023 ore 8:12

Splendido diario!

avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 8:36

Devo ammettere che oltre ad avere manico fotografico e a saperci fare con la PP (mi piacciono molto come hai isolato ed evidenziato i vari personaggi immortalati) sei bravo pure a raccontare/narrare la vostra avventurosa "passeggiata" nel Vietnam. Personalmente mi stuzzica Hanoi, qualche foto che ne descrivano la vitalità, il caos, gli "odori" (e forse pure i sapori), i motorini, la sregolatezza, il traffico, lo smog....una giungla di cemento!

avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 8:39

Bellissimo diario di viaggio, seguo!

avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 8:41

Divertentissimo!Sorriso...Affascinante, interessante, coinvolgente ma soprattutto...divertentissimo!Sorriso
Buon proseguimento!

avatarjunior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 9:06

Bellissimo racconto di viaggio !

avatarsupporter
inviato il 05 Marzo 2023 ore 9:08

L'ho letto con piacere, scrivi anche bene, linguaggio semplice ed efficace. Le foto sono molto belle. Attendo la seconda parte, chissà quante altre avventure. Ciao.

avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 9:13

Il traffico in centro città è un incredibile intreccio di mezzi a due ruote che ignorano ogni regola del codice stradale: passare col rosso, andare contromano, fare inversione nei posti più assurdi è la normalità

insomma Napoli moltiplicata x 100
posta qualche foto di tutto questo caos.
Dai che è il tuo momento, divertiti!
... vogliamo il diario giornaliero per viaggiare insieme a te

avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 9:22

Bellissimo questo diario, non penso avrei le forze per affrontare un'avventura simile!

avatarsupporter
inviato il 05 Marzo 2023 ore 9:28

Racconto davvero interessante!
Nel complesso una bella esperienza
Massimo

avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 9:44

Il reportage mi trasporta mentalmente in quella realtà; le immagini contribuiscono ad arricchire il tutto. A presto per la seconda parte..Sorriso

avatarjunior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 9:53


Ovunque c'è in mezzo il cielo ... ;-)

belle immagini e bel racconto

avatarsenior
inviato il 05 Marzo 2023 ore 10:01

Che postaccio. E che brutte foto.





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