Cile e Isola di Pasqua
Cile e Isola di Pasqua, testo e foto by
Piergiovanni Pierantozzi. Pubblicato il 30 Luglio 2015; 40 risposte, 8075 visite.
I ricordi sono le monete nel salvadanaio di terracotta: rompendolo appaiono scintillanti con i segni del tempo sulle superfici lucide. Associo quest'immagine alle fotografie di un viaggio messe nel computer, lucenti anche loro nel monitor e "segnate" dal tempo trascorso. Devi tirarle fuori se vuoi "spenderle" e condividerle.
Undici voli! Accidenti sono tanti, è questo il programma di viaggio di due settimane e mezzo nel lontano sud dell'emisfero australe, dove le stagioni sono magicamente rovesciate. Il Cile è un concentrato di posti da vedere, di percorsi su un territorio tre volte l'Italia con latitudini estreme, di luoghi incontaminati.. e l'ansia di farcela. Non ci sono problemi: partiamo col nostro abituale gruppo di una ventina di persone dove quasi tutti ormai si conoscono da anni, con un organizzatore che si appoggia ad agenzie già ben testate...
Partiamo col pullman da Bologna, ci imbarchiamo a Venezia e passando da Madrid-Santiago arriviamo il giorno dopo all'areoporto di Calama, nel nord del Cile: in tutto ventinove ore, comprese le attese ed i trasferimenti, che non sono poche. Nell'aereo della compagnia spagnola che ci ha portato a Madrid, chi aveva fame ha dovuto pagare il buffet. Con una spesa modica ho mangiato un bel paninone, col pane un po' crudo che mi è rimasto sullo stomaco fino a Santiago, risolvendomi così le ulteriori necessità alimentari...
Arrivati a Calama nel primo pomeriggio ci troviamo immersi da subito in un mare di luce dai contrasti forti. Ho avuto la sensazione di essermi svegliato da un sogno, dove le immagini notturne di luce spettrale del viaggio viravano alla luce intensissima di quel luogo e occorreva sringere gli occhi per sostenerla. Bisognava anche litigare con la macchina fotografica per tirare fuori una gamma dinamica decente: eravamo a duemilatrecento metri e il cielo era blù carta da zucchero. Oltre ai colori naturali sovrasaturi, c'erano le forti tinte delle facciate delle case e delle insegne, spesso senza mezze misure. E' un luogo dove le persone arrivano per lavorare nella grande miniera a cielo aperto dalle dimensioni apocalittiche, la più grande del mondo. Si estrae il rame, la risorsa più importante della nazione. Ha come effetti collaterali l'inquinamento con i materiali di scarto e le polveri sparse dal vento in vasti territori circostanti. La salute delle persone ne risente pesantemente, ma si dice che non si può fare diversamente. A Calama ci sono anche gli italiani dell'Astaldi per gli scavi del minerale, vediamo in giro alcune loro macchine.
Non possiamo andare a vedere la miniera che è a pochi chilometri di distanza (http://it.wikipedia.org/wiki/Chuquicamata), famosa anche per il viaggio che ci fece Che Guevara in motocicletta negli anni cinquanta, non ne abbiamo il tempo.
La mattina dopo, con una guida locale che parla bene l'italiano, andiamo in bus privato verso Chiu Chiu, distante una trentina di chilometri da Calama per visitare una chiesa del seicento (S.Francisco), un villaggio dei lavoratori della miniera (Lasana), dove erano presenti a quell'ora solo una maestra e tre scolari nella scuola, un'antica fortezza e nel pomeriggio la cordigliera del sale. Procediamo verso le famose Valle di Marte e Valle della Luna della cordigliera, per poi vedere alla fine della giornata anche il tramonto da un punto elevato. Per arrivarci facciamo una lunga passeggiata a piedi tra rocce e sabbie, in salita, e via via il gruppo si sfilaccia e si riduce a poche persone che arrivano in cima col fiatone, mentre gli altri si appostano lungo la strada o ritornano al pulman. Grande e spettaccolare è la vastità multiforme e silente di questa zona di deserto: ne valeva veramente la pena!
Ceniamo e dormiamo (si fa per dire) a San Pedro di Atacama che si trova a trenta chilometri da Calama: ci dobbiamo alzare alle quattro, anzi un pò prima perchè vogliamo andare ai Geyser del Tatio, e se vogliamo vederli nella loro massima "espressione" bisogna arrivarci prima dell'alba. Sono là in alto ad oltre quattromiolacinquecento metri d'altezza: ci vuole un fisico bestiale e noi siamo quasi tutti ultrasessantenni, ed oltre. Cerchiamo di tenere botta, cioè ci proviamo e sperimentiamo le nostre possibilità, incoraggiati dalla giovane guida che ci aveva detto che l'altitudine è sopportabilissima. Per chi aveva la pressione alta sarebbe bastato prendere qualche pillola in più, ma si aggiungeva anche il problema della bassa temperature, che a quelle quote e a quell'ora del mattino era sotto i -12°C!
Vestiti come esploratori polari arriviamo al Tatio che è ancora quasi buio, scendiamo dal pulman nella penombra e vediamo la piana invasa dai vapori dei geyser, e anche da quelli del nostro fiato, non meno densi nell'aria brunastra. E' un inferno dantesco, dove le persone, tante giunte fin qui a quell'ora, si aggirarano tra i vapori deile acque che ribollono e con quel poco chiarore bisogna stare attenti a dove metti i piedi. Così in alto siamo circondati da montagne ancora più alte, gli odori dei vapori sanno di zolfo pungente. Via via con l'alzar sole gli effetti ottici si amplificano, i controluce nei vapori fumiganti diventano incredibili. Uno scenario unico, difficile da descrivere.
L'altitudine, il sonno, la stanchezza del viaggio e il freddo si fanno sentire, ma con l'arrivo del sole le temperature si rialzano e ci sentiamo molto meglio. Le nebbie e i vapori via via si rendono meno appariscenti, ma tutt'intorno lo scenario è magnificente: montagne brune con distese punteggiate da ciuffi d'erba e cespugli giallo arancio, che la luce radente li fa risaltare coloratissimi.
Le ore passano veloci e non c'è più tempo per altre foto, dobbiamo andare verso il Salar di Atacama. Lungo il percorso vediamo spesso gli animali. Tra i bassi cespugli d'erba c'è la vigogna, tipica in quelle alte zone (facendo una bella confusione la nominiamo indifferentemente alpaca, guanaco o lama: tutti camelidi), delicata e signorile, che poi vedremo disegnata elegantemente nei graffiti rupestri di Yerba Buenas. Facendo un digressione, Yerba Buenas è una località del deserto qui vicino, frequentata dagli antenati che hanno lasciato sulle rocce i graffiti degli animali che vedevano. I graffiti sono molto belli e ben conservati, sicuramente da vedere. C'è da chiedersi come vivessero le persone in quei tempi e a quelle altitudini, dove la vegetazione è estremamente ridotta, il clima è problematico e l'acqua te la devi andare a cercare chissà dove.
Tornando al nostro percorso verso il Salar, incontriamo delle piccole lagune con uccelli acquatici. Oltre alle moltitudini di fenicotteri rosa, alcuni uccelli neri dal becco bianco e rosso hanno grandi dita dei piedi che gli consentono di camminare sulle foglie galleggianti. Sullo sfondo del paesaggio risaltano le montagne bruno-antracite, con altezze che superano anche i seimila e tonalitatà che virano spesso al color zolfo e manganese. La catena delle Ande e cosparsa di vulcani attivi e il Lascar mostra nella sommità le sue fumarole.
Passando da S. Pedro, si raggiunge in un paio d'ore il Salar che si distende per un centinaio di chilometri di fronte a noi, in una piana di creta e sale che si perda a vista d'occhio fino alle montagne, cosparso di lagune salate, dove gli aironi filtrano col becco il plancton e poi li vedi spesso volar via la in alto nella luce del cielo cobalto.
Seppur non molto lontani dalla terribile miniera di Chuquicamata l'ambiente è incontaminato, come lo è nella maggior parte del Cile che dispone di un territorio molto grande e ben conservato, con una popolazione di diciassette milioni d'abitanti. Qui al nord, alle notevoli altezze del deserto sulle Ande, l'aria è purissima ed asciutta, la luce è tanta. Non lontano da qui hanno costruito il famoso osservatorio astronomico internazionale Paranal, appunto per la qualità trasparente dell'aria (vedi qui su Juza l'articolo "Vivere di nuovo in Patagonia" di Gianluca Lombardi, che ha lavorato nell'osservatorio).
L'indomani pariamo per u'altra escursione piuttosto impegnativa, nella vicina Bolivia, verso le lagune dell'altipiano Boliviano, che si trovano ad otre quattromila metri d'altezza, nella riserva nazionale faunistica Eduardo Avaroa.
Costeggiamo nel percorso l'austero vulcano Licancabur, che con la sua mole nero e bruna di quasi seimila metri, collocato su una base dorata ci indica la strada.
Superata la dogana arriviamo al luogo di trasporto con i gipponi, guidati da giovani boliviani, coordinati da una nostra guida locale, di cui potevamo farne anche a meno, vista la sua totale latitanza nel resto del percorso. In effetti non ci sarebbe stato molto da spiegare, tutto era nella visione di quell'ambiente dai colori puliti e netti e di forme immediate: acqua, cielo e montagna. Non cessavamo di stupirci, e forse per prendere veramente contatto con il luogo avremmo dovuto tuffarci nella laguna, inseguire gli aironi, scalare le montagne..ma non è come stare sulle dolomiti con i sentieri tracciati. La regna il deserto con le sue leggi estreme, una bellezza extraterrestre intoccabile. Per questo motivo scattiamo una marea di foto. Il suolo in vaste zone è bianco di borace, le acque della laguna cambiano continuamente colore con il passare delle ore, la cornice dei monti è nelle tonalità dei colori della ruggine e dello zolfo, il cielo è un nitidissimo blu-cobalto.
Il giorno che segue prendiamo un volo da Calama che con sosta a Santiago ci porta a Puerto Mott. Ci siamo lasciati alle spalle nel nord la guida giovane, molto preparata, con ammirevoli qualità ambientaliste ed incontriamo quella nuova: una persona cordiale e comunicativa, ma non sempre all'altezza delle conoscenze necessarie. Siamo arrivati nella vasta zona della regione dei Los Lagos, più o meno al centro-sud del Cile, molto vicino alla Patagonia. Puerto Mott è appunto una città portuale, sovrastata dall'innevato e ben visibile vulcano Osorno e collocata in un golfo protetto dalla grande isola Cioè, che si trova di fronte. Il mare ha l'aspetto di un grande un lago che costeggia la cittadina di cui cogliamo qualche aspetto "intimo", ma anche buffo.
Il giorno successivo da Puerto Varas, che si affaccia sul grande lago LIanquihue, ci imbarchiamo per navigare sul lago. Oltre alla folta vegetazione naturale tutt'intorno ci sono in vista le alte montagne ed i vulcani innevati, tra cui svetta severo l'Osorno ben incappucciato di bianco.
In queste due prime grandi tappe del viaggio siamo passati dalle grandi altitudini del deserto di Atacama, col clima secchissimo (il più arido del mondo), ai territori umidi e ben irrorati della zona dei laghi. Il colori dominanti cambiano di conseguenza. Il verde della vegetazione lussureggiante fa da padrone e il grigio è frequente per i cieli nuvolosi. Le tinte sono meno forti e contrastate, ma la dimensione degli ambientii naturali rimane vastissima e coinvolgente. La guida non riesce a darci gli elementi che potrebbero inquadrare le caratteristiche salienti di quel territorio, ci racconta della pesca che vengono a fare i turisti facoltosi, della lingua che spesso in quel luogo declina in tedesco, per l'arrivo nella prima metà dell'ottocento di diversi coloni germanici, di alcuni suoi fatti personali, in particolare delle sue venute in Italia per il suo lavoro di grafico ed il suo interesse per la pittura.
L'indomani mattina attraversiamo in battello il braccio di mare che ci porta nella grande e verdeggiante isola di Chiloè. Proseguiamo verso il centro dell'isola per giungere a Castro, il capoluogo. I colori anche qui non mancano, sopratutto nei toni pastello con cuoi dipingono le case, molto spesso costruite con materiali visibilmente deperibili: legno leggero e latta. Le vedute più fotografate sono quelle della case coloratissime dei pescatori, disposte su palafitte lungo la riva del mare, che arriva alle case solo con l'alta marea. E' di legno anche la chiesa San Giacomo, cattedrale di Castro, costruita all'inizio del secolo scorso da un architetto italiano. Ridipinta recentemente di giallo, svetta al centro della città. E' da vedere ed da entrarci: tra le raffinate finiture lignee è notevole la statua dell'angelo aggraziato e di fattura europea che schiaccia il diavolo di forme e fattura locali etniche, è bellissimo ma spero che non abbia un qualche significato razzista. Ritornando verso Ancud, dove si trova il traghetto, andiamo alla spiaggia di Punihuil per raggiungere con delle piccole imbarcazioni gli isolotti in cui si trovano i rifugi dei pinguini di Magellanes e di Humboldt. Il luogo è molto suggestivo e la breve navigazione è divertente ma rimane un po' deludente l'osservazione dei pinguini, e a mio avviso era forse più interessante vedere i gabbiani coi piccoli e le altre specie di uccelli, le forme ed i colori del paesaggio. In alto vola il cormorano che vedi ripetutamente aggirarsi nel cielo.
Il giorno seguente andiamo a Frutillar, sulle rive del lago LIanquihue, centro agro-industriale con il villaggio caratterizzato da giardini e architetture in stile tedesco, per andare a visitare il Museo Coloniale Tedesco. Ma è chiuso, sembra per sciopero del personale (tedesco?), e la guida non si era informata prima. Comunque è disponibile a rimediare: andiamo a visitare un'antica fattoria "tedesca" e improvvisando si riesce ad organizzare, fuori programma, una visita in un piacevole ed interessante teatro-conservatorio musicale costruito sulle rive del lago, dove ascoltiamo l'esibizione di alcuni pezzi di musica classica suonati appositamente per noi. La giornata è grigio plumbeo, cielo e lago si specchiano. Vediamo grandi alberi con gli ibis dal becco ricurvo che vanno e vengono, io mi allontano dal gruppo per fotografare gli ibis e rimango attratto dalle tonalità dei grigi del lago e del cielo, che però difficilmente riuscirò a cogliere in una fotografia: ecco perché esiste anche la pittura! Arriva una compagnia di ragazzi, incuriosita dalla mia presenza: non ci sono altri turisti in giro in quel posto. Provando a parlare, io in italiano e loro nella loro lingua spagnola, passando poi all'inglese un po' affaticato proviamo a comunicare. Mi chiedono da dove provengo e mi sembra di aver capito che loro hanno fatto il bagno nel lago (brr..) perché oggi non c'è scuola e mi chiedono di scattare una foto di gruppo. Sono ragazzi che hanno l'aria, inteso nel miglior senso del termine, di essere un po' ingenui e confermano la naturale spontaneità che incontri spesso con i cileni e ti fanno sentire a tuo agio. Sullo sfondo della foto dei ragazzi c'è il teatro della musica sulle rive del lago.
Nel pomeriggio ci trasferiamo a Puerto Montt per volare verso la Patagonia, all'estremo sud del paese. Arriviamo all'aeroporto di Punta Arenas sullo stretto di Magelleno e ci trasferiamo col pullman a Puerto Natales dove dormiamo.
In questo viaggio non abbiamo mai il tempo per ambientarci, il Cile è un lungo (4300 Km) corridoio sulle Ande e per spostarsi da un luogo all'altro occorre fare molta strada, con cambiamento di latitudini e di clima notevoli. A Puerto Natales troviamo un mondo ancora diverso. C'è un'aria particolarmente trasparente e piuttosto fresca, ma piacevole. Le luci ed i colori sono scintillanti, la sensazione è quella d'essere in alta montagna anche se sei sulle rive del mare. Ci buttiamo subito (letteralmente) nel Parco Nazionale Torres del Paine, per un giro in corriera sui laghi e i fiumi e poi un lungo trekking. La più in alto tira un forte vento gelido e durante la camminata vediamo i guanaco sparsi tutto in giro, in piccole famigliole che ci osservano e spesso si avvicinano senza paura brucando l'erba abbondante. Non siamo più i lori nemici mortali nella catena alimentare come i puma (un tempo lo eravamo, ma ora gli animali del parco sono protetti) e ci sorprende la loro quasi innaturale confidenza. Sullo sfondo appaiono le torri, maestose e svettanti, hanno un'aria dolomitica e ricordano Lavaredo. Sono affiancate però in quella prospettiva da altre montagne alte, massicce e incappucciate. Le vediamo molto lontane, e ancora una volta penso che avremmo dovuto moltiplicare i giorni di permanenza: mi sarebbe piaciuto avvicinarmi molto di più. Vediamo da abbastanza vicino i Corni del Paine, con il cappuccio granitico scuro, montagne molto belle ed insolite. E' un parco grandissimo, duecentosettantamila ettari con fiumi, laghi, montagne e ghiacciai. Pranziamo in una fattoria che si affaccia alla vista dei Corni e nel pomeriggio facciamo un'altra camminata attraverso un bosco e arriviamo sulle sponde del Lago de Grey con un vento teso, dove si affacciano montagne innevate e coperte da nuvole, su un acqua gelida scintillante e scura, da quadro di Arnold Bocklin, l'isola dei morti. Grande è il contrasto di luci e zone d'ombra, di trasparenze, è come muoversi su una grande lastra d'argento. Ci spostiamo sul lago Peohe per altre vedute "lampo" e ritorniamo a sera verso sud a Puerto Natales.
Il giorno che segue ci aspetta un lungo giro in barca sul fiordo Ultima Speranza, nome che ha il sapore del sinonimo o contrario di Buona Speranza, ma che sta da tutt'altra parte. E' un lungo braccio di mare che si insinua tra le montagne verso nord. Dopo ore di navigazione si raggiungono i grandi ghiacciai Balmaceda e Serrano. Al Balmaceda ci arriviamo a piedi dopo un passeggiata in un bosco che costeggia il mare. Belli i contrasti della natura di una Patagonia verdeggiante, con fiori coloratissimi (siamo qui in primavera inoltrata) e le acque algide grigio-verdi, ricoperte in vari punti da blocchi di ghiaccio. Lo spettacolo dei ghiacciai è imponente, nonostante non abbiano la vastità del Perito Moreno, danno la sensazione di come la natura possa essere forte con gli effetti vitali dell'elemento "acqua".
Ritorniamo a Punta Arenas per dormire e volare a Santiago l'indomani mattina. Sostiamo a Santiago per un giorno, con l'albergo vicino all'aeroporto: domani inizia l'avventura sull'Isola di Pasqua.
La mattina seguente con un grande aereo (come farà ad atterrare la?) e dopo tremilaottocento chilometri arriviamo al mitico mondo dei polinesiani. Polinesiani? Maori? Si, dalla Nuova Zelanda, alle Isole Awai e all'Isola di Pasqua si stende nell'oceano Pacifico un esteso triangolo d'oceano dove le popolazioni che vivono nelle isole hanno caratteri comuni. Gente che conosceva molto bene il mare e il modo si spostarsi a grandi distanze, giungendo in posti lontanissimi, a migliaia di chilometri, con piccole barche d'altura.
La forza del mito ci sostiene in questa fatica, arriviamo stanchi ma anche contenti perché da subito ci sembra d'esser nel posto giusto. La guida ci fa un'ottima impressione e il resort dove veniamo portati è fatto di piccole costruzioni basse, non distanti dal mare e sparse dentro giardini con cespugli e fiori ben disposti. Pensavamo di trovare il solito albergo per turisti "toccata e fuga", non tanto accogliente, dove di solito si mangia male e magari ti spennano, ma non sembrava affatto così, meno male.
Fin da subito la guida, un giovane alto molto simile ad un neozelandese, come quelli che si vedono in tv per il rugby, di bell'aspetto, con un parlato in italiano scorrevole e disinvolto, ci porta in giro per l'isola a vedere i Moai, le grandi sculture di roccia. Fa riflettere il sentir parlare la nostra lingua, la quasi alle antipodi, da una persona nata in quel luogo.
I Moai che conosciamo attraverso le immagini, ormai come uno stereotipo dell'isola, non sono tali. Hanno un'espressione ed un portamento convincente e coinvolgente. Il loro aspetto è apparentemente grezzo, ma dominano monumentalmente l'ambiente circostante incutendo rispetto. Non è ancora chiara la loro funzione e tantomeno la storia che li lega a quegli abitanti. Ci sono supposizioni che dicono siano stati i "guardiani" dell'isola e che per la loro costruzione si sia distrutta tutta la intensa vegetazione arborea di palme che c'era prima, creando così uno dei primi disastri ecologici della storia.
L'isola è di origine vulcanica con poche spiagge e coste rocciose a strapiombo. L'oceano intorno, estremamente profondo, è blu-viola, il suolo è coperto di verde dalla vegetazione, con alberi e tratti di coltivazione e pascolo, da cui sbucano in certe zone scoperte i colori d'ocra rossa e gialla della terra. I punti più alti dell'isola sono i vulcani spenti. Alcuni hanno crateri colmi d'acqua sul fondo, con piante acquatiche.
Grande forza visiva ha il vulcano Rano Kau con il fondo del cratere lucente, ricoperto d'acqua e vegetazione. Si erge su una punta dell'isola, finendo a strapiombo sul mare. Li vicino c'è un antico villaggio ed è stato costruito un piccolo museo che racconta l'epica dell'uomo uccello. E' la storia di giovani eroi che affrontano l'impresa di lanciarsi giù per la scogliera, attraversare un tratto di mare profondo, per arrivare all'isolotto distante diverse centinaia di metri, raccogliere un uovo d'uccello e senza romperlo riportarlo al punto di partenza. Chi fosse riuscito nell'impresa diventava re per un certo periodo di tempo, finchè la gara non si ripeteva ancora. Interessanti le sculture sulla roccia che vogliono rappresentare questa storia: sono un intreccio di forme che si avvolgono intorno ad un nucleo di roccia. Queste forme "etniche" le rivedi dipinte e scolpite nella chiesa cattolica dell'unico villaggio dell'isola, Hanga Roa, dove c'è l'aeroporto con una sola lunga pista per i boeing.
Fa anche molta impressione trovare scritto in spagnolo, quindi abbastanza comprensibile, in diversi cartelli sulle strade del villaggio: via di fuga in caso di tsunami. Per loro, e per noi che siamo in questo momento qui come turisti, c'è da tener conto anche di questa evenienza.
Ormai il viaggio è alla fine, questi ultimi tre giorni nell'isola sono passati velocemente, torniamo a Santiago.
Prima di ripartire per tornare a casa ci concediamo un giro a Santiago e nella vicina Valparaiso. Quasi la metà di tutta la popolazione cilena si trova in queste due città, dove Valparaiso ha circa un milione d'abitanti. Vediamo Valparaiso immersa in una strana nebbiolina che sale su per le colline dell'abitato che s'affaccia sull'oceano. Sono diffusissime le pitture murali che "decorano" le case della città. Durante la dittatura di Pinochet era proibito dipingere i muri, dopo si sono scatenati. Ne vediamo alcune veramente belle e originali. C'è né una che ricopre i muri di un intero quartiere, che riempie la veduta dalla collina sul porto. Ci deve essere un lavoro di consenso sociale e di gradimento dietro queste opere.
Visitiamo la casa di Pablo Neruda che contiene ancora i suoi oggetti domestici, le sue carte, i quadri. E' anche un museo dove si raccontano le sue imprese, anche politiche, e l'amicizia con Allende. Fuori dalla casa, nel giardinetto e la terrazza con la veduta sul mare c'è un cactus strapieno di frutti. Sarà un segno che ci ha lasciato?
Abbiamo accumulato tante esperienze in questo viaggio nel Cile, forse troppe e forse andavano maggiormente diluite e metabolizzate. Nonostante la moltitudine delle cose viste ne rimane comunque una traccia molto forte nella memoria. Le fotografie aiutano molto a ricordarle, sono indispensabili. Il pericolo è di relegare i ricordi in una cartolina, mentre essi hanno uno spessore che contiene molte cose che spesso non si possono fotografare, ma solo raccontare.
Piergiovanni Pierantozzi scrive di sè: "Ho avuto "l'imprinting" della fotografia prima con mio babbo e poi con Tranquillo Casiraghi, ottimo maestro, a Milano quando ho iniziato a lavorare. Mi convinse ad acquistare una Rolleiflex 6x6 che allora costava uno stipendio. In seguito ho aggiunto una Konica ed una Leica, con ottiche che davano grande soddisfazione e l'incentivo di elaborare poi le foto in camera oscura. Il mio interesse amatoriale ha avuto un salto in avanti con il digitale e i viaggi che faccio con mia moglie in questi ultimi anni in giro per il mondo." Risposte e commenti
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| inviato il 30 Luglio 2015 ore 14:32
Che viaggio e che ricordi. Complimenti per tutto! |
| inviato il 30 Luglio 2015 ore 14:54
Bellissimo racconto e foto |
| inviato il 30 Luglio 2015 ore 14:59
Splendido !! Complimenti. |
| inviato il 30 Luglio 2015 ore 16:20
Ci sarei stata volentieri! Un viaggio affascinante, ben raccontato e documentato! Complimenti Piergiovanni! Ciao, Chiara |
| inviato il 30 Luglio 2015 ore 23:00
Stupendo. Beato te. |
| inviato il 31 Luglio 2015 ore 8:11
Bellissimo racconto! Ammiro l'energia che trovi per fare viaggi così impegnativi. Ciao, Bruno |
| inviato il 31 Luglio 2015 ore 8:45
Raffa Davide Max Chiara Stefano Bruno vi ringrazio di aver avuto voglia di leggere il mio racconto di viaggio, che in effetti, come dice Bruno è stato piuttosto impegnativo per tutti gli spostamenti in aereo per percorrere le notevoli distanze da un luogo all'altro. Un caro saluto, Piergiovanni |
| inviato il 31 Luglio 2015 ore 8:58
Giovanni....posso e possiamo dire solamente "GRAZIE" racconto intenso, letto tutto d'un fiato e foto bellissime che ci hanno permesso di vedere i tuoi appunti di viaggio Fernando |
| inviato il 31 Luglio 2015 ore 13:02
Fernando Enrico vi ringrazio per aver dedicato tempo alla lettura del mio racconto di viaggio e di averlo così condiviso, cari saluti Piergiovanni |
| inviato il 31 Luglio 2015 ore 23:19
Complimenti Piergiovanni, ottimo reportage con ricordi nitidi. il Sud America è un paese incredibile. in Cile ho fatto da Nord a Sud in un mese e mezzo da Arequipa a Puerto Mont ed indietro. Un viaggio un po' diverso dal tuo, avendolo fatto in bus, a piedi e a passaggi nei sei mesi che son stato li', tra Cile, Peru', Bolivia ( che consiglio vivamente) Argentina, Brasile e Paraguay... condivido il tuo pensiero : "Le fotografie aiutano molto a ricordarle, sono indispensabili. Il pericolo è di relegare i ricordi in una cartolina, mentre essi hanno uno spessore che contiene molte cose che spesso non si possono fotografare, ma solo raccontare." non c'è dubbio su questo Complimenti ancora. Ciao Rocco |
| inviato il 01 Agosto 2015 ore 9:23
Grazie Italo per la lettura del mio articolo e i complimenti, ciao |
| inviato il 01 Agosto 2015 ore 9:37
Rocco: vedo che hai avuto l'opportunità di fare un lungo viaggio in Sudamerica. Nel mio in Cile, e in quello precedente in Argentina, ha avuto l'impressione di trovare luoghi sconfinati, irraggiungibili, se non con piccole puntate, nei posti più noti, un po' come una "toccata e fuga". Forse tu , camminando a piedi e trasferendoti nei luoghi lontani col bus, hai avuto maggiormente la possibilità di assorbire meglio le esperienze del viaggio e magari anche facendo conoscenza con le persone del luogo (che mi son sembrate molto amichevoli in Cile e in Argentina). Ciao, grazie della lettura del mio articolo e i complimenti, Piergiovanni |
| inviato il 01 Agosto 2015 ore 9:50
Se ti capita di ritornarci in Sud America, ti consiglio Bolivia e Peru'.. soprattutto un bel giro nell'Amazzonia Boliviana, zona Rurranabaque...impressionante.. o sul lago Titicaca, sulle isole di Amantanì e Taquile tutto da scoprire :-) Ciao Rocco |