RCE Foto

(i) Per navigare su JuzaPhoto, è consigliato disabilitare gli adblocker (perchè?)






Login LogoutIscriviti a JuzaPhoto!
JuzaPhoto utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti per ottimizzare la navigazione e per rendere possibile il funzionamento della maggior parte delle pagine; ad esempio, è necessario l'utilizzo dei cookie per registarsi e fare il login (maggiori informazioni).

Proseguendo nella navigazione confermi di aver letto e accettato i Termini di utilizzo e Privacy e preso visione delle opzioni per la gestione dei cookie.

OK, confermo


Puoi gestire in qualsiasi momento le tue preferenze cookie dalla pagina Preferenze Cookie, raggiugibile da qualsiasi pagina del sito tramite il link a fondo pagina, o direttamente tramite da qui:

Accetta CookiePersonalizzaRifiuta Cookie

Namibia in libertà


  1. Altro
  2. »
  3. Articoli
  4. » Namibia in libertà


Namibia in libertà, testo e foto by Lele55. Pubblicato il 07 Settembre 2011; 7 risposte, 7027 visite.




in mongolfiera sulle dune di Sossusvlei

Come ogni appassionato di viaggi e di fotografia, leggo sempre con interesse e con una punta di invidia i reportage di coloro che riescono a raggiungere mete difficili e lontanissime ed a rimanervi per i lunghi tempi necessari alla raccolta di materiali per esaurienti e ben documentati servizi. Chi è che non vorrebbe, ad esempio, essere al posto di Stefano Unterthiner nel lontano Arcipelago Crozet o a quello dell'abile titolare di questo sito che, stando soltanto ai "pezzi" riportati nel Magazine, ha la possibilità e la capacità di organizzare, quasi mensilmente, spedizioni verso destinazioni di grande interesse fotografico e non solo. Credo però che la stragrande maggioranza di noi fotoamatori debba, forzatamente, ragionare su basi diverse e confrontarsi, magari, con problemi di ferie o, perché no, di gestione familiare, senza entrare nello spinoso tema del budget economico.
Se siete fra coloro che devono per forza aspettare luglio/agosto per lasciare il lavoro quotidiano, se le vostre ferie sono anche quelle del resto della famiglia, se vostra moglie/vostro marito sono disponibili a farsi trascinare nei vostri viaggi nella natura, ma richiedono un minimo di confort e di sicurezza, se della vostra "spedizione" fanno parte anche i figli e se, soprattutto, cercate, comunque, un luogo lontano dalla folla e che offra grande natura, sia a livello di paesaggi che di fauna, e buone opportunità fotografiche, la Namibia è una destinazione magnifica. La nostra estate corrisponde, ovviamente, all'inverno namibiano, il che significa giornate di sole limpido e temperature gradevoli (che di notte in alcune località possono comunque richiedere una buona giacca a vento); unica controindicazione il tramonto che arriva ogni sera troppo presto. La Namibia è un grande paese e le sue molte attrazioni turistiche sono distribuite sul territorio e, talvolta, l'una distante dall'altra. Una buona rete stradale, con circa 5500 km. di strade asfaltate e quasi 40.000 di sterrato e piste, collega le città, i parchi, le riserve naturali e gli altri luoghi di rilievo.
Così se volete organizzare un tour individuale, cosa che vi consiglio caldamente, dovete mettere in conto di passare un bel po' di tempo in auto, gran parte del quale su strade sterrate. Ma non è un problema: anche le strade a sterro sono generalmente ben tenute e con una buona superficie; dovrete certo fare attenzione, ma vi assicuro che percorrere la Namibia in auto è una esperienza veramente piacevole e gratificante.

Gli ampi orizzonti, il cielo di una limpidezza ormai a noi sconosciuta, una densità di popolazione fra le più basse del mondo e il traffico quasi inesistente generano un senso di libertà che ben si apprezza girando il paese per conto proprio e, per quanto possibile, al proprio ritmo. Durante la nostra estate (la stagione secca), quasi tutte le destinazioni sono raggiungibili con un normale veicolo a due ruote motrici; solo se intendete raggiungere l'estremo nord-ovest è meglio se vi procurate un mezzo 4x4. Noi (eravamo in sei, due coppie con un figlio ciascuna) abbiamo ritirato all'aeroporto di Windhoek, dove siamo arrivati via Johannesburg, un Wolksvagen Combi, una specie di minibus a nove posti, che ci ha tranquillamente scarrozzato per gli oltre tremila chilometri percorsi. Lasciata la capitale, che non merita più di una giornata, ma che offre ottime possibilità per fare i necessari rifornimenti (i pranzi sono stati quasi sempre "al sacco"), la prima tappa è rappresentata da uno dei luoghi più conosciuti e più fotografati di tutto il paese: Sossuvlei e le sue famosissime dune.

L'obbiettivo di essere all'entrata del parco all'alba viene mancato di una buona mezzora, ma questo non ci impedisce di cogliere qualche bella immagine con il sole ancora basso che esalta i contrasti di luce, anche se quando giungiamo alla Duna 45, una delle più note, questa è già presa d'assalto da una piccola folla. Decidiamo così di proseguire e, dopo aver abbandonato la nostra vettura nel parcheggio oltre il quale il traffico è consentito solo ai veicoli a trazione integrale dei rangers, messi in spalla i nostri zainetti e munitici di una sufficiente scorta di acqua, ci avviamo verso la Dead Vlei. Il cammino avviene per lo più su soffice sabbia rossa, anche se ogni tanto si incontrano delle zone (appunto le vlei -valli-) nelle quali le scarsissime piogge annuali formano piccole raccolte d'acqua che evaporano rapidamente lasciando un duro fondo calcinato dal sole. Superato il bordo di una duna più alta delle altre, eccoci affacciati sulla famosissima Dead Vlei.



Dead Vlei: gli scheletrici tronchi di Acacia Erioloba

Ognuno di noi l'aveva già vista numerose volte in documentari e servizi fotografici, ma lo spettacolo che ci troviamo di fronte va aldilà di ogni aspettativa: la ampia valle dal colore giallo-grigio è completamente circondata da alte dune rosso mattone sulle quali spuntano radi ciuffi di erba gialla; il tutto sotto un cielo perfettamente ed interamente celeste. La valle è punteggiata da tronchi di acacia ormai fossilizzati. Gran parte di questi, ridotti a meri scheletri, resistono in piedi con i loro rami simili a braccia vanamente protese, mentre alcuni hanno ceduto alle insidie del tempo e sono ormai distesi sul terreno crostoso.

Il giorno successivo, risalendo verso nord, il cartello che ricorda che stiamo attraversando il Tropico del Capricorno ci obbliga all'ennesima sosta fotografica, mentre una sosta di tipo diverso, gastronomica, merita, poco più di un'ora dopo, Sesriem, una località nel bel mezzo del nulla nella quale, oltre a trovare benzina, è possibile, come sanno tutti i viaggiatori più informati, mangiare la migliore apple pie di tutta la Namibia e, sostiene qualcuno, di tutta l'Africa. Noi non ci lasciamo sfuggire questa opportunità che, fra l'altro, si unisce a quella di cogliere alcune immagini non banali. Prima di raggiungere la meta della giornata, la cittadina di Swakopmund, posta sulla costa dell'Atlantico, il nostro programma di viaggio prevede una deviazione verso il Welvitschia Drive. Un tratto di strada caratterizzato, come chiaramente indica il nome, dalla presenza della welvitschia mirabilis, una pianta davvero particolare che si trova soltanto in queste aride pianure namibiane.



un esemplare femminile di Welvitschia Mirabilis

Vedendo le sue due uniche lunghe e sfilacciate foglie prostrate sul terreno, rimane difficile credere che questa pianta appartenga alla famiglia delle conifere, anche se gli organi riproduttivi degli esemplari femminili effettivamente assomigliano a piccole pigne. Una caratteristica di queste piante è anche la loro longevità: l'esemplare che si trova al centro del parco e che noi non vedremo (pena l'essere colti dall'oscurità lungo la strada, cosa assai sconsigliabile) pare avere oltre millecinquecento anni. Nell'ampia spianata sassosa e semidesertica che si apre davanti a noi vivono, traendo energie e sostanze non so da dove, diversi esemplari di queste piante secolari e noi le immortaliamo nelle nostre immagini.
La mattina successiva si presenta, con la prevista, ma comunque sorprendente, densa nebbia generata dalla fredda corrente marina del Benguela, ma noi confidiamo che il sole la sconfigga velocemente perché ci attende un giro in barca nella ampia baia di Walvis Bay alla ricerca di otarie, delfini, pellicani, cormorani e, magari, di qualche balena.
Ben presto il sole ci permette di toglierci giacche a vento e cappelli di lana e siamo fortunati anche per quanto riguarda gli incontri: nessun problema per pellicani e cormorani, i delfini guizzano sotto la prua dell'imbarcazione, mentre le otarie, complici i pesci loro gettati dalla nostra guida, ci seguono con insistenza fino, addirittura, a salire a bordo ed a mettersi in posa per la più impensabile delle foto ricordo.
Terminata l'escursione nella baia, la barca ci deposita sulla estrema lingua di sabbia che separa la baia dall'oceano. Qui veniamo presi in consegna da un ranger che ci fa salire su una potente Land Rover con la quale percorreremo i quasi quaranta chilometri che ci separano da Sandwich Harbour. Viaggiamo veloci verso sud direttamente sulla battigia, sfruttando la bassa marea: è emozionante e divertente.



viaggiando fra dune e oceano

Via via che proseguiamo verso sud, le dune si fanno più alte e più vicine al mare, lasciandoci lo spazio appena sufficiente per passare. La battigia ad un tratto diviene impercorribile; tra le dune ed il mare non c'è sufficiente spazio per passare. E' necessaria una deviazione verso l'interno che ci porta in alto sulla cresta di una duna e ci offre l'opportunità per una bella foto di gruppo. Poi di nuovo lungo la battigia fino allo stupendo Sandwich Harbour: una spiaggia larga almeno una cinquantina di metri separa dalle onde dell'oceano quello che rimane, in questa stagione dell'anno, di alcune lagune, a loro volta cinte alle spalle da una corona di alte dune.

Questa giornata è la più costosa del viaggio, ma in fondo non costa molto di più di un pranzo in un buon ristorante in Italia e vale tutta la cifra spesa. I ranger allestiscono rapidamente un ottimo pranzo; non mancano ostriche e champagne sudafricano, ma il vero valore aggiunto è quello della location. Bisogna riflettere un momento per renderci veramente conto del luogo incredibile dove ci troviamo. Siamo comodamente seduti a consumare ostriche e champagne su una duna alta oltre un centinaio di metri, formata dalla sabbia che un fiume, l'Orange, distante centinaia di chilometri, ha trasportato dalle sue sorgenti nel lontano altopiano del Lesotho, nel cuore dell'Africa meridionale, e che i venti generati dalla fredda corrente marina del Benguela hanno spinto verso nord e distribuito su un area lunga quasi cinquecento chilometri e profonda da cento a centocinquanta, un'area che continua a camminare verso nord al ritmo di circa venti metri all'anno. Questa duna viene scavata dalle onde dell'Oceano Atlantico che vengono ad infrangersi qui dopo aver percorso oltre cinquemila chilometri. Quando poi, in questo contesto, quattro pellicani, in formazione, passano poco sopra le nostre teste, non posso fare a meno di chiedermi se anch'essi non facciano parte dell'organizzazione.

Il giorno successivo lasciamo Swakopmund, questa strana cittadina dall'aspetto nord europeo e dalle insegne in lingua tedesca, ma, ovviamente, a prevalente popolazione di colore, per dirigerci attraverso una, quasi perfettamente rettilinea, salt road (strada di sale) dalla superficie allo stesso tempo scivolosa e appiccicosa, verso Cape Cross che ospita la più numerosa colonia di otarie del Capo al mondo.
Il sole intanto sparisce ed il cielo da celeste si fa prima bianco poi quasi grigio. Anche la temperatura scende bruscamente. Quando finalmente raggiungiamo la Cape Cross Seal Reserve tira anche un vento teso e gelido e, nonostante abbiamo indossato tutto quello che possiamo, battiamo i denti. Le otarie sono numerosissime sia a terra che in mare dove paiono danzare fra le onde, immergendosi e sbucando poi fuori dall'acqua per guardarsi intorno curiose. Dal punto di vista fotografico la situazione non è certo la migliore; la luce è poca e piatta e proviene esattamente da dietro ai soggetti da riprendere. Non per questo rinunciamo a dedicare a questi simpatici animali almeno un giga di immagini.



Cape Cross: la colonia di otarie del Capo

La tappa successiva ci porta a Twyfelfontein. Sono oltre duecento chilometri di sterrato tutt'altro che noiosi e le soste ai fini fotografici saranno al solito molte. La zona è nota, principalmente, per le incisioni rupestri e per gli elefanti del deserto. Per quanto riguarda le prime, le antichissime rocce di questa zona, frutto di grandi sommovimenti tellurici e dell'azione degli agenti atmosferici, hanno offerto agli abitanti della regione (i San, una popolazione di cacciatori-raccoglitori, che vissero in questa area prima di essere scacciati dai Nama e dagli Herero) uno strato di soffice arenaria sul quale, in un arco di tempo stimato, per le incisioni più antiche, fra i tremila ed i cinquemila anni, hanno inciso le figure degli animali che popolano ? o popolavano ? la zona. Ecco quindi antilopi, struzzi, zebre, rinoceronti e tante, tantissime giraffe; non manca nemmeno una otaria.

Non si conoscono i motivi per i quali le incisioni furono eseguite. Alcuni studiosi ritengono che i cacciatori più anziani usassero le incisioni per istruire i più giovani, altri che abbiano invece avuto significati religiosi e culturali. Twyfelfontein è stato incluso dall'UNESCO fra i siti Patrimonio dell'Umanità. La possibilità di incontrare i rari elefanti del deserto è un'altra attrattiva della zona di Twyfelfontein. Il lodge che ci ospita organizza ogni pomeriggio una escursione finalizzata all'incontro con questi pachidermi, senza, ovviamente, offrire nessuna garanzia sull'esito. Prima di partire il nostro autista fornisce alcune informazioni e tra quelle che riusciamo a capire con il nostro incerto inglese c'è quella che gli elefanti negli ultimi giorni si sono molto allontanati e che, in sostanza, non sono molte le probabilità di incontrarli. Mugugnando un po', diciamo fra noi che ce l'aspettavamo che si trattasse un po' di una fregatura, ma che ormai non possiamo farci nulla. Intanto il nostro autista ha abbandonato la strada vera e propria e si è inoltrato per piste che sembra conoscere bene, vista la velocità con cui le affronta. Non mancano, ovviamente, salti e scossoni. Continuiamo la disordinata danza infilandoci più volte nel letto completamente asciutto dell'Ugab River, ma niente elefanti. Quando siamo ormai quasi rassegnati, superata una cortina di alberi posta sull'argine del fiume in secca, ci troviamo davanti una intera e numerosa famiglia di elefanti intenta a bere dalla grande cisterna di un pozzo artesiano appartenente ad una non lontana fattoria.



Twyfelfontein: elefanti del deserto

Sono oltre una decina di individui, con diversi piccoli, almeno tre. Rimaniamo, eccitati, ad ammirarli e a fotografarli lungamente. Si alternano a bere, mentre, a turno, alcuni adulti disposti a raggiera si guardano intorno da ogni lato, come a fare la guardia; i piccoli invece si preoccupano solo di bere e di giocare. Una interessante serie di adattamenti ha reso questi animali capaci di sopravvivere in condizioni estremamente aride. La pianta del piede più larga permette agli elefanti del deserto di camminare sulla sabbia molto soffice; la proboscide più lunga consente loro di scavare più in profondità per arrivare all'acqua nascosta sotto il letto di un fiume in secca. Hanno zampe più lunghe per percorrere distanze molto ampie, corpi più piccoli per assorbire meno calore e per ridurre la loro dipendenza dall'acqua (gli elefanti del deserto possono andare avanti giorni senza acqua). Infine le loro zanne sono più corte e più fragili a causa della scarsità di minerali presenti nella loro dieta.

Per quanto fosse difficile crederlo, il meglio del viaggio doveva ancora venire. La tappa successiva ci porta infatti allo strepitoso Etosha National Park. Quando fu istituito nel 1907 da von Lindequist, l'allora governatore dell'Africa di sud ovest tedesca, era la più grande riserva del mondo con i suoi oltre 100.000 chilometri quadrati di superficie. Oggi il parco è poco meno di un quarto delle sue iniziali dimensioni (all'incirca la stessa superficie della Toscana), ma rimane une dei parchi più grandi d'Africa. L'Etosha Pan domina il parco e gli dà il nome; Etosha significa infatti "grande luogo bianco".

Il Pan è un piatta depressione salina che misura circa 130 km. da est a ovest e 70 da nord a sud, coprendo circa il 25% dell'intera superficie del parco. In tempi preistorici il fiume Kunene si riversava in un grande lago interno, ma, con il tempo, i movimenti della zolla litosferica hanno deviato il corso del fiume, il lago si è prosciugato ed è divenuto una piana salata. Oggigiorno il Pan è soggetto a parziali allagamenti durante la stagione delle piogge. La pioggia e le acque di tre fiumi, Ekuma, Oshigambo e Omuramba-Ovambo, trasformano, periodicamente, il pan in un grande lago di circa 10-20 cm di profondità, ma esso trattiene l'acqua solo per un breve periodo.
Nelle annate sufficientemente ricche di pioggia, si allaga e diviene il rifugio di molti acquatici, compresi decine di migliaia di fenicotteri che si alimentano con le alghe che si sviluppano nell'acqua bassa. Nella stagione secca, la screpolata argilla biancastra si divide in frammenti esagonali incrostati di sale.



argilla seccata e screpolata a perdita d'occhio

Stando alle rilevazioni ufficiali il parco ospita 114 specie di mammiferi (compresi il raro rinoceronte nero, l'antilope roan e l'endemico impala dal muso nero) 340 di uccelli, 110 di rettili e 16 di anfibi.
Nell'Etosha l'anno può essere diviso in due distinte stagioni: quella piovosa e quella secca. Il periodo migliore per osservare gli animali è quello che va da Maggio a Settembre, il più fresco ed asciutto. Infatti durante la stagione secca la vita degli animali è resa possibile solo dalle sorgenti sotterrane che alimentano pozze di acqua ai margine del pan: quindi gli animali si concentrano nei dintorni di queste pozze dove è più probabile incontrarli. Fermate la vostra auto, aprite i finestrini e aspettate che gli animali arrivino: non rimarrete delusi. Questo non vuol dire che ottenere le immagini che cerchiamo sia sempre facile; la maggior parte delle pozze si trovano ad una certa distanza da dove si può arrivare con l'auto, dalla quale è assolutamente vietato scendere. Quindi è necessario preparare i propri teleobbiettivi e dei buoni punti di appoggio. Un buon bean-bag è l'ideale ed anche uno scatto via cavo può aiutare ad evitare il "mosso". Indispensabile poi è riuscire a far stare fermi i passeggeri all'interno del veicolo e vi assicuro che, specie se si tratta di ragazzi, non è facile tenerli calmi quando si avvicina una mandria di elefanti o un rinoceronte.



la pozza di Okaukuejo al crepuscolo

All'interno del parco si trovano tre strutture ricettive statali, Okaukuejo, Halali e Namutoni, ciascuna dotata di una pozza illuminata durante la notte. Tutte e tre sono state rimesse a nuovo in occasione del centenario (1907-2007) del parco e consiglio vivamente di pernottare almeno una notte in ciascuna delle tre strutture, perché, oltre ad offrire un buon confort, danno la possibilità di godere delle rispettive pozze illuminate durante la notte e, se non siete dei dormiglioni, di essere nel cuore del parco già all'alba. Noi ad Okaukuejo siamo rimasti due notti e certo non le dimenticheremo mai. La sua pozza, da sola, meriterebbe un viaggio in Namibia. Ad ogni ora del giorno e della notte gruppi di animali si avvicendano a bere rispettando gerarchie ed orari ben evidenti.



a Okaukuejo le zebre bevono al mattino



elefanti alle luci artificiali di Okaukuejo



Okaukuejo: i rinoceronti arrivano a notte fonda

Ogni sera giraffe, grandi elefanti, rari rinoceronti sbucano dalla oscurità profonda della notte africana e compaiono nella luce ambrata dei proiettori e quando dal buio impenetrabile cominciano a giungere inconfondibili cupi e profondi ruggiti, anche i brusii più sommessi si zittiscono e l'adrenalina sale.

Sulla via del rientro verso Windhoek, sostiamo per una notte in una game farm (riserve private di ampie dimensioni), la Durtsenbrook Guest Farm che ospita, in situazione controllata, oltre a molti altri animali, leopardi e ghepardi.
Gli animali vivono in grandi recinzioni all'interno delle quali ci si muove su fuoristrada aperti guidati dai rangers della farm. La possibilità di fare qualche bello scatto, anche se la luce non è la migliore (è quasi mezzogiorno quando i rangers danno il via al tour), indubbiamente c'è, quello che forse manca un po' è l'emozione ineguagliabile dell'incontro improvviso con l'animale in piena libertà. Questa sensazione, comunque, non ci impedirà di aggiungere qualche giga di immagini a quelli già messi "in carniere" in questo emozionante ed avvincente viaggio.


Emanuele Squarci è nato, sia anagraficamente che fotograficamente, numerosi anni fa a Siena, dove vive e lavora. Nel lontano 1975, con i primi guadagni da studente, acquistò la sua prima reflex, una Mamiya Sekor 1000DTL, alla quale seguirono una Pentax K1000 e, successivamente, due Nikon F90 che, solo due anni fa e non senza esitazioni, sono state messe in pensione per far posto ad una Nikon D80. Le passioni per viaggi, natura e fotografia si combinano facilmente fra loro, ma, proprio perché "solo" passioni, rimangono purtroppo costrette tra le altre esigenze della vita. Una selezione più ampia di sue foto della Namibia può essere vista su www.pbase.com/lele55. L'autore si è anche divertito a pubblicare tramite il sito www.blurb.com un volume dal titolo "A Journey through Namibia/Viaggio in Namibia". Senza alcuna pretesa di fornire consulenze tecniche, è volentieri a disposizione di coloro che volessero informazione pratico/logistiche sulla Namibia.



Risposte e commenti


Che cosa ne pensi di questo articolo?


Vuoi dire la tua, fare domande all'autore o semplicemente fare i complimenti per un articolo che ti ha colpito particolarmente? Per partecipare iscriviti a JuzaPhoto, è semplice e gratuito!

Non solo: iscrivendoti potrai creare una tua pagina personale, pubblicare foto, ricevere commenti, partecipare alle discussioni e sfruttare tutte le funzionalità di JuzaPhoto. Con oltre 241000 iscritti, c'è spazio per tutti, dal principiante al professionista.





avatarjunior
inviato il 15 Aprile 2014 ore 11:45

complimenti ottimo articolo :)

avatarjunior
inviato il 15 Aprile 2014 ore 13:01

Sono stato in Namibia la scorsa estate e confermo tutto quanto di buono hai scritto :)

Non ho fatto un reportage come il tuo -che è ottimo! , comunque per chi fosse curioso, qui su Juza ci sono le mie foto

Complimenti ancora per il viaggio e per il racconto!

avatarjunior
inviato il 15 Aprile 2014 ore 17:54

Ringrazio Matteo e Fabriziob per i loro complimenti; per quanto poi riguarda le tue foto, Fabrizio, sono davvero molto belle. Mi colpisce molto anche la tua capacità di fotografare le persone, forse sarà perché io proprio non ci riesco.
Una cosa è certa la Namibia è un paese stupendo e una vera "Mecca" per chi fa fotografia.
Emanuele

avatarjunior
inviato il 17 Settembre 2015 ore 14:59

Bell'articolo... sono appena tornato dal medesimo viaggio (a parte Sandwich Harbour e Kolmanskopp, purtroppo... ma le cose le scopri sempre "dopo") e non posso che confermare la magia di questa terra

Sto pian piano pubblicando qualcosa anch'io... pian piano e certamente non al tuo livello
Complimenti!
Nicola

avatarjunior
inviato il 25 Settembre 2015 ore 10:22

Grazie Nicola,
la Namibia è un luogo davvero fantastico e dal punto di vista fotografico offre grandissime opportunità.
Vedrò con interesse e piacere le tue foto.
Emanuele

avatarsupporter
inviato il 28 Giugno 2018 ore 13:32

Una bella esperienza raccontata in modo egregio con belle immagini.
Massimo

avatarjunior
inviato il 28 Giugno 2018 ore 18:01

Grazie Massimo delle belle parole.
Emanuele





 ^

JuzaPhoto contiene link affiliati Amazon ed Ebay e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

Versione per smartphone - juza.ea@gmail.com - Termini di utilizzo e Privacy - Preferenze Cookie - P. IVA 01501900334 - REA 167997- PEC juzaphoto@pec.it

www.juzaphoto.com - www.autoelettrica101.it

Possa la Bellezza Essere Ovunque Attorno a Me