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Fuori dagli schemi. Terribilmente agghiaccianti. Pugni nei ventri molli dell'ipocrisia, rivoluzioni per niente facili, mai assimilabili al primo sguardo. Si può così prescindere dal solito saper fare con le mani, dalle figurazioni a cui siamo abituati, dallo stesso concetto di esposizione d'arte: questo è Edward Kienholz in esposizione a Milano con "Five Car Stud". Al centro della scena un afroamericano steso a terra è circondato da cinque uomini bianchi che indossano delle maschere di Halloween. Gli aggressori lo immobilizzano afferrandogli braccia e gambe, mentre uno di loro lo sta per evirare. Inoltre è presente un sesto uomo mascherato che, armato di un fucile, sorveglia la scena, mentre una donna bianca che si era appartata con la vittima, è obbligata ad assistere sconvolta e impotente alla punizione inflitta dagli aggressori bianchi. Un ragazzo impaurito, il giovane figlio di uno dei criminali, è testimone dei fatti dall'interno dell'auto del padre. Il ragazzo nero ha un doppio volto: uno interno in cera tristemente rassegnato, mentre quello esterno trasparente è segnato da una smorfia mostruosa di terrore e rabbia. Il busto è costituito, invece, da un contenitore di benzina all'interno della quale galleggiano sei lettere che possono formare la parola “nigger”. Five Car Stud catapulta lo spettatore in una situazione da incubo, lo immerge in una dimensione, rimossa o dimenticata, di estrema violenza. A più di quarant'anni di distanza dalla sua creazione restano intatte, infatti, la sua forza espressiva, la sua potente carica simbolica e la lucidità dell'atto di accusa contro la persecuzione razziale. Recensione di Giulia Cassini
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