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Viaje al Fin del Mundo


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Viaje al Fin del Mundo, testo e foto by Pisolomau. Pubblicato il 07 Settembre 2011; 19 risposte, 17954 visite.


Patagonia! Pochi luoghi al mondo hanno esercitato su di me un fascino così forte. Forse solo l'India dei libri di Salgari è in grado di competere con l'irresistibile attrazione che questa terra ha avuto sul mio immaginario.
"Devo fuggire in Patagonia!" Mi viene da pensare nei momenti di sconforto, un modo per far perdere le ansie al mio spirito, momentaneamente oppresso dal peso della vita moderna fatta di spazi sempre più ristretti e schemi rigidamente impostati.

Immaginavo le distese sconfinate di questo lembo di terra australe: orizzonti infiniti, vento incessante, immensi ghiacciai, torri di granito e cieli blu cobalto. Uno spazio da riempire con i miei sogni e le mie chimere.
Avevo letto molto sulla Patagonia, i libri di padre Alberto Maria De Agostini, Bruce Chatwin, Borges e Sepulveda. Alla fine credevo di essermi fatto un'idea piuttosto precisa su questo luogo, anche se non m'illudevo che fosse rimasto esattamente come era descritto, una terra dove scrittori, poeti ed avventurieri avevano trovato rifugio dalle loro ansie e paure. Un luogo simbolo del viaggio e della fuga, lungo la linea di confine tra il desiderio di partire e quello di ritrovarsi.
C'era un solo modo per sincerarsene: andarci! Detto e fatto, il 30 dicembre del 2010, mentre nel nord dell'Italia infuriava il maltempo, un volo della Iberia Airlines portava me e i miei quattro compagni di viaggio al di là dell'oceano Atlantico.
Nelle interminabili ore di viaggio, per ingannare il tempo, rivedo i miei appunti sulla mia meta. Quella che si definisce Patagonia è la regione geografica compresa nella parte meridionale del continente sud americano, divisa tra Argentina e Cile, ha un'estensione di oltre 900.000 km², tre volte l'Italia, con una densità abitativa bassissima, circa 2 abitanti per km². Delimitata a ovest e a sud dalle Ande e a est da grandi bassipiani, le pampas argentine, la regione deve il suo nome ai Patagoni, termine usato da uno dei primi esploratori della zona, Ferdinando Magellano, per indicare i nativi di quelle terre che a lui sembrarono dei giganti dai grossi piedi (pata in spagnolo significa zampa).

La regione è caratterizzata da una geografia e da un clima molto particolare: mentre la Patagonia argentina è un'area di ampie pianure steppiche alternate ad altopiani privi di vegetazione, il versante cileno è caratterizzato da un'alta piovosità e quindi da paesaggi più verdi. Al confine tra Cile e Argentina si estende il Campo de Hielo Sur, la terza calotta glaciale continentale al mondo, dopo quelle dell'Antartide e della Groenlandia. Dallo scioglimento dei suoi ghiacci si originano grandi laghi come il Lago Argentino e il lago Viedma. Tocchiamo in tarda serata il suolo argentino a Buenos Aires, sulle rive del grande estuario del Rio de la Plata. Appena usciti dal terminal ci rendiamo conto di essere nel pieno dell'estate australe: una calda brezza increspa le acque limacciose dell'estuario che in questo punto è talmente largo (oltre 50 km) da sembrare il mare.



[u] Rutas de ripio - Penisola di Valdes[/u]

La mattina seguente, dopo una notte passata in aeroporto, prendiamo il primo volo per Trelew nella "Peninsula di Valdes", la porta d'ingresso della Patagonia argentina. La nostra prima tappa ci porterà a visitare una delle riserve naturalistiche più estese al mondo, caratterizzata dalla presenza di diverse specie animali. La Penisola di Valdes è situata lungo la costa atlantica nella Provincia argentina di Chubut. Il villaggio di Puerto Pirámides è il solo nucleo abitativo, mentre la città più vicina, Puerto Madryn dove siamo alloggiati, dista circa 90 km. Noleggiamo un fuoristrada, indispensabile per percorrere questo territorio arso, privo di acqua dolce e con rada vegetazione stepposa, regno di pecore e guanachi, armadilli e nandú.
A causa del clima secco la polvere delle rutas de ripio (strade ghiaiose non asfaltate), penetra inevitabilmente negli occhi, nei capelli, nei vestiti è impedisce la visibilità quando soffia il vento (praticamente sempre!).

Le coste della penisola sono popolate da mammiferi marini, come il Leone marino sudamericano, l'Elefante marino del sud e l'Orca. E' possibile avvistare la Balena Franca australe nelle calde acque del Golfo Nuevo e nel Golfo San José dove, tra maggio e dicembre, i cetacei migrano per l'accoppiamento e il parto. Purtroppo al momento della nostra visita le balene erano già partite tutte. Avvistamenti di Orche sono possibili a Punta Norte e Punta Ninfas dove questi magnifici mammiferi si spingono fin sulle spiagge per cibarsi dei cuccioli di elefante marino.




Sono naturalmente presenti anche una grande varietà di uccelli: circa 180 specie, molte delle quali migratorie, tra cui il il piccione Antartico.
Nel primo giorno di perlustrazione della penisola visitiamo i siti di avvistamento segnalati sulle carte e meta di una discreta quantità di turisti. Rimaniamo piuttosto amareggiati e sorpresi dalla difficoltà di avvicinare gli animali: sia a Punta Cantor sia a Punta Delgada le spiagge sono recintate e l'accesso è regolamentato. L'esperienza è comunque positiva, l'ambiente aspro e le coste completamente disabitate creano un'atmosfera particolare, bellissima e selvaggia, i paesaggi che si stagliano tra terrra, mare e cielo offrono ottimi spunti fotografici.
Il giorno seguente visitiamo un'altra delle attrattive della costa, la pinguinera di Punta Tombo, dove è possibile vedere una delle più grandi colonie di Spheniscus magellanicus (Pinguino di Magellano) dell'intero continente. Arriviamo molto presto per evitare l'affollamento, dopo aver percorso la ruta n°3 e un immancabile e polveroso tratto di ripio.



[u] Cuccioli di Pinguino di Magellano - Punta Tombo[/u]

Fortunatamente siamo tra i primi a entrare e questo ci consente di aggirarci tra le varie colonie di pinguini senza troppi impedimenti. Nella riserva è possibile osservare, molto da vicino, l'intero ciclo riproduttivo di questa specie. Ci aggiriamo tra le tane scavate nell'arido suolo dell'entro terra, seguendo appositi percorsi delimitati. Il nostro cammino è continuamente interrotto da gruppi di simpatici pinguini, che fanno la spola tra il mare e la prole in famelica attesa. L'ambiente risuona dei tipici striduli richiami dei pinguini, alle prese con la difesa del territorio e lo svezzamento dei lanuginosi cuccioli.
Sulla strada del ritorno ci fermiamo a Punta Lomo, un promontorio che si affaccia su di una falesia a picco sul mare dove, sulle strette spiagge di ciotoli, vive una colonia di Leoni marini. Sulle pareti, invece, nidifica un nutrito stormo di Cormorani Collo Nero.
Il Leone Marino sudamericano (Otaria flavescens) vive lungo le coste cilene, peruviane, uruguayane e argentine. I maschi esibiscono una notevole criniera leonina e pesano circa il doppio delle femmine. Questa specie vive in colonie composte da circa venti femmine e da uno o più maschi che lasceranno l'harem solo a fecondazione avvenuta.
La sera, in un piccolo ristorante di Puerto Madryn, accogliamo i consigli di un cameriere che ci indica un posto, non battuto dalle rotte turistiche, dove si possono fare avvistamenti di Elefanti marini e, con un po' di fortuna, di Orche. Dista da Puerto Madryn circa cento km, quasi interamente di ripio. Si tratta di una località sperduta, la punta meridionale del Golfo Nuevo denominata "Punta Ninfas", non citata in nessuna delle guide turistiche.
Ci mettiamo in marcia con un certo scetticismo che aumenta man mano che avanziamo nella pampas. La pista polverosa si sviluppa tra la rada vegetazione della steppa e, a parte qualche guanaco e nandù, non incontriamo altra anima viva. Finalmente dopo quasi due ore di viaggio appare all'orizzonte la tipica sagoma di un faro: la strada s'interrompe per trasformarsi in un sentiero dissestato. Siamo a poche decine di metri dalla costa e, visto il terreno, arrestiamo l'auto per proseguire a piedi. Ci rendiamo così conto di essere sul margine estremo di un'enorme, scoscesa e apparentemente inaccessibile falesia a strapiombo sul mare. Il luogo è di una bellezza sconcertante, la solitudine è totale e l'unico rumore avvertibile è quello della risacca marina che risuona cupo più in basso. L'arenile è popolato da diverse colonie di Elefanti Marini del sud (Mirounga leonina) che sonnecchiano al sole. Dopo varie ricerche arriviamo in un punto da cui è possibile accedere alla spiaggia sottostante, attraverso una traccia al limite delle nostre capacità alpinistiche.
La bellezza e le opportunità fotografiche di questo luogo ci ripagano ampiamente della fatica fatta per raggiungerlo. Camminiamo sulla battigia tra esemplari di Elefante Marino in varie fasi della loro crescita. Questi enormi mammiferi devono il proprio nome, oltre che alla mole, alla presenza nei maschi di una sorta di tozza proboscide che ha funzione di cassa di risonanza per i profondi ruggiti emessi nel periodo riproduttivo.

Quello che impressiona è l'enorme mole dei maschi, che possono essere lunghi fino a sei metri e pesare quattro tonnellate. Fortunatamente per noi sulla terra ferma questa specie si muove molto lentamente e in modo goffo, trascinandosi sul ventre sotto la spinta delle corte pinne. Quest'ultime vengono anche utilizzate per quello che sembra essere il passatempo preferito di questi mammiferi: cospargersi di sabbia e grattarsi pancia all'aria.
A vederli così, ammucchiati e pacifici, infondono una grande serenità. Ci aggiriamo tra la colonia senza paura anche perché gli animali non sembrano particolarmente turbati dalla nostra presenza; quando ci avviciniamo troppo, si limitano ad emettere un ruggito di avvertimento. Passiamo la giornata osservando e fotografando da vicino queste affascinanti creature nella speranza che, con l'arrivo dell'alta marea, sia possibile avvistare anche le orche che si spingono fin sulla spiaggia per cibarsi dei cuccioli ancora inesperti, ma l'attesa sarà vana.

Dopo quattro bellissimi giorni trascorsi al caldo nell'incontaminata Penisola di Valdes, prendiamo un volo che in poco più di un'ora ci porterà nell'estrema punta meridionale del continente sudamericano, la Tierra del Fuego. L'atterraggio ad Ushuaia è un esperienza che lascia scossi. I forti venti meridionali e le continue turbolenze, dovute alle correnti fredde che spazzano il canale di Beagle, scuotono l'aereo in maniera preoccupante. Da nord l'accesso alla pista, che si trova su di una corta penisola, avviene aggirando le montagne che si elevano alle spalle della città e l'aereo deve compiere parecchie virate strette prima di toccare finalmente terra, con enorme sollievo di tutti i passeggeri.




Appena usciti dal terminal un gelido vento ci investe, piccoli fiocchi di neve turbinano nell'aria e benché siano già le dieci di sera il chiarore irreale della notte australe illumina la baia. Passiamo così, non senza un brivido, dai trenta gradi di Puerto Madryn ai tre gradi scarsi di Ushuaia. Quando i primi coloni raggiunsero queste coste, la popolazione Fuegina era composita da varie tribù, come gli Yamana e gli Alakaluf. Tutte le popolazioni autoctone si sono però estinte nel corso del secolo scorso, decimate dalle malattie portate dai coloni occidentali, quali il vaiolo e il morbillo. Ushuaia è il capoluogo della provincia Argentina della Terra del Fuoco e detiene il primato di città più australe del mondo. L'abitato si trova sulla costa meridionale dell'Isola Grande della Terra del Fuoco, circondato dalle montagne che dominano il Canale di Beagle. La città, fondata agli inizi del ventesimo secolo come sede di una prigione per criminali pericolosi, oggi ha circa 65.000 abitanti.
I cileni rivendicano che sia Puerto Williams la città più australe al mondo; in effetti, essa si trova più a sud di Ushuaia, ma non è sufficientemente popolosa per essere considerata una città.
A parte il fascino dettato dalla sua posizione, "la fin del mundo" non ha molto da offrire. Sulla baia si affacciano una serie di ristorantini dove è possibile mangiare dell'ottimo pesce tra cui la famosa Centolla, l'enorme granchio reale che si pesca nei mari antartici, una vera prelibatezza.
Il primo giorno visitiamo, zaino in spalla, il Parque Nacional Tierra del Fuego. Si tratta di un'ampia area di natura incontaminata e paesaggi selvaggi dove non vi è nessun tipo di insediamento umano. Vi sono diversi percorsi che si diramano all'interno del parco con panorami sul canale di Beagle, sulla valle del Rio Pipo e la cordillera Darwin. L'indomani intraprendiamo la classica e imperdibile navigazione sulle agitate acque del canale di Beagle. Il grande catamarano, che naviga lungo le coste di questa enorme insenatura, sosta nei pressi di isole e insenature dove è possibile fotografare otarie, pinguini e una varietà di cormorani e altri uccelli acquatici.



[u] Faro Les Eclaireurs - Terra del Fuoco, Beagle Channel[/u]

Si sbarca poi alla Estancia Harberton, fondata nel 1887 da un inglese, dove è possibile rivivere l'epopea dei primi coloni, alle prese con l'allevamento delle pecore e dei bovini in un contesto naturale come la Terra del Fuoco. Rientriamo a Ushuaia via terra, attraverso il passo Garibaldi che si trova lungo la Ruta 3 che è l'unica strada carrozzabile che porta ad Ushuaia. Qui è possibile osservare i flag tree, piante di Nothofagus la cui chioma, costantemente esposta alla forza del vento che soffia nella medesima direzione, si sviluppa in un unico verso dando all'albero la tipica forma a bandiera. Poco più sotto, a poche miglia in linea d'aria, si trova il famigerato Capo Horn, vero incubo dei velisti, con i suoi "50 urlanti e 40 ruggenti", i venti originati dalle depressioni antartiche che investono costantemente le imbarcazioni che si trovano a transitare tra il quarantesimo e il cinquantesimo parallelo dell'emisfero meridionale.

Lasciamo questo sperduto e affascinante angolo di mondo e raggiungiamo in volo, in poco più di un ora, la località di El Calafate sulle rive meridionali del lago Argentino, punto di partenza per visitare il Parque National Los Glaciares che racchiude la gigantesca calotta glaciale dello Hielo Sur. Nella sua parte meridionale si trovano i ghiacciai più grandi: il Perito Moreno, il Ghiacciaio Upsala e il Ghiacciaio Spegazzini, che scorrono tutti verso il Lago Argentino.
A causa della particolare posizione geografica, questi ghiacciai hanno origine a soli 1500 m di quota e scorrono fino a 200 metri sul livello del mare, erodendo le montagne su cui poggiano.
Il più grande e famoso di questi ghiacciai, il Perito Moreno, è anche l'unico raggiungibile via terra. Tramite bus di linea si arriva in circa un'ora fino alla base del ghiacciaio. Da qui è possibile navigare lungo il fronte del Brazo Rico per ammirare da sotto l'imponente massa glaciale alta più di sessanta metri.

Successivamente si raggiunge il sistema di passerelle in legno che consentono di ammirare il lato opposto del fronte glaciale. Il Perito Moreno si muove velocemente, oltre 2 metri al giorno, questo fa si che si possano osservare i crolli degli enormi seracchi di ghiaccio che precipitano con fragore nel lago Argentino. Una caratteristica di questo ghiacciaio è rappresentata dal "ponte di ghiaccio". L'erosione ad opera dell'acqua del lago crea un ponte di ghiaccio tra il fronte del ghiacciaio in avanzamento e la sponda del lago stesso. Ogni tre anni circa si assiste così alla spettacolare rottura del ponte causata della pressione dei ghiacci che avanzano.
Il giorno seguente ci rechiamo a Punta Bandera, molo di partenza delle crociere sul lago Argentino: salpiamo puntando alla Boca del Diablo, una strettoia fra due opposte penisolette che immette nel più ampio Brazo Norte. Tira vento e ci sono dei piovaschi, non è il clima ideale per stare in coperta a fare foto, ma la successione di arcobaleni sullo sfondo del cielo tempestoso mi convincono a sfidare le avversità atmosferiche.




Prima meta, al termine del Brazo omonimo, è il fronte del ghiacciaio Uppsala, il più esteso del Hielo Patagonico Continental. Ripercorrendo a ritroso il Brazo Uppsala, imbocchiamo il canale Spegazzini che si estende fino al ghiacciaio omonimo: sebbene esteso per un decimo dell'Uppsala, è questo il ghiacciaio più alto del Parco, con il fronte che si eleva per oltre cento metri. Usciti dal Brazo Norte attraverso la Boca del Diablo, ci immettiamo nel Canal de los Tèmpanos il nome è eloquente (tèmpano significa iceberg) e navighiamo nel cuore di una spettacolare concentrazione di blocchi di ghiaccio di ogni forma e dimensione. Il canale ha termine davanti al Perito Moreno e possiamo quindi ammirare l'imponente muraglia del fronte nord.

Lasciamo El Calafate diretti in Cile, a bordo di un confortevole bus di linea. Passiamo Rio Turbio capitale nazionale del carbone, ultima località argentina lungo la Ruta 40. Sul ciglio della strada si susseguono mucchi di minerale e vecchi macchinari arrugginiti. Superata la frontiera con il Cile, arriviamo a Puerto Natales, sul litorale orientale della baia Ultima Esperanza, raggiunta nel ?500 dai primi europei che cercavano una rotta verso l'oceano Pacifico attraverso il dedalo di fiordi e canali.
Base di partenza per visitare il magnifico Parque Nacional Torres del Paine, la piccola cittadina conta circa 20000 abitanti e la sua economia è basata sulla lavorazione della lana, della carne di montone, sulla pesca e sulle risorse minerarie di cui il terreno è ricco. Alloggiamo in una caratteristica abitazione in legno e lamiera dove, nonostante la stagione estiva, grandi stufe ardono in continuazione per mitigare il clima rigido e ventoso.



[u] Panoramica della Cordillera Paine - Parque Torres del Paine, Chile[/u]

L'indomani piove, tira vento e il cielo è di un colore grigio ferro. Al seguito della nostra guida Carlos, ci dirigiamo verso il Lago Grey confidando in uno dei tanti e repentini cambiamenti meteorologici che caratterizzano la Patagonia. Purtroppo il tempo non accenna a migliorare, decidiamo ugualmente di raggiungere un belvedere sul lago Grey sfidando le raffiche di vento che ci schiaffeggiano a oltre cento km l'ora. Ci reggiamo in piedi a fatica, sferzati dai piovaschi orizzontali avanziamo a testa bassa lungo sentieri a picco sul lago. Grandi tempanos solcano le verdi acque nelle quali si specchiano le cime innevate. Comunichiamo a gesti perché la furia del vento ci impedisce di sentire le nostre stesse voci.
Il famoso vento patagonico ci ha messo alle corde, risaliamo sul minivan di Carlos alla ricerca di un po' di calore. Ci portiamo nei pressi del lago Pehoe dove si possono ammirare i Cuernos del Paine, caratteristiche formazioni rocciose bicolore che spiccano con le loro bizzarre forme tra le vette del massiccio Cerro Paine.
Nel pomeriggio ci rechiamo al Salto Grande, una spettacolare cascata sul fiume Paine che si riversa nel lago Sarmiento le cui sponde sono ricoperte da una crosta bianca formata da depositi di calcio. Il tempo sembra essere migliorato e decidiamo di proseguire a piedi fino a raggiungere il belvedere "Los Cuernos". Il sentiero si dipana tra una fitta e lussureggiante vegetazione, costeggiando piccole insenature dal colore verde smeraldo. La cappa di nubi non ci consente però alcun belvedere sui Cuernos.
Sconsolati raggiungiamo il rifugio Torres, l'unico all'interno del parco, dove trascorriamo la notte. Con un impeto di originalità l'indomani il tempo è pessimo, piove a dirotto e una fitta nebbia ci impedisce di ammirare le svettanti Torri del Paine. La base di questi splendidi obelischi di granito è raggiungibile in circa quattro ore, superando un dislivello di ottocento metri. Viste le pessime condizioni meteo rinunciamo a malincuore alla salita. Carlos ci propone un trekking alternativo a quote inferiori, dove è possibile avvistare guanachi, nandù, condor e, con un po' di fortuna, anche il puma. Riusciamo a fotografare diversi gruppi di guanachi, volpi e qualche nandù e siamo incessantemente sorvolati da gruppi di condor. Del mitico predatore andino, il puma, nemmeno l'ombra. Ci imbattiamo però in diverse carcasse di guanachi sbranati notte tempo dal felino. Inaspettatamente il tempo migliora e uno squarcio di sereno ci consente, finalmente, di scattare qualche bella foto al massiccio del Paine.




Il giorno seguente abbiamo in programma la navigazione a bordo di un gommone sul rio Serrano fino a dove questo sfocia nel fiordo Ultima Esperanza; da li ci imbarcheremo su di una nave che ci riporterà a Puerto Natales. Quando salpiamo uno splendido sole risplende sulle acque limacciose del rio Serrano che serpeggia tra banchi sabbiosi e coste ricche di vegetazione. D'improvviso si alza un vento teso che increspa le acque ed enormi nuvole nere si formano dal nulla, i balzi del natante si fanno più decisi e gli spruzzi si trasformano ben presto in vere e proprie secchiate d'acqua sporca. Come se non bastasse una fitta pioggia comincia a scendere dal cielo che nel frattempo è diventato color del piombo. Nonostante le tute impermeabili siamo bagnati fino alle mutande. Gli unici che sembrano divertirsi come dei matti sono i conduttori degli Zodiac, che cantano a squarciagola zigzagando a folle velocità tra i marosi e le secche sabbiose del fiume.
Arriviamo finalmente all'imbarcadero, sembriamo usciti dal tunnel di un autolavaggio; per fortuna c'è una sorta di ristoro al coperto dove arde una piccola stufa che viene immediatamente presa d'assalto. Come se non bastasse ci comunicano che la nave che doveva prenderci a bordo non è partita a causa delle onde che, nel fiordo, hanno raggiunto i tre metri di altezza. Siamo bloccati e l'unico modo per tornare a Puerto Natales è ripercorrere a ritroso il rio Serrano. Ci attendono così altre due ore tra piovaschi, marosi, sobbalzi e il viaggio di ritorno ci regala altre umide emozioni.
Con enorme soddisfazione tocchiamo terra, come per incanto smette di piovere e il sole torna a splendere. Un gruppo di gauchos ci osserva divertito mentre strizziamo i nostri vestiti, anche oggi abbiamo la conferma del detto secondo il quale in un solo giorno patagonico si possono osservare le quattro stagioni.

Il nostro viaggio prosegue con un lungo trasferimento in autobus da Puerto Natales ad El Calafate e da lì ad El Chalten, dove arriviamo in tarda serata, giusto in tempo per ammirare, nel chiarore rosato del tramonto, la sagoma inconfondibile del Cerro Chalten, meglio conosciuto come Fitz Roy. Il nome El Chaltén significa, nell'antica lingua locale, "il vulcano", e fu dato al Fitz-Roy dai Tehuelches, gli antichi abitanti della regione, in quanto sulla cima della montagna è spesso presente una nube; gli indios pensavano fosse il fumo del vulcano. Il villaggio nasce nel 1985 a difesa del conteso confine tra Argentina e Cile in seguito alla disputa militare del lago del Desierto. Le poche baracche costruite ai piedi delle montagne vennero rapidamente sostituite da costruzioni in muratura durante le riprese del celebre film "Grido di pietra" girato nel 1991 da Werner Herzog, che racconta di una sfida tra alpinisti alla scalata del Cerro Torre. Herzog scelse El Chalten come base per la troupe, creando così un mito che resiste a tutt'oggi: El Chalten come capitale del trekking patagonico.
Una fitta rete di sentieri ben segnalati si snoda all'interno di quest'area del Parque Los Glaciares resa famosa dalla presenza di vette importanti quali il Cerro Torre e il Fitz Roy. Questi monoliti di granito sembrano sorgere dal nulla e rappresentano il sogno proibito di ogni scalatore che si rispetti. La loro sagoma è conosciuta da tutti e le loro cime, costantemente battute da furiose tempeste, sono perennemente avvolte dalle umide nebbie provenienti dal Pacifico, che generano giornalmente enormi quantità di precipitazioni nevose. Le guglie svettano per oltre duemila metri dalla base dei ghiacciai perenni che le circondano, con le cime ornate da impressionanti funghi glaciali che si formano e si disfano in continuazione, dando origine a mortali scariche di ghiaccio.
Abbiamo in programma di compiere i due trekking che portano ai piedi di questi due miti di pietra, sperando che il meteo ci assista. Siamo consapevoli del fatto che per oltre trecento giorni all'anno queste vette sono immerse nelle nuvole ed è pertanto una vera fortuna poterle vedere e fotografare nel loro splendore. Partiamo in una soleggiata mattina alla volta del campo De Agostini (ex Campamento Bridwell), da cui è possibile raggiungere la base del mitico Cerro Torre.



[u] Cerro Torre - Parque Los Glaciares[/u]

Raggiungiamo in circa due ore la morena che circonda il Lago Laguna Torre, nelle cui acque si specchia il Cerro Solo. Un vento impetuoso soffia da nord ovest, increspa le acque del lago e solleva nugoli di detriti morenici. Risulta difficile persino muoversi lungo la cresta morenica, ad ogni passo si corre il rischio di essere gettati a terra dalla furia del vento. Le folate si susseguono con ritmo impressionante, tra una serie e l'altra ci muoviamo come naufraghi nella tempesta alla ricerca di un momentaneo riparo. Confidiamo che il vento possa spazzare via le nubi che si stendono come un sipario lungo le pareti del Cerro Torre, impedendone la vista. Troviamo quindi un angolo al riparo dal vento e ci concediamo un paio d'ore di attesa. La cappa di nubi si ostina ad avvolgere l'urlo di pietra, solo per pochi minuti si alza di poco, consentendoci di scorgere il fungo di ghiaccio della vetta illuminato dai raggi del sole che filtrano dalle nebbie scure. Spariamo foto a raffica, consapevoli che questo è il massimo che per oggi c'è consentito.
Il giorno seguente il meteo non è migliorato, nuvole, vento e una pioggia pungente avvolgono El Chalten e le montagne che la circondano. Rinunciamo a tornare al Mirador Torre e ci incamminiamo invece lungo il sentiero che porta al Campamento Poincenot, da dove è possibile salire alla base del Fitz Roy. Percorriamo un sentiero in salita dal quale si scorge il corso sinuoso del Rio de Las Vueltas che scorre nel fondo valle. Raggiungiamo laguna Capri, uno splendido lago sulle cui rive sorge un piccolo camping e continuiamo la marcia tra le rive acquitrinose del Rio Blanco. Sullo sfondo svetta maestoso il ghiacciaio Piedras Blancas la cui lingua biancheggia tra le verdi colline moreniche. Il panorama è splendido e la nostra vista rimane puntata là dove, dietro le cortine nebbiose, dovrebbero ergersi le rosate pareti granitiche del Fitz Roy. Giungiamo così al Campamento Poincenot, ben riparato dal vento all'interno del bosco e dopo una breve sosta affrontiamo i quattrocento metri di dislivello che ci separano dalla Laguna de Los Tres, un lago glaciale dalle cui sponde svettano le tanto agognate pareti del Fitz Roy. Le prime raffiche di vento cominciano a colpirci poco sotto la sommità del rilievo morenico, superati gli ultimi contrafforti rocciosi che impedivano la vista, ci appare maestosa la parete granitica del Fitz Roy con la guglia Poincenot a farle da sentinella.

Lo spettacolo è davvero grandioso, ma non riusciamo a goderne appieno poiché siamo dolorosamente bersagliati in continuazione da nuvole di pietrisco sollevato dal vento. Una raffica più violenta delle altre ci scaraventa tutti a terra, la situazione è drammatica e ridicola allo stesso tempo, ci spostiamo da un masso all'altro come se fossimo presi di mira da cecchini invisibili, approfittando delle pause tra una raffica e l'altra. Per scattare qualche foto sono costretto a sdraiarmi perché la furia della bufera non mi consente di fare delle inquadrature adeguate. Grandi nuvole di neve trasportata dalla furia dei venti avvolgono in continuazione le guglie di granito, mentre le acque cristalline della laguna Los Tres sono increspate a tal punto da sembrare un mare in burrasca. Queste condizioni di vento non si possono descrivere a parole: bisogna provarle in prima persona per capire il vero significato di "furia del vento patagonico"! Posso solo lontanamente immaginare cosa significhi passare giorni e giorni in parete esposti a questo continuo supplizio. Capisco perché queste montagne sono considerate le più difficili da scalare, nonostante la loro modesta altezza e il loro non elevatissimo grado di difficoltà. Il vero nemico dello scalatore qui non è tanto la montagna ma il meteo, che nell'arco di poco può cambiare repentinamente, trasformando una piacevole salita sul solido granito andino in una tragedia.
Decidiamo così di scendere rapidamente nel fondo valle, al riparo da questa furia. Percorriamo a ritroso la via dell'andata, con ancora nelle orecchie il fischio della bufera.



[u] La Ruta n°3 - Patagonia Argentina[/u]

I nostri giorni patagonici sono giunti alla fine, cullato dal lento dondolio dell'autobus che ci riporta a El Calafate, mentre al di là del vetro scorrono le desertiche distese della pampas argentina, mi sovvengono le parole lette in un libro di Borges:
"Non c'è niente in Patagonia tra le montagne a un passo dal cielo, tra le nuvole d'argento, tra le pianure senza fine, tra il vento che sembra raccogliere tutta la polvere del mondo, tra mari impossibili che nascondono relitti del passato, balene e leoni marini. Ma è un niente che riempie lo stesso l'anima e ci riconcilia con la natura".





Maurizio Tintori, bergamasco classe 1961, sposato con 2 figli scrive di sé: sono appassionato di viaggi naturalistici, alpinismo, trekking e fotografia; cerco di coniugare queste passioni come meglio posso, dividendo il mio tempo tra il lavoro di chimico e la mia famiglia. Ho sempre avuto un sogno: viaggiare, vedere il mondo, soprattutto il Sudamerica, l'Asia e le grandi montagne Himalayane; un sogno che ho coltivato a lungo, ma che ho realizzato solo da pochi anni a questa parte. Quando salgo una montagna, faccio un viaggio o m'immergo nella natura selvaggia, non mi basta camminare, vedere, cogliere l'attimo mentalmente: sento il bisogno di catturare quell'immagine e quell'attimo, con l'obiettivo della mia reflex. Non è solo la registrazione di ciò che l'occhio vede, vorrei che dalle mie immagini emergessero sentimenti ed emozioni perché, come scrisse Cartier Bresson, "fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l'occhio e il cuore". Le gallerie fotografiche complete sono visibili qui: www.pbase.com/photo_mau/patagonia




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avatarjunior
inviato il 07 Settembre 2011 ore 17:04

Grandissima esperienza, ti stimo! ;-)

avatarjunior
inviato il 07 Settembre 2011 ore 17:38

Che spettacolo! gran bella esperienza!!

avatarsenior
inviato il 07 Settembre 2011 ore 18:48

Patagonia! Anch'io ci sono stata e ci ho lasciato il cuore! Ritornerò!
Complimenti per il bellissimo reportage!

Chiara

avatarjunior
inviato il 07 Settembre 2011 ore 19:13

Complimenti davvero!! Condivido quello che hai scritto nel racconto, nonché le tue passioni per Sudamerica,Himalaya, natura, montagna!!!! Bravo, bel reportage

avatarsenior
inviato il 08 Settembre 2011 ore 17:35

Complimenti bellissimo reportage...ho rivissuto il mio viaggio in Argentina, con un pizzico d'invidia perchè io, al contrario di te, è da quando sono tornato che mi dico di mettere in immagini e parole quelle emozioni ma non ho nemmeno cominciato...mi hai fatto venire una gran voglia. Grazie.

avatarjunior
inviato il 08 Settembre 2011 ore 22:27

Grandissimo!!! Complimenti ! per me sei un EROE!

avatarjunior
inviato il 09 Settembre 2011 ore 7:14

il tuo racconto, insieme alle splendide foto, è così bello ed avvincente da lasciare una voglia contagiosa di vivere di persona quest'esperienza.
Complimenti!

avatarjunior
inviato il 09 Settembre 2011 ore 9:37

Racconto fantastico!!!! e foto superbe!!
Tra un mese affronterò lo stesso identico viaggio che hai descritto e leggere il tuo reportage ha accresciuto ancora la mia già infinita i mpazienza.

user726
avatar
inviato il 09 Settembre 2011 ore 10:44

che emozione! ma un giorno ci andrò!

avatarsenior
inviato il 09 Settembre 2011 ore 12:05

Grazie a tutti per i vostri bellissimi commenti.

Per chiunque volesse avere ulteriori informazioni sul viaggio, potete contattarmi via MP.

user181
avatar
inviato il 09 Settembre 2011 ore 12:19

Bellissimo reportage e racconto! Complimenti

avatarsenior
inviato il 11 Settembre 2011 ore 9:34

Semplicemente meraviglioso, l'Argentina e la Patagonia mi attraggono molto ed il tuo reportage mi ha dato stimolo per affrontare l'America latina, magari il prossimo anno. Fino ad ora ho sempre alternato l'Africa (la mia grande passione) all'Asia. Di nuovo tantissimi complimenti :-P

avatarsupporter
inviato il 01 Ottobre 2011 ore 13:38

Ottimo reportage, bellissime foto ed interessante racconto.
complimenti, ciao.

avatarsupporter
inviato il 04 Ottobre 2011 ore 22:20

Io ho vissuto la tua stessa esperienza un mese più tardi e posso capire quello che ti lascia dentro. E' stata una delle esperienze che nella mia vita hanno lasciato un segno indelebile. Grazie per aver risvegliato in me il ricordo, ancora vicino, di questa esperienza!!! Mi permetto di aggiungere qualche scatto fatto durante il viaggio in Patagonia: www.juzaphoto.com/index2.php?l=it&pg=profile2&mode=viewgallerie&iduten se non ti dispiace. Nel caso contrario chiedimi di rimuoverle e lo farò subito... Ciao


















avatarsupporter
inviato il 09 Novembre 2011 ore 19:41

Complimenti, foto bellissime!
Tra poco parto anche io per la patagonia, non vedo l'ora! Spero di riuscire a fare delle foto belle come le tue!;-)

A presto!





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